• Cosa vuol dire rappresentare il lavoro nelle democrazie occidentali oggi? In quale misura i cambiamenti economico-produttivi incidono sulle culture sindacali e sui rapporti tra Stato e sindacato? Sono questi gli interrogativi da cui parte l’itinerario di ricerca, che, con l’occhio puntato prima al panorama europeo, poi, alle specificità italiane, tenta di tracciare alcune linee di tendenza sullo stato di salute dei sindacati e dei sistemi nazionali di relazioni industriali. Ne deriva un quadro problematico, cui non si sottrae neppure il sindacato nostrano, benché connotato a tutt’oggi da un alto numero di iscritti. In tale situazione i soggetti collettivi dovrebbero mirare a un rinnovamento dell’identità associativa, scommettendo su nuove forme organizzative e di azione, incluso sul terreno della contrattazione decentrata, tuttora poco sviluppato nel Paese, per la fragilità del sistema di rappresentanza sindacale aziendale.
  • Il quadro delle relazioni sindacali nel nostro paese è in profondo mutamento. L’autrice cerca di presentare alcune linee di sviluppo, evidenziando, da un lato, l’impossibilità di limitare l’analisi alla dimensione nazionale e la necessità di inquadramento nello spazio giuridico europeo e nel sistema multilivello delle fonti, dove si segnala un incremento dell’accesso alla giustizia, dall’altro lato, l’esigenza di tener conto dell’impatto derivante dalla crisi economica e finanziaria, dalla terziarizzazione dell’economia, dall’erosione del lavoro subordinato stabile, dai mutamenti nel sistema politico e istituzionale. Le confederazioni sindacali si stanno attivando sul fronte delle regole. Importante sarà evitare un coinvolgimento limitato alla patologia della crisi: riduzioni di personale e abbassamento delle tutele.
  • Il presente intervento si articola in tre parti. La prima discute il carattere elitista di molte critiche alla nozione di populismo, che spesso intendono legittimare il potere delle oligarchie che governano l’Europa, negando alle classi subalterne qualsiasi consapevolezza politica; la seconda, invece, sviluppa una critica della retorica populista, in particolare della definizione di popolo come entità incorrotta e indivisa, mostrandone la contiguità con l’idea di popolo che è alla base del dispositivo della rappresentanza democratica. Infine, le conclusioni cercano di individuare alcuni aspetti politicamente produttivi nella ripresa della discussione sul populismo, a partire dalla necessità di ripensare il concetto di popolo non come totalità, bensì come parzialità.
  • L’argomento del testo è la contraddizione tra la superproduzione, in Europa, di norme giuridiche, penali e amministrative in materia di immigrazione, e la crisi senza precedenti delle istituzioni e delle funzioni rappresentative. Questa contraddizione, di cui si descrivono schematicamente le ragioni, da un lato rappresenta uno dei grandi limiti della democrazia contemporanea, dall’altro sottende straordinarie potenzialità di trasformazione politica e culturale.
  • Basato su interviste con i principali attori tedeschi e su un’analisi della letteratura, l’articolo analizza lo sviluppo recente dell’economia tedesca e la strategia tedesca nell’affrontare la crisi dell’eurozona. La Germania è uno stato commerciale (trading state), la cui crescita è fortemente trainata dalle esportazioni. Fino agli anni novanta, rigidità istituzionali forti, nel sistema di relazioni industriali e nel sistema di protezione sociale, contribuivano a conciliare lo sviluppo delle esportazioni con una crescita armonica dei consumi interni, contribuendo cosi a ingabbiare la «tigre» tedesca. A partire dagli anni novanta, sia le relazioni industriali sia la protezione sociale sono state fortemente liberalizzate, stimolando ulteriormente la competitività estera e indebolendo i consumi interni. Il modello economico tedesco, cosi come è venuto profilandosi negli ultimi dieci anni, è alla base delle politiche di austerità che la Germania impone all’Europa. Tali politiche sono fortemente condivise dai partiti politici, dagli attori sociali e dall’opinione pubblica, e le probabilità che la strategia tedesca cambi sono minime.
  • La Legge di stabilità 2014-2016 elaborata dal governo italiano e approvata dal Parlamento è volta al rispetto dei vincoli previsti dai trattati europei, e non alla crescita del reddito e dell’occupazione. Ciò nonostante, la Commissione europea non ha ritenuto di dare «semaforo verde», in quanto il rientro dal debito non è garantito nel breve e nel medio periodo. La proposta governativa non viene giudicata soddisfacente dai tecnocrati europei perché non coerente con le politiche di rigore e di austerità espansiva, ma neppure soddisfa le parti sociali, che chiedono interventi non simbolici per la riduzione del cuneo fiscale, quindi per la crescita e l’occupazione. Ma siamo certi che impegnare tutte le risorse disponibili per la riduzione del cuneo sia la politica più adatta per far uscire il paese dalla crisi, in presenza di una trappola della produttività che caratterizza il nostro paese da venti anni?
  • L’articolo esamina la crisi della rappresentanza politica e sindacale come esito del processo di corrosione delle identità collettive e delle istituzioni nelle quali quelle identità avevano preso forma. Mentre alla politica spetta – nel difficile equilibrio tra il locale e il globale – la costruzione di un nuovo spazio collettivo, democratico e aperto, nel quale il cittadino consapevole e informato possa prendere posizione sui temi in discussione, il sindacato è chiamato ad attuare uno sforzo serio di autoriforma e a rimettere al centro la sua autonomia e alterità rispetto al sistema politico, per sfuggire al pericoloso «slittamento nel politico». In conclusione viene analizzato il rapporto esistente tra rappresentanza e conflitto, sostenendo che la rappresentanza si costituisce nel conflitto, nello scontro tra opzioni alternative, come espressione di una diversità di interessi, di valori, di progetti, che costituisce il cuore della democrazia e la trama profonda di una società plurale e complessa.
  • I processi di globalizzazione e integrazione sovranazionale hanno fortemente inciso sulla forma di Stato democratica. Il potere si radica sempre più in istituzioni transnazionali che sfuggono ai meccanismi di controllo nazionale. La crisi economica dell’ultimo quinquennio ha accelerato questo processo in nome di un diritto europeo della crisi incentrato sul principio di condizionalità (aiuti in cambio di austerity e riforme strutturali), affidato a un’inafferrabile sorveglianza multilaterale. Le sempre più forti resistenze a questo modello economico impongono di trovare una via per superare il deficit di sovranità sociale dell’Unione.