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L’impatto della governance europea sui salari e sulla contrattazione collettiva
In reazione alla crisi economica è emerso un nuovo sistema europeo di governance economica. Come parte di una politica volta a intensificare il coordinamento della politica economica, salari e contrattazione collettiva sono stati messi al centro dell’agenda politica dell’Unione europea. Nuove forme di interventismo diretto nel campo delle istituzioni e degli esiti della contrattazione collettiva nazionale ambiscono ora ad accrescere la flessibilità verso il basso dei salari, con l’intento di aiutare i cosiddetti paesi in deficit e migliorare la loro competitività nei riguardi dei cosiddetti paesi in surplus. Di conseguenza, i salari dovrebbero divenire la principale variabile di aggiustamento al fine di aggredire gli squilibri economici esistenti. Tale interventismo consiste in tre strumenti principali: le Raccomandazioni rivolte specificamente a singoli paesi nell’ambito del semestre europeo; i Memorandum fra la cosiddetta troika e i paesi che necessitano di assistenza finanziaria internazionale; l’acquisto di buoni del tesoro tramite la Banca Centrale Europea. In conseguenza di ciò, molti paesi europei stanno facendo i conti con tagli e congelamenti salariali (specie nel settore pubblico), politiche salariali restrittive e con un radicale decentramento della contrattazione collettiva, che mina la sua antica vocazione ad essere multi-datoriale, interconfederale e/o settoriale.
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L’impatto della nuova governance europea sulla contrattazione collettiva. Un confronto fra Italia, Spagna e Portogallo
Fra le ricette che compongono la nuova governance economica europea, la revisione dei sistemi contrattuali ricopre un ruolo di forte preminenza. Grazie a essa, è l’assunto, i paesi più colpiti dalla crisi potrebbero recuperare quote di competitività, agendo sulla leva dei prezzi, e dunque dei costi del lavoro. Nella severa cornice dei Trattati, e sotto la vigile regia del Semestre europeo, le istituzioni europee hanno letteralmente dettato l’elenco delle riforme da adottarsi in tema di lavoro e relazioni industriali. L’obiettivo è quello di dotare le aziende della facoltà di determinare flessibilmente le condizioni salariali e di lavoro dei propri dipendenti. Ciò ha richiesto l’allentamento della tradizionale gerarchia delle fonti, ampliando le prerogative del contratto aziendale, congelando le procedure di estensione erga omnes e/o i salari minimi legali, dove vigenti, bloccando la contrattazione del settore pubblico. Fra i paesi che più hanno patito il combinato disposto di queste misure vi sono Spagna, Portogallo e Italia, storicamente accomunati da certo grado di coordinamento della contrattazione, e oggi costretti a fare i conti con una spinta al decentramento, inedita anche per il carattere unilaterale e non concertato dell’interventismo pubblico. L’articolo ne ricostruisce tappe, contenuti e criticità, rilevandone analogie e divergenze, sotto il profilo dei risultati e del diverso rapporto fra Stato e autonomia collettiva.
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L’impatto della nuova governance europea sulla contrattazione collettiva. Un confronto fra Italia, Spagna e Portogallo
Fra le ricette che compongono la nuova governance economica europea, la revisione dei sistemi contrattuali ricopre un ruolo di forte preminenza. Grazie a essa, è l’assunto, i paesi più colpiti dalla crisi potrebbero recuperare quote di competitività, agendo sulla leva dei prezzi, e dunque dei costi del lavoro. Nella severa cornice dei Trattati, e sotto la vigile regia del Semestre europeo, le istituzioni europee hanno letteralmente dettato l’elenco delle riforme da adottarsi in tema di lavoro e relazioni industriali. L’obiettivo è quello di dotare le aziende della facoltà di determinare flessibilmente le condizioni salariali e di lavoro dei propri dipendenti. Ciò ha richiesto l’allentamento della tradizionale gerarchia delle fonti, ampliando le prerogative del contratto aziendale, congelando le procedure di estensione erga omnes e/o i salari minimi legali, dove vigenti, bloccando la contrattazione del settore pubblico. Fra i paesi che più hanno patito il combinato disposto di queste misure vi sono Spagna, Portogallo e Italia, storicamente accomunati da certo grado di coordinamento della contrattazione, e oggi costretti a fare i conti con una spinta al decentramento, inedita anche per il carattere unilaterale e non concertato dell’interventismo pubblico. L’articolo ne ricostruisce tappe, contenuti e criticità, rilevandone analogie e divergenze, sotto il profilo dei risultati e del diverso rapporto fra Stato e autonomia collettiva.
