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L’articolo affronta il tema dell’emergere di esperienze di innovazione sociale a livello urbano e di quale ruolo possa giocare il governo urbano nella promozione di un ecosistema favorevole a questo sviluppo. Dopo un’introduzione sulla parabola del terzo settore come soggetto di innovazione sociale, verrà affrontato il tema di quali siano le caratteristiche delle forme emergenti di innovazione sociale, a partire dal caso milanese. Verrà quindi messo a fuoco il ruolo delle amministrazioni locali nella loro nascita e fioritura. Infine ci si soffermerà sui meccanismi relazionali messi in campo per produrre emulazione di settore in settore e creare catene di interazioni capaci di favorire una strategia globale di inclusione e contrasto alla disoccupazione. Il tipo di integrazione prodotta a Milano fra settore del welfare e settore dello sviluppo economico, e fra intervento e intervento, presenta molti tratti innovativi e forieri di apprendimenti. La sua efficacia risulta tuttavia limitata dall’assenza di un quadro compiuto di sussidiarietà, e dalla debolezza delle relazioni verticali fra livelli di governo.
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Dalla metà degli anni ottanta, il legislatore italiano ha riconosciuto gli squilibri generazionali della forza lavoro come un tema critico per le prospettive occupazionali del paese. Da allora numerose politiche per la solidarietà inter-generazionale sono state ideate e finanziate con risorse pubbliche, spesso richiedendo l’iniziativa delle parti sociali per la loro implementazione. La rassegna e analisi di tali misure restituisce scarsa evidenza di azioni di contrattazione collettiva finalizzate ad attivare politiche «integrate» che prevedano un collegamento chiaro ed esplicito tra i lavoratori giovani e quelli anziani (in breve, azioni di contrattazione collettiva per la solidarietà inter-generazionale). Nonostante le iniziative introdotte dalla legge, l’attenzione e l’impegno dei governi italiani e delle parti sociali per implementare la solidarietà inter-generazionale sono stati discontinui o insufficienti. L’articolo offre alcune riflessioni sulle condizioni che potrebbero aver finora ostacolato il successo delle iniziative di policy makers e parti sociali per la solidarietà inter-generazionale in Italia, soffermandosi al tempo stesso sulle opportunità offerte alla contrattazione collettiva dal quadro legale recentemente riformato.
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Negli ultimi decenni, il tema della rivitalizzazione dei sindacati ha dato origine a numerose analisi e dibattiti rivolti alle diverse tradizioni nazionali nelle «varietà di capitalismo ». La parità di genere aggiunge una nuova prospettiva a tali dibattiti, mostrando come le donne possano essere sia una variabile decisiva sia uno strumento per la rivitalizzazione dei sindacati. Quali sono le sfide principali che le donne lavoratrici devono affrontare nella situazione italiana attuale e che coinvolgono i sindacati? Quali risorse potrebbero essere disponibili dalla tradizione storica italiana? I lavoratori atipici sono oggi ciò che i lavoratori non specializzati erano nel XX secolo, una sfida per i sindacati che devono dimostrare la propria abilità nel rappresentare una manodopera svantaggiata in crescita, di cui le donne costituiscono una parte consistente. La protezione delle donne in Italia si è sviluppata attraverso una contrattazione collettiva a partire dai tempi della presa di posizione per la parità salariale, fino alla più recente «conciliazione» degli obblighi lavorativi e familiari. I sindacati italiani sono carenti di politiche per le donne lavoratrici, hanno bisogno di migliorare la tutela nei confronti delle donne e la loro promozione nel mercato del lavoro e nella società in cui, specialmente le giovani donne, nonostante le alte credenziali, si trovano ad affrontare il dilemma sempre più frequente di come gestire la propria vita familiare e insieme quella lavorativa. Riteniamo che prendere in esame tali problematiche sia una sfida cruciale per la rivitalizzazione dei sindacati italiani: ciò implica inserire la questione di genere nell’agenda dei sindacati e rendere tale questione una risorsa fondamentale. Ciò implica anche il rinnovo delle pratiche organizzative e delle relazioni di genere all’interno dei sindacati, oltre che l’unione delle politiche del mercato del lavoro con le politiche comunitarie e del welfare. Nonostante il numero delle donne lavoratrici sia in aumento, possiamo osservare una persistente segregazione verticale e orizzontale, che ne rende difficile la rappresentanza.
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Il profondo processo di innovazione digitale ha di nuovo messo al centro la manifattura, ma non può essere definito come la «quarta rivoluzione industriale». Infatti il salto tecnologico nell’utilizzo dell’informatica e dell’automazione avviene dentro sistemi produttivi storicamente consolidati, che derivano dal Toyota production system come sono la lean production e il World class manufacturing. È il limite del Piano nazionale Industria 4.0, che offre consistenti incentivi dentro modeste innovazioni organizzative. Se si vuole avere una rivoluzione industriale, servono cambiamenti culturali e sociali, a cominciare da una innovazione organizzativa che dia nuovi esiti e nuova potenza all’innovazione digitale. Questo processo di cambiamento ha bisogno del contributo dei lavoratori e dei sindacati, attraverso la conoscenza diffusa dei processi innovativi, la formazione continua, lo sviluppo di una organizzazione del lavoro che permetta autoregolazione e autonomia, la contrattazione d’anticipo che tenga il passo con le procedure digitali di anticipazione non solo rivolte allo sviluppo e alla ingegnerizzazione dei prodotti, ma anche alla definizione delle procedure di lavoro.
