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Il rapporto tra welfare e immigrazione costituisce una problematica complessa. L’intreccio tra i due processi, lo sviluppo del welfare e i flussi migratori, mette in gioco grandi questioni: il nesso tra diritto alle prestazioni del welfare e cittadinanza; la tematica delle disuguaglianze nell’accesso al welfare che è all’origine del sistema di «stratificazione civica»; la questione della implementazione delle politiche sociali e infine le barriere che interferiscono con l’accesso e la fruibilità dei servizi per gli immigrati. L’estensione dei diritti sociali di cittadinanza (cioè dei benefici del welfare) ai non cittadini è una conquista mai realizzata completamente. E questo sta diventando più difficile per effetto del prevalere della ideologia neoliberista che è alla base delle attuali politiche economiche e sociali. Partendo dalla visione dei migranti come soggetti titolari di un diritto esigibile e non oggetto di una missione umanitaria della società d’arrivo, si propone un percorso di riflessione a partire dal concetto di discriminazione e da come questa influenzi le politiche migratorie e l’accoglienza degli immigrati nel welfare italiano in una fase di progressivo ridimensionamento del welfare pubblico quale garante dei diritti sociali.
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Dopo oltre un trentennio di immigrazione straniera, la società italiana è ormai da tempo multietnica e multiculturale. Gli stranieri rappresentano circa il 10 per cento della popolazione che vive nel paese e i figli degli immigrati, anch’essi in aumento, costituiscono una componente rilevante degli alunni e studenti delle scuole italiane. Sulla base delle statistiche ufficiali disponibili, questo articolo mostra come il loro inserimento scolastico rimanga una questione aperta. Maggiore dispersione scolastica, minore successo negli studi, frequentissimo ritardo scolastico e concentrazione in percorsi formativi più votati all’immediata immissione nel mercato del lavoro sono segnali evidenti di una difficoltà di inserimento che meriterebbe maggiore attenzione da parte dei policy maker e degli operatori del settore.
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L’articolo assume come focus di analisi le attività di cura prestate ad anziani e disabili in Italia da lavoratori e lavoratrici migranti, considerato elemento centrale del nuovo welfare state. Esso parte dall’analisi dell’indagine Oil (2012) e delle soluzioni normative elaborate in favore dei lavoratori e delle lavoratrici migranti impegnati nelle varie attività di cura familiare. Si approfondiscono anche gli elementi sostanziali dell’assistenza sociale migrante in Italia, individuandone gli elementi di forza e di debolezza, insieme alle modifiche sociali sostanziali del relativo modello familiare.
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Il tema della insostenibilità delle migrazioni è tornato al centro del dibattito pubblico in relazione al consistente aumento dei flussi di persone che nel 2014, e ancor più nel 2015, hanno cercato rifugio in Europa. L’analisi della spesa pubblica sostenuta dal nostro paese in questo ambito non giustifica però i toni allarmistici che ricorrono nel discorso pubblico, istituzionale e mediatico. Il tema che l’Italia e l’Europa dovrebbero affrontare oggi non è quello della scelta tra le politiche del rifiuto e quelle dell’accoglienza e dell’inclusione, ma semmai quello della qualità di queste ultime. Sarà questa a determinare l’esito positivo o negativo del progetto migratorio delle migliaia di donne, uomini e bambini, che riusciranno a giungere sani e salvi nel continente europeo e, quindi, anche il «peso» minore o maggiore che la loro presenza comporterà sulla finanza pubblica. È dunque lungimirante una politica europea volta da un lato a garantire la «regolarità» del soggiorno dei cittadini stranieri e, dall’altro, ad allargare il perimetro della cittadinanza sociale, in modo da limitare lo sviluppo dei processi di auto ed etero-ghettizzazione della popolazione straniera.