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L’impatto delle politiche familiari sulla bassa fecondità europea
Come conseguenza di una fecondità stabilmente al di sotto del livello di sostituzione (2,1 figli per donna), gli interventi in tema di politiche familiari, allo scopo di aumentare il numero delle nascite, sono molto cresciuti in Europa negli ultimi anni. Nel 2001 solo un terzo dei paesi europei dichiarava di avere politiche in questa direzione, nel 2009 erano diventati la metà e nel 2016, secondo l’ultima rilevazione delle Nazioni Unite, la percentuale è arrivata al 66%. Il presente contributo intende fornire una panoramica degli studi disponibili sulla valutazione degli effetti delle politiche familiari sulla fecondità in Europa, offrendo un breve focus sull’Italia. Dopo un inquadramento complessivo della fecondità in Europa, vengono illustrati gli studi disponibili sulla materia, i quali prendono in esame sia i trasferimenti in denaro sia le politiche legate al lavoro (ad esempio, i congedi parentali e l’assistenza all’infanzia). In entrambi i casi, gli studi esaminati sono classificati in base all’utilizzo di dati macro (a livello aggregato) o micro (a livello individuale).
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L’imperativo del developmental welfare per l’Europa
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L’implementazione della Carta globale dei rapporti di lavoro in Volkswagen
Sullo sfondo di processi di internazionalizzazione le organizzazioni sindacali devono fare i conti con la loro limitata capacità di azione che è principalmente circoscritta entro i confini nazionali. Alla luce delle possibilità limitate di fissare delle norme giuridiche a livello transnazionale, l’opzione più incisiva a disposizione per creare un quadro di riferimento di diritti e standard di lavoro sembra consistere nelle forme di auto-regolamentazione attraverso la conclusione di Accordi aziendali transnazionali (Aat). Per comprendere meglio l’impatto effettivo di questi accordi sulle relazioni industriali nazionali è necessario cercare di capire se e in quale modo gli Aat siano stati applicati a livello nazionale. In questo articolo analizzeremo l’implementazione della Carta globale dei rapporti di lavoro firmata nel 2009 nel Gruppo Volkswagen. Lo studio di caso suggerisce che ciò che conta nel processo di implementazione è il coinvolgimento attivo dei diversi attori ai vari livelli.
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L’importanza di indagare il lavoro
La necessità di tornare a indagare il lavoro sia dal punto di vista empirico sia dal punto di vista teorico, in rapporto ai mutamenti del lavoro e delle problematiche legate alla sua organizzazione. Il valore dell'inchiesta per il lavoro del sindacato, nella testimonianza del Segretario di una Camera del lavoro.
