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L’articolo presenta i risultati di una ricerca sulle esperienze di innovazione sindacale promosse dalla Cgil in contesti caratterizzati dalla frammentazione del lavoro, dal lavoro disperso e precario. L’analisi prende in considerazione gli ostacoli, i limiti e i fattori che hanno favorito lo sviluppo di queste esperienze. In conclusione l’articolo presenta alcune riflessioni sull’impatto di queste esperienze sul modello organizzativo del sindacato, in particolare considerando il rapporto con la democrazia.
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L’articolo si propone di spiegare quali fattori possono influenzare il cambiamento sindacale, con particolare riferimento alle scelte strategiche messe in atto e ai modelli di rappresentanza adottati per la rappresentanza dei giovani e dei lavoratori atipici. L’obiettivo è quello di capire come e perché un sindacato possa adottare modelli di rappresentanza molteplici e diversi e spiegare la natura e la dinamica di tale cambiamento. Si sviluppa una tesi sul cambiamento del sindacato, che sottolinea l’importanza di prestare attenzione a fattori come il tempo, gli attori coinvolti e il mutamento dei rapporti di potere, al fine di comprendere in che modo la riconfigurazione dei rapporti di forza possa influenzare le scelte strategiche sui modelli di rappresentanza adottati. In conclusione sono spiegati i cambiamenti che si sono verificati nelle tre confederazioni sindacali italiane dal 1998 al 2012 e individuate le possibili e ulteriori trasformazioni in corso.
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L’emergere di un’economia basata sulla produzione e sulla circolazione di conoscenza è considerato uno dei fatti fondamentali della società attuale. Il contributo approfondisce il rapporto tra impresa e società che si configura nel «capitalismo della conoscenza» e le sue ambivalenze principali: quelle tra mercato e cooperazione, tra partecipazione e verticalizzazione dei processi decisionali, tra autonomia del lavoro e neotaylorismo. In secondo luogo analizza le caratteristiche principali delle mobilitazioni nell’ambito dei settori della conoscenza avvenute in Italia in questi anni, ponendole in relazione con queste ambivalenze. Se la conoscenza è un elemento rilevante del capitalismo contemporaneo, infatti, i lavoratori della conoscenza ne sono l’elemento chiave, la cerniera tra settori tradizionalmente ad alto contenuto di conoscenza e gli altri settori. L’analisi del rapporto tra impresa e società nell’economia della conoscenza declinato attraverso i «lavoratori della conoscenza» – e in particolare i lavoratori dell’università e dello spettacolo – mostra che le rivendicazioni, l’autonarrazione e i frame proposti incorporano una specifica analisi del ruolo della conoscenza nelle dinamiche produttive delle società contemporanee, e si collocano al centro delle ambivalenze di tali dinamiche.
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L’inesorabile incedere dell’economia globale e l’esplosione di veri drammi sociali come quello greco, ci costringono a riconsiderare il nostro progetto di Unione nonché il suo processo di integrazione e le sue modalità. Posto che l’Europa non può che essere dei popoli, viene da sé quanto il mondo intermedio abbia un compito imprescindibile davanti a sé: i corpi intermedi sono infatti attori fondamentali nel rapporto-processo che va dalla persona alle istituzioni. In una società duramente e strutturalmente colpita dal problema occupazionale, il sindacato è chiaramente un interlocutore privilegiato: il lavoro è, infatti, quella necessaria «cerniera» che tiene insieme società civile e istituzioni, senza la quale la democrazia fatica a mantenere stabilità. L’ondata di populismo e di anti-politica che, in Italia come in Europa, da qualche anno domina la scena, è un fatto significativo che rappresenta un’avvisaglia da non sottovalutare e che, nelle sue espressioni più estreme, delegittima anche il sindacato. Certo, il sindacato presenta colpevolmente dei ritardi che oggi vanno superati; la politica ha assunto un atteggiamento nuovo nei confronti del sindacato e ne ha messo a nudo i problemi. Il suo rigenerarsi, nonché il suo riproporsi, paiono oggi necessità fondamentali per la tenuta del sistema. A questo punto le possibilità sono due: o il sindacato si riposiziona in modo deciso e in grado di interloquire nel merito con la politica, o questa avrà praterie davanti a sé e farà quello che vuole. È questo il rischio della deriva statalista del nuovo corso politico.
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Il saggio ricostruisce i caratteri e la trasformazione del modello organizzativo della Cgil a partire dalle sue origini passando attraverso lo spartiacque degli anni cinquanta in cui si dà avvio alla costruzione del «sindacato moderno». In particolare, l’Autore, all’interno di una comparazione più ampia con i modelli europei, si sofferma sulla centralità che nell’Italia del dopoguerra ha rivestito il sindacalismo industriale.
