• L’articolo affronta in termini generali il tema delle possibili riforme fiscali attuabili nel nostro paese in tempi di crisi e, a maggior ragione, di ripresa della crescita. Si sofferma, in particolare, sulle linee di riforma dell’Irpef e dell’Ires e sulla possibilità di compensare la riduzione di tali imposte con l’istituzione di altri tipi di prelievo gravanti su nuove forme di ricchezza. Si sottolinea, altresì, la necessità, allo stato attuale, di mettere comunque a punto un sistema tributario che garantisca il finanziamento dello Stato sociale e, nel contempo, consenta di ridurre le forti disuguaglianze. Il rilancio della produttività dovrebbe, invece, essere perseguito soprattutto attraverso la spesa per investimenti pubblici.
  • La politica economica dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni in Italia si è orientata a un taglio delle imposte accompagnato da politiche di contenimento della spesa come ricetta per far ripartire la crescita economica. La direzione di marcia – sostenuta anche da proposte radicali di riforma portate avanti da think-tank privati – sembra essere dunque quella verso un modello di welfare state con meno Stato e un po’ più mercato. L’articolo si sofferma sulle opzioni per l’organizzazione delle politiche sociali, su cosa stiano facendo gli altri paesi, su come conciliare la visione di un welfare «assicurativo» con quella di un welfare «redistributivo», nonché sui vincoli aggiuntivi alla riforma dovuta di un modello corporativo datato per il nostro paese.
  • L’articolo si propone di dialogare con il volume curato da Mazzucato e Jacobs (2017), la cui intenzione è quella di ripensare la teoria economica, nella sua essenziale dimensione anche politicoeconomica. La crisi del neoliberismo è vista come l’occasione per discutere cosa sia necessario fare per «salvare» il capitalismo, instaurando una economia socialmente ed ecologicamente «sostenibile» e meno diseguale. Il merito del volume risiede nella intersezione tra l’approccio macro-monetario post keynesiano e la visione neo-schumpeteriana ed evolutiva dell’innovazione, entrambe aggiornate per una migliore comprensione del capitalismo odierno. Alcune problematicità presenti nei saggi dei diversi autori sono qui messe in rilievo e, soprattutto, viene sottoposta a scrutinio la proposta che attraversa tutto il volume, sino a porsi il quesito: la socializzazione dell’investimento comporta salvare il capitalismo o uscire dal capitalismo?
  • L’articolo riassume, nella prima parte, il volume di Mazzucato e Jacobs (2017) seguendo la ricostruzione fatta dai curatori nell’introduzione. Nella seconda parte sintetizza e analizza riticamente il saggio di Lazonick mettendo in evidenza il limite di un concetto di innovazione senza una direzione, ben presentata da altri contributi, in particolar modo quello di Mazzucato. Viene, infine, criticata l’idea che sia possibile un processo di trasformazione sociale basato sulla contrapposizione tra aziende innovative e no. Il carattere sistemico e interconnesso del capitalismo, infatti, richiede politiche radicali di sistema come sostenuto da molti dei contributi del volume.
  • Il populismo oggi appare, ancor prima che un’ideologia precisa, un repertorio di stili di azione e di comunicazione a cui è difficile per qualunque soggetto politico non fare ricorso. Anche perché, nelle diverse democrazie occidentali, diventa sempre più significativa la linea di frattura che oppone la classe politica tradizionale alla protesta anti-establishment. Una frattura che si intreccia con i temi della globalizzazione neoliberale, per cui se da una parte ci sono i «globalisti», ovvero i sostenitori delle élite (politiche, economiche, culturali, mediatiche) che ne governano i processi, dall’altra monta la rabbia dei «perdenti della globalizzazione», ovvero di quegli strati sociali che hanno maturato un distacco sempre più ampio rispetto alle élite, al loro linguaggio e alle loro politiche, incapaci di porre rimedio all’impoverimento dei ceti medi e all’aumento delle diseguaglianze. Si tratta di cambiamenti che incidono profondamente nel modificare «l’offerta» politica in senso, appunto, populista. In questa chiave è interessante chiedersi quale incontro si possa verificare tra offerta e domanda, in particolare rispetto a un segmento specifico della domanda, ovvero i giovani, che rappresentano l’avanguardia del cambiamento sociale. Obiettivo di questo contributo è quindi quello di rintracciare possibili contiguità e differenziazioni tra questione populista e cultura politica dei giovani.