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L’impresa sociale come agente di innovazione
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L’impresa socialmente responsabile e il suo governo multi-stakeholder. Un modello di impresa per il sindacato e la politica democratica
Il modello di impresa socialmente responsabile e di governance multi-stakeholder è qui proposto come alternativa al modello di shareholder value, che nonostante sia stato uno dei fattori scatenanti della crisi finanziaria globale, ci viene ancora proposto dai «riformatori» neoliberisti. L’impresa socialmente responsabile è basata sul contratto sociale equo tra i suoi stakeholder, coerente con la teoria rawlsiana della giustizia, ed è più efficiente dell’alternativa basata sullo shareholder value, poiché non sacrifica gli investimenti specifici in capitale umano e le complementarietà tra le risorse cognitive, e si può avvalere dalle preferenze di conformità a istituzioni eque, suscitate dall’adesione al contratto sociale. La governance multi-stakeholder bilancia equamente diritti e interessi differenti, e può essere specificata attraverso molteplici forme istituzionali e organizzative: dalla combinazione tra norme generali e autoregolazione, alla preferibile riforma del diritto societario secondo il principio di codeterminazione , all’impresa sociale e alla rete di imprese. La rilevanza della proposta per il sindacato e la politica democratica è evidenziata dagli effetti del modello di corporate governancesulla crisi del welfare, dalla complementarietà con le riforme del diritto del lavoro (ad esempio riforma dell’art. 18) e dal caso dell’industria automobilistica, in cui alle figure della Chrysler e della Volkswagen (sintomatiche della logica multi-stakeholder) si oppone quella della Fiat (esempio di «abuso di autorità»).
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L’incerto percorso verso una riforma della previdenza
Una delle principali questioni aperte nel paese è il tema previdenziale. In particolare sembra essere sempre più diffusa la consapevolezza che sia necessario ripensare il sistema alla luce del nuovo contesto sociale, economico e demografico, per dare finalmente certezza alle persone, dopo anni nei quali, fra interventi dettati dall’emergenza, come la legge Monti- Fornero, o le diverse misure sperimentali e a termine, si è determinata una disorganicità e una instabilità normativa e si sono messe le persone nell’impossibilità di costruire dei progetti di vita aderenti alle diverse condizioni soggettive e familiari. Negli ultimi mesi è ripreso il confronto fra il Governo Draghi e Cgil, Cisl e Uil su questa materia, che però ha subìto anch’esso i contraccolpi dalle drammatiche vicende internazionali. Non è quindi al momento prevedibile se vi siano le condizioni e le volontà politiche per arrivare, finalmente, alla positiva conclusione di un percorso di riforma o, al contrario, come è avvenuto nelle diverse fasi recenti, a fine anno si ripiegherà su ulteriori interventi parziali o temporanei. Per capire meglio i diversi aspetti della questione può essere utile ricomporre un aggiornato quadro d’insieme facendo il punto su quello che è accaduto in questi anni, sulle iniziative intraprese e sui comportamenti assunti dei diversi attori, sulle decisioni che si sono determinate, sulle analisi e sulle criticità emerse, sullo stato dell’arte ad oggi.
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L’inclusione si basa sul lavoro. Intervista a Piero Soldini
Con la caduta del Governo Prodi e alla luce del cambiamento del quadro politico italiano dopo le elezioni del 13 e 14 aprile scorso, appare evidente l’arenarsi del disegno di legge Amato-Ferrero sull’immigrazione. Sembra quindi che, per quanto riguarda le politiche migratorie, verrà mantenuta, se non irrigidita, la legge Bossi-Fini. Alla luce di questa situazione, quali sono gli scenari che si disegnano in un futuro prossimo per i lavoratori immigrati presenti in Italia?...
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L’indebitamento familiare come fattore di equilibrio del welfare finanziario neoliberale
Dalla seconda metà del 1990 i paesi europei hanno attuato politiche volte ad aumentare il concetto di flessicurezza ridefinendo principi cardine dello stato sociale. Negli stessi anni, un altro fenomeno è apparso con estremo vigore il costante e forte aumento del debito privato familiare. Alcuni studi hanno evidenziato una relazione tra questi due fenomeni, individuando, nell’indebitamento familiare, un fattore stabilizzante di un più ampio processo di ridefinizione del welfare a seguito dei processi di finanziarizzazione dell’economia. L’articolo analizza, così, la funzione dell’indebitamento familiare e le sue implicazioni macroeconomiche per l’affermazione e stabilizzazione di un nuovo modello di welfare (capitalistico/finanziario) prodotto da una comune traiettoria neoliberale che ha attraversato l’Europa negli ultimi decenni.
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