• Gli ultimi decenni hanno visto una estesa privatizzazione della conoscenza che è diventata una delle componenti più importanti del capitale delle imprese. Le rendite monopolistiche della conoscenza privata hanno fatto crescere i profitti ma hanno avuto effetti negativi sulla crescita economica e sulla distribuzione della ricchezza. Nuove economie di scala e di scopo hanno favorito imprese di grandi dimensioni. Questo contesto ha visto un declino dell’eco- nomia italiana che richiede interventi pubblici adeguati alla natura monopolistica dell’economia della conoscenza.
  • In questo articolo sono proposte alcune riflessioni circa la natura e l’evoluzione della politica industriale e il ruolo dello Stato quale attore capace di indirizzare in modo «strategico» lo sviluppo delle economie, così come descritto da Pennacchi (2016). Viene discussa, inoltre, la relazione tra la politica industriale e il contesto macroeconomico e istituzionale – con specifico riferimento alle istituzioni del mercato del lavoro – nell’ambito del quale la stessa politica è disegnata e implementata. Si sottolinea come l’efficacia della politica industriale può essere minata allorquando il contesto macroeconomico si caratterizzi per una debole dinamica della domanda aggregata (e, in particolare, della componente pubblica della stessa domanda) e per istituzioni del mercato del lavoro che tendano a facilitare l’adozione di strategie competitive basate sulla riduzione dei costi piuttosto che sulla qualità, l’innovatività dei prodotti e sull’investimento in capitale umano. Infine, si discute criticamente l’approccio di politica economica sin qui adottato in Europa identificando nell’adozione di grandi progetti «mission oriented» (a guida pubblica) una strada alternativa per stimolare efficace- mente la crescita economica e la trasformazione tecnologica dell’economia europea. L’analisi condotta si basa su una serie di recenti contributi sugli stessi temi (Cimoli, Dosi, Stiglitz 2009; Mazzucato et al. 2015; Dosi et al. 2016; Fana, Guarascio, Cirillo 2016; Guarascio, Simonazzi 2016).
  • La stagnazione che continua a caratterizzare la zona dell’euro, e le vecchie e nuove incertezze rappresentate dall’uscita dell’Inghilterra dall’Unione europea, dalla difficile situazione patrimoniale delle banche, non solo italiane, dalla irrisolta crisi greca, tratteggiano un orizzonte cupo per il futuro dell’area, e soprattutto per la sua periferia meridionale. È qui infatti che la crisi ha colpito più duramente, sia a seguito delle fragilità con cui questi paesi sono entrati nell’Unione, sia per le politiche seguite prima e nella crisi. Mentre un’inversione delle politiche macroeconomiche è certamente indispensabile, cresce la consapevolezza che le sole politiche di espansione della domanda non sono sufficienti per fare ripartire una crescita sostenibile. Sono tuttavia grandi le divergenze su quali «politiche dell’offerta» e che tipo di «riforme strutturali» siano necessarie. Se da un lato si sottolinea la necessità di ancora maggiore de-regolamentazione dei mercati del lavoro e dei prodotti, dall’altro cresce il consenso sulla necessità di una «nuova» politica industriale. Diverse sono però le interpretazioni sul come attuarla. Dopo un breve richiamo dell’evoluzione della teoria dello sviluppo, il saggio analizza le diverse possibili modalità attuative di una nuova politica industriale che vada a sostenere la crescita e lo sviluppo dei paesi della «periferia» dell’eurozona.
  • Gli investimenti pubblici sono stati una delle voci maggiormente sacrificate nella stretta fiscale del triennio 2010-2013, che origina da fattori teorici, istituzionali e politici profondi. Dopo le elezioni europee del 2014 i Socialisti e democratici hanno avviato una correzione delle politiche di austerità che si è concretizzata nella Comunicazione sulla flessibilità e nel Piano Juncker. La fragilità della ripresa e i venti contrari alla crescita rendono ora necessario un orientamento più marcatamente espansivo della politica fiscale europea e in partico- lare di un’azione più forte a sostegno degli investimenti pubblici e privati.