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In solitudine tra chi riteneva dannoso correggere un sistema che andava rapidamente superato e chi invece lo riteneva inutile perché capace di trovare da solo i migliori equilibri, Caffè aveva il coraggio di proporre soluzioni concrete ai problemi più urgenti a cominciare dalla piena e buona occupazione. Ma, insieme al suo amico Bruno de Finetti, riteneva necessaria una visione utopica per dare libero senso al suo riformismo. La politica economica era da lui considerata a livello intermedio e come «ponte» tra l’economia pura e l’economia applicata, in una concezione unitaria della disciplina economica. Caffè si riconosceva nel programma ideale e programmatico della Costituzione che cercò di concretare come «civil servant», insegnante dedicato e consigliere del cittadino.
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Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), in corso di negoziato tra Unione Europea e Stati Uniti d’America, ha l’ambizione di riscrivere le regole del commercio internazionale, superando lo stallo del negoziato multilaterale Wto di Doha, per imporre a livello globale un pieno esplicarsi del neoliberismo. Mentre sono aleatori gli eventuali benefici in termini di reddito e occupazione, evidenti sono i rischi per la democrazia. In particolare il previsto Consiglio per la cooperazione regolatoria e il meccanismo di risoluzione delle dispute investitore-Stato (Isds) mettono in discussione le prerogative democratiche dei parlamenti. I sindacati europei e nordamericani hanno avanzato critiche e proposte basate sui diritti ambientali, sociali e del lavoro, a partire dalle Convenzioni Oil. Per l’Europa servono politiche economiche e sociali che riaffermino lo stato sociale, pongano fine all’austerità e stabiliscano una reale cooperazione con i paesi del Mediterraneo e dell’Eurasia.
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Presentazione della sezione TEMA: Cambiamenti organizzativi per il sindacalismo del XXI secolo
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Intervista a Nino Baseotto, componente delle Segreteria confederale della Cgil nazionale e responsabile dell’Organizzazione.
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Il paper offre un’analisi storica del rapporto tra lavoro e politica a partire dall’assunto che il lavoro può essere pensato tanto come il fondamento universale della vita associata, quanto come una condizione parziale e conflittuale nel suo rapporto con il capitale. Si offre inoltre una lettura dell’articolazione del nesso tra sindacato e partito in una prospettiva Europea, anche alla luce delle trasformazioni prodotte dalla fine delle politiche keynesiane e dall’ascesa del neoliberalismo. A partire da questa analisi storica, sono infine offerte alcune considerazioni conclusive a proposito dei limiti e delle possibilità di un rinnovato rapporto tra sindacato e partito nel contesto italiano.
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In gran parte d’Europa, i diritti e le protezioni sociali conquistati nei decenni post-bellici sono stati gravemente erosi e ora ulteriormente minacciati dall’austerità neoliberista. Gli sforzi per resistergli sono stati finora ampiamente vani, ma un’efficace controffensiva è possibile? In questo articolo l’Autore delinea innanzitutto il ruolo dell’Ue quale elemento chiave per una rimercificazione del lavoro attraverso la sua crescente enfasi sulle libertà di mercato quale assoluta priorità, e sulla competitività co- me obiettivo politico centrale per i governi nazionali. L’Autore evidenzia come questo orientamento sia stato rafforzato dalla crisi economica, conducendo alla conseguente ricerca dell’austerità, con l’mposizione della nuova governance economica. Passa poi in rassegna alcune forme di protesta e opposizione, sia a livello sindacale sia di iniziative dei «nuovi» movimenti sociali. Suggerisce quindi un’attenta valutazione del loro successo e del loro fallimento. Infine sostiene che un’efficace articolazione delle di- verse forme di resistenza – transnazionali e fra differenti attori – sia essenziale al fine di arginare l’egemonia neoliberale.
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L’articolo presenta una ricerca riguardante le esperienze negoziali vissute dai dirigenti sindacali delle sette province venete nei settori del commercio e del pulimento, nell’ambito di uno studio che ha coinvolto anche i funzionari di alcune associazioni datoriali. I recenti cambiamenti prodotti dalle normative nazionali hanno spinto verso una forte de-regolazione in materia di orari di lavoro, ma hanno nel contempo aperto nuovi spazi di negoziazione. Sul piano della contrattazione collettiva aziendale, le organizzazioni dei lavoratori sono riuscite a intervenire con successo rispetto alla ri-regolazione dell’orario nelle aziende di maggiori dimensioni. Le tematiche relativa alla qualità della prestazione lavorativa sono invece troppo spesso assenti dai contratti collettivi aziendali. Nonostante questi sviluppi sul piano della contrattazione collettiva, la presenza sindacale rimane limitata e i funzionari sindacali svolgono spesso azioni di tutela individuale.