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Le trasformazioni che incombono sul lavoro e sulle politiche di welfare impongono un ripensamento degli assetti della protezione sociale. In conseguenza della crisi, dell’emergere di nuovi bisogni sociali e anche della tecnologia i sistemi di welfare si trovano oggi ad affrontare una nuova fase di transizione. Gli effetti che la tecnologia produce sul lavoro non riguardano infatti solo gli aspetti legati al tipo di produzioni e al tipo di lavori o skill professionali richiesti. In una accezione più ampia la tecnologia interroga anche il sistema di protezione sociale e le garanzie vecchie, ma soprattutto nuove, da pensare o ripensare per dare risposta ai nuovi bisogni. Che tipo di protezioni sociali immaginare per riconoscere e sostenere il ribilanciamento tra tempi di vita e tempi di lavoro? Tra il lavoro per il mercato che in alcune sue componenti si va riducendo e la liberazione di tempo indotta dal salto tecnologico? In risposta a queste domande l’articolo si sofferma su due grandi questioni connesse tra loro. Da un lato il problema delle nuove politiche di sostegno del reddito e inserimento lavorativo di fronte agli effetti della crisi economica. Dall’altro il riconoscimento e la valorizzazione delle sfere di attività fuori mercato, da riconoscere all’interno di apposite riforme volte a estendere i confini del lavoro e dell’offerta di protezione sociale.
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Nel corso del trentacinquennio cd. neoliberale non si è assistito soltanto a un deterioramento del welfare e dei dispositivi di redistribuzione: la generale ridefinizione delle modalità di accumulazione ha attraversato tutti i settori dell’economia fondamentale, ovvero dello spazio economico che produce i beni e i servizi indispensabili per il benessere e la coesione sociale. A questo proposito, si analizzano alcuni esempi relativi ad attività fondamentali svolte in regime di mercato, ad attività fondamentali privatizzate o in corso di privatizzazione, ad attività esternalizzate. In conclusione, si constata la necessità di scelte di regolazione e di policy che intervengano non soltanto sul welfare strettamente inteso, ma su ciascuno dei settori dell’economia fondamentale, sulla base di dispositivi regolativi differenti.
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Da ormai quindici anni il dibattito sulla riduzione generalizzata del tempo di lavoro ha perso vigore. Ma durante gli anni della crisi il divario tra le ore di lavoro di chi è garantito e a tempo pieno e di chi è precario o a tempo ridotto è aumentato. Allo stesso tempo, in diversi paesi, i governi hanno imposto leggi che tendono ad allungare per tutti le prestazioni lavorative. A tutto questo si aggiunge una crescente deregolamentazione dei rapporti di impiego che porta alla colonizzazione del tempo della vita privata, a straordinari non pagati, ad attività lavorative non retribuite o retribuite solo in modo simbolico. Sembra quindi necessaria una ripresa della discussione pubblica attorno alla riduzione generalizzata dell’orario settimanale come misura per contrastare le crescenti disuguaglianze nel mondo del lavoro e nella società.
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Oggetto dell’articolo è la deregolamentazione delle aperture dei negozi e il processo che ne è a monte. La ricerca empirica che ha portato a tali riflessioni ha lo scopo di indagare le trasformazioni dei tempi e dei ritmi del lavoro nel retail, oggi prevalentemente su turni, domenicale e festivo, nella vendita diretta in due note vie commerciali europee: Oxford Street a Londra e Corso Buenos Aires a Milano. La deregolamentazione delle aperture influenza la vita quotidiana e la rappresentazione del futuro di lavoratori e lavoratrici. È pertanto importante analizzare il processo di liberalizzazione del lavoro così come del consumo da un punto di vista sociologico: due facce della stessa medaglia e due gruppi di interesse connessi e portatori di istanze conflittuali.
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Il presente lavoro offre un quadro di sintesi del report congiunto Oil-Eurofound su Working Anytime, Anywhere. The Effects on the World of Work, che ha per oggetto l’impatto delle Icts sulle relazioni di lavoro in dieci Stati, sia all’interno dell’Unione Europea che in paesi extra-europei. Il saggio si prefigge innanzitutto di analizzare i rischi e le opportunità correlati alla digitalizzazione del lavoro nel capitalismo contemporaneo, principalmente con riferimento agli impatti su orario di lavoro, conciliazione vita-lavoro, salute e sicurezza e produttività. Al contempo ricostruisce un quadro sistematico delle principali politiche normative e contrattuali volte a favorire lo sviluppo di telelavoro e lavoro agile in Europa, con una particolare attenzione al caso italiano.
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