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Da parecchi anni, la sanità pubblica italiana si sta indebolendo, complice l’indifferenza nei confronti di restrizioni economiche che, accolte con rassegnato distacco rispetto al diritto fondamentale alla tutela della salute, aggravano le difficoltà di accesso alle cure di molti cittadini. In tale contesto, paradossalmente, il tema più dibattuto non è quello delle diseguaglianze che ne conseguono bensì quello della inefficienza della spesa sanitaria privata e della presunta necessità di una maggiore intermediazione. Su tale tema, molte affermazioni discendono da luoghi comuni incapaci di mettere a fuoco il vero quesito cui dovremmo dare risposta: quali soluzioni sono praticabili nell’interesse dell’individuo e della collettività? L’analisi indaga i fattori che giustificano il comportamento degli italiani poco inclini ad acquistare una copertura assicurativa o a partecipare a fondi sanitari.
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L’universalismo dei servizi sanitari è messo in discussione a causa della lievitazione annuale della spesa superiore alla crescita del Pil. I fattori della crescita sono numerosi e complessi. Uno dei principali è l’invecchiamento della popolazione. Non sono tanto i costi dovuti all’allungamento della vita individuale a doverci impensierire, quanto la crescente quota di popolazione anziana rispetto al totale della popolazione. In Italia la popolazione in età lavorativa ha bassi livelli di occupazione soprattutto femminile e in particolare nel Mezzogiorno. Il mantenimento dell’universalismo sanitario richiede quindi politiche strutturali di incremento della partecipazione al lavoro. Prevenzione sanitaria e sociale senza eccessi di medicalizzazione, riorganizzazione dei servizi primari, uso virtuoso delle nuove tecnologie ed economie di scala possono aiutare a contenere i costi e salvare l’universalità. Ma per mettere in campo oggi le scelte che serviranno domani serve uno sguardo lungo. La competizione politica è invece dominata dal breve periodo e la comunicazione è orientata alle emozioni più che ai ragionamenti. L’invecchiamento dell’elettorato tende inoltre a far prevalere le istanze degli anziani sulle prospettive dei giovani.
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L’articolo presenta una esperienza formativa nell’ambito di un progetto sulla prevenzione della corruzione nel Servizio sanitario nazionale italiano, al fine di identificare le modalità formative più efficaci. L’esperienza nell’ambito del progetto Illuminiamo la salute ha evidenziato diversi elementi per un efficace programma di formazione in questo settore. Il primo è la centralità del sistema di valori alla base dell’attività formativa degli operatori sanitari. Un altro elemento è la partecipazione attiva degli operatori nel processo di formazione, chiamati a trovare soluzioni all’interno dell’ambiente in cui si sono verificati i problemi. Un altro è la decostruzione di quegli elementi consolidati che impediscono la visione di nuove soluzioni. Un ultimo elemento riguarda la progettazione di esperienze mirate al cambiamento e al miglioramento delle organizzazioni del Servizio sanitario, attraverso la discussione di esperienze e di casi studio dei partecipanti.
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L’articolo presenta alcune riflessioni sul tema del diritto al reddito a partire dal libro Il reddito di base di Granaglia e Bolzoni (2016). La principale argomentazione esposta è che non vi è sufficiente attenzione al tema del diritto al reddito, che invece, al pari di altri, andrebbe inteso come un diritto di cittadinanza. La prima parte è dedicata a una analisi delle possibili ragioni che determinano questa sottovalutazione, sia sul piano concettuale che su quello politico. La seconda parte dell’articolo si concentra invece sui due principali strumenti di policy che potrebbero garantire tale diritto: il reddito di cittadinanza e il reddito minimo. In particolare vengono illustrate le ragioni che potrebbero giustificare l’istituzione di un reddito di cittadinanza globale e, nell’ultima parte dell’articolo, i limiti delle attuali politiche di reddito minimo europee e i principali nodi aperti nella loro attuazione concreta.