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Il fenomeno del maltrattamento sui minori va inquadrato in una prospettiva multidisciplinare. Vi sono evidenze cliniche e di ricerca che mostrano, fra l’altro, come esso aumenti il rischio di esiti disadattivi anche in età adulta. L’impatto del maltrattamento sui minori sulla spesa pubblica è invece tema ancora poco indagato, in quanto raramente viene considerata la gamma complessiva di interventi di protezione del minore, che impegnano strutture e ambiti disciplinari diversi. I poli specialistici del privato sociale per il contrasto al maltrattamento sui minori, come il Centro provinciale Giorgio Fregosi - Spazio sicuro di Roma, costituiscono osservatori privilegiati sul fenomeno. La sfida alle politiche sociali è valorizzare l’investimento per prevenire/ contrastare la vittimizzazione infantile. Nell’articolo vengono esposti i principali elementi della letteratura scientifica sull’impatto negativo del maltrattamento all’infanzia e i costi associati e vengono presentati alcuni dati sull’attività del Centro Fregosi rilevanti in tal senso.
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L’articolo si concentra sulle logiche sistemiche del capitalismo contemporaneo messe in luce da Saskia Sassen nel suo ultimo libro Expulsions: Brutality and Complexity in the Global Economy (2014; trad. it. 2015), sottolineando il doppio contributo, metodologico e di contenuto, offerto dall’autrice. La tesi è che le logiche sistemiche debbano tornare al cuore dell’attenzione politica. Il riconoscimento del loro ruolo non deve, tuttavia, andare a discapito di quello dell’agency, della possibilità del cambiamento.
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L’ultima opera di Saskia Sassen (2015) nasce dall’ambizioso intento di leggere in chiave nuova, all’altezza delle difficili sfide poste dalla più grave crisi degli ultimi tempi, l’attuale situazione economica, politica e sociale. Nell’articolo si prenderanno in esame le linee guida della ricerca condotta da Sassen in quest’ultimo libro, nel quale l’autrice, sulla base di un’analisi interdisciplinare, coglie gli elementi costituivi dell’«epoca» odierna (il cui inizio data a partire dagli anni ottanta del secolo scorso). In particolare, si metteranno in evidenza i meccanismi che sono alla base della logica organizzativa di alcuni dei principali sistemi di governo e di dominio globali (nell’ambito finanziario e in quello di protezione ambientale), cogliendo gli elementi di novità presenti nella stessa ricerca di Sassen, volta a cartografare i processi in atto e a rendere visibili le complesse geografie del potere contemporaneo. Nell’articolo le analisi di Sassen verranno messe in tensione con quelle di quanti negli ultimi anni si sono a lungo soffermati sulle caratteristiche dell’attuale capitalismo finanziario, dell’attuale ordine neoliberista, sottolineando al contempo il nuovo metro di lettura introdotto dalla nota sociologa. A essere centrale nel volume è infatti una riflessione che ripercorre le ragioni, i mezzi, e i dispositivi degli odierni processi di valorizzazione e accumulazione del capitale e contestualmente ne rilegge le tendenze alla luce di quello che è definito l’inedito allarmante problema dell’emergere della logica dell’espulsione.
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Le disuguaglianze di reddito sono aumentate in tutti i paesi avanzati e sono un problema centrale del capitalismo di oggi. Nonostante i molti studi apparsi finora, manca ancora una spiegazione convincente delle cause di questo fenomeno. L’articolo riassume i fatti essenziali sull’evoluzione della disuguaglianza, a partire dalla distribuzione del reddito tra salari e profitti, e offre una spiegazione che mette al centro quattro «motori della disuguaglianza»: il potere del capitale sul lavoro, l’ascesa di un «capitalismo oligarchico», l’individualizzazione delle condizioni economiche, l’arretramento della politica. Questi processi stanno cambiando i modi di funzionamento non soltanto del sistema economico ma anche di quello politico: l’economia diventa meno dinamica, la società più ingiusta, la politica meno democratica.
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L’Italia attraversa ormai da quasi tre decenni una crisi strutturale della crescita economica. Le riforme del mercato del lavoro, la moderazione salariale, le politiche di «austerità espansiva» e la deregolamentazione dei mercati reali e finanziari non sembrano aver contribuito a invertire la rotta declinante tracciata dal sistema produttivo italiano quanto piuttosto ad aggravare un quadro già deficitario di produttività, investimenti e tecnologia. Nell’articolo utilizziamo la cosiddetta «contabilità della crescita» per isolare i fattori che sono alla base di questa deriva. Il quadro macroeconomico che ne emerge mostra che il deterioramento della crescita, maggiormente accentuato dal 2008 in poi, ha carattere strutturale e coinvolge sia i settori produttivi tradizionali che quelli tecnologicamente avanzati.