• L’articolo contribuisce alla letteratura sulle aree interne con un’analisi delle politiche per la resilienza dei territori partendo dal caso di Piombino, città siderurgica della costa to-scana interessata da un processo di deindustrializzazione, ormai in atto da più di un trentennio, che ha trasformato uno dei motori dello sviluppo regionale in un’area margi-nale. Tramite l’utilizzo di uno studio di caso longitudinale, l’articolo mostra che non esiste un automatismo tra deindustrializzazione e declino. Piombino è un esempio di strategie di policy che non hanno innescato processi di crescita economica e sociale basati su un modello di sviluppo diverso da quello della grande industria e, al contrario, hanno portato la città ai margini. L’articolo mostra come una serie di criticità nella governance locale e sovralocale e nelle politiche adottate in due giunture critiche per lo sviluppo dell’area hanno accelerato il passaggio della città da polo ad area marginale: la tempistica degli interventi implementati, il policy mix degli strumenti adottati, la presenza di attori che hanno agito secondo una logica estrattiva delle risorse locali, la mancanza di condizionalità negli stru-menti di policy nazionali e la fragilità degli interventi basati sul rafforzamento delle con-nessioni tra attori locali e sovralocali.
  • L’influenza di una precisa ideologia (conservatrice) nelle politiche economiche europee e, conseguentemente, nelle scelte in materia di diritto del lavoro appare ormai evidente. È questa la tesi principale del contributo, che sottopone a critica la richiesta/proposta prevalente nel dibattito politico-sociale: l’aumento della flessibilità del lavoro, in particolare di quella in uscita.
  •   Il volume raccoglie gli atti del Forum Giusta Transizione della CGIL, tenutosi il 6 febbraio u.s. presso la CGIL nazionale, con le conclusioni del Segretario confederale, Christian Ferrari. Link  Politiche per il clima e giusta transizione              
  • Nelle realtà socio-economiche dei paesi occidentali il sapere e le conoscenze scientifiche rivestono un ruolo centrale nella produzione di beni materiali e immateriali, diventano esse stesse una forza produttiva, l’unica capace di produrre valore e vantaggi competitivi durevoli per la knowledge society. Dentro questo quadro teorico l’Unione europea si era prefissata l’obiettivo strategico (per il 2001-2010) di «diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo» e l’ha confermato con il Programma Europa 2020. È in tale contesto che assume una rilevanza significativa lo sforzo di investimento in formazione delle regioni meridionali italiane più svantaggiate, come il programma Master & Back promosso nell’ultimo decennio dalla Regione autonoma della Sardegna, per conferire maggiore spessore al capitale umano dei suoi giovani laureati attraverso esperienze di alta qualificazione al di fuori dell’isola ai fini di un successivo inserimento, una volta specializzati, nel mercato del lavoro locale. Il volume è un’attenta analisi dei meccanismi di una politica che ha guardato solo al lato dell’offerta della forza lavoro, del suo impatto sui livelli di occupazione e dei suoi effetti perversi, come il massiccio brain drain verificatosi alla fine dell’esperienza in seguito a un processo di mismatch con un tessuto produttivo inadeguato e impreparato ad accogliere personale altamente qualificato, o un notevole brain waste, ovvero una sottoutilizzazione delle risorse stesse.
  • In questo contributo si argomenta che – come dimostrano i deboli risultati delle politiche sociali orientate al sostegno della competitività e della flessibilità – le politiche sociali possono conseguire obiettivi di perequazione soltanto entro un’architettura istituzionale che renda lo spazio economico meno incline alla produzione di disuguaglianze. In quest’ottica, si approfondiscono due questioni spesso sottovalutate: il carattere strutturale delle disuguaglianze in una sfera economica in cui domina l’orientamento alla massimizzazione della redditività degli investimenti e le crescenti difficoltà di accesso a beni e servizi essenziali quando il principio di massimizzazione della redditività viene adottato nello spazio dell’economia fondamentale.
  • In Italia soltanto in questi ultimi mesi la proposta di direttiva Bolkestein è uscita dagli angusti ambiti del dibattito accademico-scientifico cui era stata confinata, guadagnando la ribalta del dibattito politico-sindacale nazionale. Ha contribuito in modo decisivo a destare l’attenzione pubblica italiana l’eco della rilevanza che è stata attribuita in Francia a tale proposta di direttiva durante la campagna referendaria per il Trattato costituzionale europeo. ...
  • I quartieri popolari sono divenuti la «nuova questione sociale». Luoghi stigmatizzati dove vivono soggetti e gruppi maggiormente colpiti dai mutamenti degli assetti socio-economici. L’interazione tra processi di esclusione e segregazione spaziale alimenta un circolo vizioso che enfatizza una logica d’emergenza. In tali contesti la presenza di nuclei immigrati rappresenta un ulteriore fattore critico che rafforza l’idea di uno «spazio altro». La risposta dell’azione pubblica è di promuovere le cosiddette «area-based policies» focalizzate sull’assunto di ricostruire il legame sociale e una sorta di socialità positive. Gli effetti di queste politiche risultano deboli poiché non affrontano le cause strutturali della segregazione sociospaziale e, soprattutto, non riducono la distanza tra la periferia e il centro. Vi è, quindi, la necessità di creare nuove forme di cittadinanza attraverso il rinnovamento dell’azione amministrativa e il cambiamento delle periferie in autonomi spazi di dialogo per condividere l’innovazione delle politiche.
  • L’integrazione rappresenta una questione centrale della politica migratoria, in particolare rispetto al riconoscimento di diritti agli stranieri presenti in un territorio, riconoscimento che di fatto, oltre che di diritto, traccia le traiettorie dei migranti e le modalità di inserimento nelle società di accoglienza. Le scelte di politica sociale in questi ultimi anni sembrano andare in una direzione opposta a quella di un welfare universale, nel quale contemperare in modo equo le esigenze di tutte le persone, cittadini o migranti. La scarsità delle risorse disponibili e l’introduzione dei conseguenti meccanismi di preferenza limitano sempre più i possibili beneficiari (attraverso l’inasprimento dei requisiti di accesso), mettendo a forte rischio il riconoscimento della pari dignità sociale e i diritti fondamentali degli stranieri. La riflessione sulla dimensione etico-politica delle politiche di welfare più recenti si offre come spunto per guardare al futuro dell’intervento sociale, nell’ambito dell’integrazione dei migranti, pensando come inscindibili la promozione di politiche di integrazione, il ripensamento dell’organizzazione dei servizi sul territorio e la coesione sociale come fine ultimo di ogni intervento.