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Il dibattito intorno alla crisi economica e alle sue conseguenze ha messo in luce le debolezze strutturali di alcuni sistemi di protezione sociale europei. Tra gli altri, il caso italiano si caratterizza per l’assenza di un reddito di ultima istanza (o reddito di base) che possa svolgere una funzione essenziale di ammortizzatore sociale automatico in tempi di crisi. A partire dal volume Il reddito di base (Granaglia e Bolzoni, 2016), l’articolo discute l’importanza di un tale strumento, e in modo particolare del «reddito di cittadinanza», considerandolo come una misura di grande rilevanza per poter rispondere in modo equo ed efficace la duplice sfida rappresentata dalla crisi economica e dalla trasformazione del mondo del lavoro nei paesi europei.
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Uguaglianza di opportunità e contrasto alla povertà sono, in questi ultimi decenni, diventati i due valori più invocati nella discussione pubblica sulla giustizia distributiva. Il contrasto alle disuguaglianze di reddito occupa, invece, un ruolo marginale, quando non è addirittura bollato come mera espressione d’invidia o come porta d’ingresso a un inevitabile livellamento delle condizioni individuali, nella violazione dei meriti e delle libertà. Obiettivo dell’articolo è mettere in discussione tali posizioni, riportando in primo piano l’urgenza, sotto il profilo della giustizia distributiva, di occuparsi delle disuguaglianze di reddito. Da un lato, le disuguaglianze di reddito potrebbero mettere a repentaglio la realizzazione stessa dell’uguaglianza di opportunità e il contrasto alla povertà. Da un altro lato, le disuguaglianze di reddito potrebbero compromettere sia la soddisfazione di bisogni fondamentali, anche per chi non è povero, sia la condivisione di una comune uguaglianza morale fondamentale. Da ultimo, non occuparsi di disuguaglianze di reddito rischia di comportare la legittimazione d’ingiustizie nei processi stessi di formazione del reddito.
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L’obiettivo di questo articolo è fornire evidenza empirica aggiornata sull’andamento della disuguaglianza economica in Italia e nei principali paesi occidentali, ragionando sui meccanismi alla base della crescita delle disuguaglianze registrata pressoché ovunque a partire dagli anni ottanta dello scorso secolo. Si mostra, in particolare, come il mercato del lavoro tenda a produrre disuguaglianze sempre più marcate e, quando nell’analisi si incorpora anche il rischio di scivolare in disoccupazione, risulta evidente come nel nostro paese tale tendenza si sia acuita negli anni della crisi.
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Le condizioni di vita della popolazione, sin dai primi anni della storia unitaria, sono state oggetto di indagini da parte dei governi. Inizialmente l’interesse era rivolto a mantenere l’ordine stabilito poiché indigenza e miseria erano considerate pericolosi focolai di instabilità politica; successivamente la povertà è stata riconosciuta come un’ingiustizia sociale da combattere. Il mutato interesse nei confronti della povertà è stato accompagnato dalla necessità di dotarsi di misure quantitative adeguate. Anche se nella letteratura di riferimento sembra affermarsi l’idea di seguire un approccio multidimensionale, la povertà è ancora rilevata prevalentemente seguendo un approccio unidimensionale basato su criteri economici. Tuttavia anche l’approccio unidimensionale presenta numerosi punti di criticità che rendono le stime poco robuste e non univoche. La povertà è un fenomeno multidimensionale e come tale deve essere rilevato.
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L’articolo presenta l’analisi della mobilità dei redditi disponibili e di mercato in quattro paesi europei (Italia, Francia, Germania e Danimarca) nei quadrienni precedente e successivo alla crisi economica del 2008. Obiettivo dello studio è proporre una misura per risolvere la discordanza esistente tra i risultati delle classiche misure di disuguaglianza, non aumentate dopo la crisi, e gli indici di percezione delle condizioni di vita, che al contrario registrano un forte peggioramento. A tale scopo, si analizza se la mobilità intra-generazionale sia uno strumento più accurato e sensibile, rispetto alle misure tradizionali di disuguaglianza, a rilevare la volatilità dei redditi e la vulnerabilità familiare, intesa come maggiore insicurezza nelle disponibilità familiari rispetto al passato. L’analisi evidenzia come, mentre il macro-confronto tra paesi europei non rivela una sostanziale modifica nella struttura complessiva della mobilità dopo la crisi, lo studio disaggregato per regioni italiane suggerisce un aumento nella volatilità dei redditi delle famiglie meridionali a basso reddito, validando l’opportunità di utilizzare gli indicatori di mobilità quale indice di vulnerabilità delle fasce più basse del reddito.