• L’avanzare degli studi su Industria 4.0 pone la necessità di riproporre quegli approcci epistemologici che analizzano il ruolo dei soggetti sociali coinvolti. In base ai primi risultati di una ricerca ancora in corso sulle condizioni di lavoro e salute dei lavoratori impiegati in aziende che stanno adottando tecnologie riferibili a Industria 4.0, l’articolo discute tre dimensioni di analisi cercando di metterne in rilievo alcune criticità. La prima dimensione tratta di un percorso non lineare di sostituzione tecnologica, la seconda mette in risalto la relazione spesso in ombra fra intensificazione del lavoro e salute, la terza cerca di evidenziare alcune linee di continuità con la logica taylorista della produzione.
  • La rivoluzione tecnologica digitale è un processo in corso. Esso sta trasformando l’economia, il lavoro, i consumi e le abitudini di vita delle persone. Gli esiti quantitativi e qualitativi sull’occupazione e sulle condizioni di vita non sono scontati: dipendono dalle politiche che gli Stati fanno (o non fanno) per indirizzare l’innovazione e dalla tutela che il sindacato può fare (o non fare) con la contrattazione territoriale e sul lavoro. Senza questi interventi l’innovazione tecnologica allargherà le diseguaglianze sociali ed economiche. L’innovazione è un veicolo per realizzare gli obiettivi di una crescita sostenibile (economicamente, socialmente e ambientalmente sostenibile).
  • Il sindacato, a tutti i livelli, è chiamato a una nuova e più diffusa capacità di analisi degli avvenimenti sociali, economici, politici, e a costruire intorno alla sua proposta di società, di innovazione sociale e di sviluppo una ricca rete di relazioni. È necessario un coinvolgimento ancora più forte e profondo perché, attraverso l’impegno negoziale e l’alimentazione dei processi partecipativi, si contribuisca a favorire anche la diffusione del potere (anche di genere), anziché la sua concentrazione, si costruiscano rapporti di solidarietà orizzontale, si aumenti la consapevolezza dei propri diritti e delle proprie responsabilità, si rovesci, insomma, la piramide decisionale e si riparta veramente dalla centralità della persona/cittadino, dai suoi bisogni ma anche dalla valorizzazione delle sue competenze, dei suoi saperi.
  • L’obiettivo del volume, che coniuga lo stile diretto di un pamphlet con le riflessioni analitiche di studiosi dei media e dei processi politici, è mettere a fuoco le ragioni che hanno contribuito alla sconfitta delle sinistre, offrendo stimoli utili per rivedere le categorie con le quali le scienze sociali hanno tradizionalmente interpretato la società italiana e che oggi si rivelano inefficaci nel comprendere il mutamento in atto. Le ultime elezioni sono ricostruite criticamente attraverso alcuni snodi problematici: le ipotesi strategiche adottate dai soggetti politici che non hanno retto alla prova dei fatti; le scelte comunicative all’insegna del buonismo e del bon ton; la costruzione mediatica di un senso generalizzato di insicurezza. Gli autori esplorano poi le convinzioni, i giudizi, i consumi culturali degli elettori «indecisi», in particolare di sinistra, e cercano di rispondere a domande cruciali: quante Italie emergono dal voto? Quali contrapposizioni si cementano e quali si annullano? Che peso ha avuto il radicamento sul territorio? E quali scenari si aprono sul futuro, per recuperare il terreno perduto?
  • L’articolo presenta alcune riflessioni sul tema del diritto al reddito a partire dal libro Il reddito di base di Granaglia e Bolzoni (2016). La principale argomentazione esposta è che non vi è sufficiente attenzione al tema del diritto al reddito, che invece, al pari di altri, andrebbe inteso come un diritto di cittadinanza. La prima parte è dedicata a una analisi delle possibili ragioni che determinano questa sottovalutazione, sia sul piano concettuale che su quello politico. La seconda parte dell’articolo si concentra invece sui due principali strumenti di policy che potrebbero garantire tale diritto: il reddito di cittadinanza e il reddito minimo. In particolare vengono illustrate le ragioni che potrebbero giustificare l’istituzione di un reddito di cittadinanza globale e, nell’ultima parte dell’articolo, i limiti delle attuali politiche di reddito minimo europee e i principali nodi aperti nella loro attuazione concreta.
  • Questa memoria è la mia storia di militante comunista intrecciata con la storia del PCI, attraverso i leader che ho conosciuto più da vicino e che più mi hanno coinvolto per la loro personalità e originalità. Ho scelto di raccontare il partito attraverso i suoi leader maggiori come li ho visti io, i rapporti, anche critici, che ho avuto con loro, le suggestioni, i pensieri e, perché no, gli insegnamenti che mi hanno dato. Ne ho scelti dodici, quelli che, secondo me, hanno pesato di più nella vita del partito e soprattutto nella mia vita. La loro peculiarità era la serietà e persino la severità verso se stessi, prima che con gli altri e con il partito. Il che comportava una notevole autodisciplina e coerenza nei comportamenti e prima di tutto nel lavoro e nello studio. Non ignoro che vi era anche una punta di compiacenza elitaria... In tutti c’era un tratto comune che, a mio parere, era il collante principale, che, pur nel confronto più acceso, determinava la coesione e l’unità del gruppo dirigente: la ricerca di un comunismo democratico, prefigurazione viva e concreta della società del domani, in cui tutti, anche i più deboli e più umili, si sentissero utili e valorizzati. Inoltre un rapporto di verità con gli strati popolari fondato sulla coerenza tra parole e fatti: cercare di fare esattamente quello che si dice e di dire esattamente quello che si può fare. L’esatto opposto dell’odierno populismo.