  • L’articolo analizza l’importanza dello Stato rispetto all’innovazione sociale concentrandosi su due temi collegati: il rapporto fra innovazione e conoscenza e il ruolo dello Stato come istituzione per la conoscenza pubblica. Innovazione sociale è un quasi-concetto, dai contorni e dai significati vaghi. Ciò lo rende malleabile e adattabile a punti di vista differenti e al tempo stesso sfuggente e ambiguo. In effetti la realtà empirica dell’innovazione è caratterizzata da un’elevata eterogeneità. Dopo aver messo in evidenza in che modo le istituzioni e lo Stato intervengono in questo quadro, il saggio discute la dimensione conoscitiva e ideazionale dell’innovazione sociale. L’obiettivo è delineare il profilo di uno Stato innovatore e i problemi che esso incontra alla luce dei cambiamenti dell’azione pubblica in atto negli ultimi decenni. Oltre che supportare processi di upscaling e far fronte al rischio dell’incertezza, questo profilo implicherebbe: mediare e redistribuire poteri ideazionali; sostenere le capacità sociali di configurare nuove connessioni fra problemi e soluzioni; aprire alla discussione pubblica le basi informative delle decisioni.
  • La serie storica delle partenze degli italiani per l’estero dell’ultimo ventennio evidenzia chiaramente un ritorno alla crescita dell’emigrazione italiana che nel decennio della crisi assume i caratteri di un fenomeno emergente. La sua misurazione è una delle questioni cardine nell’analisi del fenomeno. L’articolo affronta questo problema ricorrendo alle statistiche in merito alle iscrizioni e alle cancellazioni dai registri dell’anagrafe comunale e ai dati dell’Aire. Queste informazioni sono poi comparate con i dati delle fonti statistiche dei paesi di destinazione in merito all’ingresso e al soggiorno dei cittadini stranieri.
  • I nuovi migranti si inseriscono in un mercato del lavoro trasformato rispetto ai flussi dei decenni passati. Attualmente nei principali paesi europei avanzano processi di de-regolamentazione e di precarizzazione della forza lavoro. I nuovi impieghi assumono la caratteristica prevalente della sotto-occupazione e vi è stata un’ampia diffusione di forme contrattuali atipiche: in Germania l’area dei nuovi occupati corrisponde quasi perfettamente all’aumento dei part-time, in Francia è per lo più a tempo determinato e nel Regno Unito in alcuni settori si sono estesi gli zero-hours contracts. L’intento dell’articolo è superare l’interpretazione delle attuali migrazioni interne all’Unione europea come causa di dumping sociale. Piuttosto si evidenzia come le fratture tra una parte più esposta alla precarietà e l’altra maggiormente garantita, seppur in diminuzione, avvengano all’interno delle stesse componenti nazionali. Il caso dei nuovi emigranti italiani mette in luce come le trasformazioni del mercato del lavoro dell’ultimo decennio abbiano inciso sul loro inserimento. I dati mostrano un rapido aumento degli italiani occupati, sia nelle attività del mercato del lavoro standard, sia in quello precario e atipico.
  • Il contributo propone un’analisi della recente immigrazione italiana nel Regno Unito. Si tratta di un’immigrazione di «nuova generazione» relativa al periodo che va dall’inizio degli anni duemila fino ai nostri giorni; periodo caratterizzato da forti cambiamenti economici, politici e sociali che sfociano, nel 2016, nell’inaspettato risultato referendario a favore della Brexit. L’analisi del voto pro-Brexit e in particolare di alcuni fattori fondamentali per il suo espletarsi – in primis le politiche migratorie nonché le strutture e il livello di regolazione del mercato del lavoro – forniscono il quadro congiunturale all’interno del quale spiegare i cambiamenti in termini quantitativi e qualitativi dell’immigrazione italiana nel paese.
  • La nuova emigrazione italiana ha perso i tratti distintivi conosciuti in passato: origine territoriale prevalente, matrice operaia e contadina, scolarità relativamente bassa, aggregazione in comunità di italiani regionali se non locali. I «cittadini mobili» hanno ben altre caratteristiche che sottendono nuove esigenze e nuovi bisogni. Il fenomeno della nuova migrazione viene spesso enfatizzato e, contestualmente, «governato». Lo stereotipo della «fuga dei cervelli» sovrasta la meno interessante «fuga delle braccia» che rappresenta, in ogni caso, la componente principale dell’odierno fenomeno. L’articolo, a partire dalla presentazione di alcune storie di casi rappresentativi, si sofferma sulle questioni che maggiormente interessano i nuovi migranti: lavoro, casa, sanità.