  • Il testo cerca di fornire dapprima un quadro delle tendenze di sviluppo geografico e settoriale del fenomeno della sharing economy e delle sue prospettive. La sua crescita viene poi inquadrata nell’ambito di alcune più generali tendenze, in gran parte negative, in atto nel mondo del lavoro e, più in generale, nel capitalismo contemporaneo. L’ultima parte prova, infine, a delineare alcune proposte di intervento per regolare un fenomeno che minaccia altrimenti di rivelarsi come potenzialmente devastante su molti fronti, da quello della protezione dei lavoratori e dei consumatori, a quello del livello delle entrate fiscali degli Stati, al grado di concorrenza rilevabile nei vari settori.
  • Il saggio esamina il nuovo volto dei Servizi per l’impiego italiani a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2015, di attuazione del cd. Jobs Act. Le linee portanti della riforma italiana sono confrontate con i tratti salienti delle esperienze europee e internazionali di maggior successo nella gestione del mercato del lavoro. Il lavoro si conclude rilevando che il quadro normativo nazionale è ormai in linea con le buone prassi emergenti dal contesto comparato, ma molto resta ancora da fare sul piano operativo.
  • Il mutualismo sta ritornando di moda. Le difficoltà emerse nel settore sanitario hanno pro- gressivamente portato alla convinzione di dar vita a fondi integrativi che, sviluppati dap- prima a livello di azienda (welfare aziendale), stanno ormai affermandosi a livello di con- tratti nazionali. Questi fondi sono stati istituiti modificando la legge sulle Società (operaie) di mutuo soccorso del 1886. Invece di limitarsi a rivendicare non sarebbe ora di rilanciare una pratica mutualistica, come solidarietà tra lavoratori? E in questi tempi di scarsa cresci- ta, accanto alla rivendicazione non è bene sviluppare anche la prospettiva mutualistica?
  • Nell’articolo – frutto di un intervento in un corso di formazione – l’Autore pone al centro della propria riflessione il passaggio cruciale che affronta oggi il sindacato, laddove per la pri- ma volta nella sua storia centenaria ne vengono poste in discussione il ruolo e la struttura. Funzionale a questa analisi è la ricostruzione delle tappe principali della storia del sindaca- lismo confederale dalle origini, passando per l’età liberale fino alla prima guerra mondiale e soffermandosi in particolare sul complesso rapporto sindacato-istituzioni e sindacato-partito.
  • L’articolo sostiene che per comprendere la precarietà del lavoro occorre contestualizzare i cambiamenti strutturali nelle condizioni soggettive e, viceversa, situare la dimensione soggettiva nelle trasformazioni strutturali del lavoro. Al centro dell’analisi è il lavoro autonomo individuale, un caso interessante per indagare come la precarietà sia socialmente costruita, dal momento che sfida la dicotomia che contrappone, da un punto di vista contrattuale, il lavoro autonomo e il lavoro dipendente. L’obiettivo principale è comprendere in qual modo i lavoratori autonomi individuali esperiscano la precarietà «nel lavoro» e come questa si articoli all’interno dei processi di precarizzazione e auto-imprenditorialità.
  • L’articolo presenta i principali risultati raccolti dalla ricerca Vita da professionisti, dedicata ai bisogni e alle aspettative dei professionisti non dipendenti, di qualsiasi settore, che operano con qualsiasi forma contrattuale, principalmente lavoratori autonomi con partita Iva. Sono qui presentati i principali aspetti che caratterizzano il lavoro dei professionisti: le condizioni di lavoro, gli aspetti economici e retributivi, gli obiettivi di cambiamento e di miglioramento che i lavoratori chiedono al sindacato.
  • La complessità che emerge nell’esplorazione delle figure professionali e delle situazioni di precariato che connotano il settore artistico e dello spettacolo musicale è la chiave di lettura per comprendere gli ambiti entro cui si muovono i musicisti, fluttuanti tra la libertà creativa – condizione essenziale per l’artista – e la difficoltà lavorativa che spesso la limita. L’instabilità occupazionale, conseguenza di politiche culturali non sintonizzate e dell’assenza di percorsi di formazione specifica, viene sentita dagli artisti intervistati in modi diversi, al confine tra opportunità e limite.