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Il congresso della Seconda Internazionale, riunito a Parigi nel luglio 1889, chiamò i lavoratori di tutto il mondo a manifestare simultaneamente per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore. La grande mobilitazione planetaria, fissata per 1° maggio 1890, ebbe una straordinaria riuscita. Così, quello che era stato concepito come un evento unico e irripetibile divenne un appuntamento da rinnovare ogni anno. Iniziava la tradizione del Primo maggio, 130 anni di storia, ripercorsi con linguaggio chiaro ed essenziale in questo libro, che attinge a una documentazione anche inedita e valorizza testimonianze, cronache, episodi poco conosciuti. Si va dai turbolenti comizi anarchici di fine Ottocento alle infervorate piazze del «biennio rosso», prima che la festa ribelle fosse soppressa dal fascismo. Il Primo maggio tornò a celebrarsi nel 1945, a pochi giorni dalla Liberazione e l’anno seguente diede un forte impulso alla campagna per l’avvento della Repubblica. Nel 1947 fu scritta la pagina più sanguinosa: la strage di Portella della Ginestra. Poi la scissione sindacale, le dure contrapposizioni della guerra fredda, la lenta e difficile ripresa del discorso unitario, i cortei di fine anni Sessanta con operai e studenti «uniti nella lotta». Con le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini e delle mentalità il Primo maggio ha perso molti dei suoi caratteri identitari, ma è riuscito a trovare altre e forti ragioni, sperimentando forme e linguaggi inediti, per affermare il valore del lavoro nel nuovo millennio.
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È un punto d’arrivo perché sintesi di un lavoro plurale e collegiale che non risiede solo nelle competenze ed esperienze dei suoi autori. Infatti racconta il lavoro e l’impegno di molte altre persone: studiosi, dirigenti sindacali, esperti e docenti... Ma più di ogni altra cosa questo Manuale è la sintesi, certo ancora parziale e imperfetta, del lavoro di migliaia di delegate e delegati che hanno spostato dal piano teorico a quello contrattuale l’azione della CGIL e del sindacato sui temi della digitalizzazione con risultati incoraggianti. …Certo, di fronte alle sfide e alle incognite che le nuove tecnologie mettono in campo siamo consapevoli della parzialità di questi risultati. Per questo il Manuale è anche un punto di partenza. Non nasconde nessuna delle insidie e dei dubbi che i nuovi modelli tecnologici propongono, ma al netto di ciò, propone indirizzi di sperimentazione contrattuale, nella certezza che senza investimenti e innovazione non avremo mai un «buon lavoro» e neppure un «bel Paese». …Fare questo per noi significa essere parte di un progetto che tenga insieme innovazione e tutela del lavoro, per dare al futuro un’accezione di speranza, sottraendolo agli untori delle paure del nostro tempo… In questo volume abbiamo esposto le riflessioni, i confronti, le testimonianze, le buone pratiche raccolte in questi mesi dal «Progetto lavoro 4.0» della CGIL. Abbiamo preferito organizzare i contributi in capitoli che riguardano le trasformazioni tecnologiche in corso, gli effetti sul lavoro e le professioni, il punto di vista internazionale sul tema, la necessità di arricchire le competenze, l’esame di alcuni casi pilota di confronto sindacale sulle nuove tecnologie, gli indirizzi possibili per una contrattazione (confederale e di categoria) più adeguata all’innovazione. Contributi di Barbara Apuzzo, coordinatrice delle attività di Comunicazione CGIL Elena Battaglini, responsabile area Economica Territoriale Fondazione Giuseppe Di Vittorio Monica Ceremigna, responsabile progetti europei CGIL Fabrizio Dacrema, responsabile Istruzione e Formazione CGIL Alessio Gramolati, responsabile Ufficio Lavoro 4.0 CGIL Cinzia Maiolini, Ufficio Lavoro 4.0 CGIL Chiara Mancini, coordinatrice Idea Diffusa CGIL Simona Marchi, responsabile Formazione sindacale Fondazione Giuseppe Di Vittorio Massimo Mensi, FILCAMS CGIL Giancarlo Pelucchi, responsabile Formazione sindacale CGIL Cristian Perniciano, responsabile Politiche fiscali ed Economia pubblica CGIL Gaetano Sateriale, responsabile Piano del Lavoro CGIL
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- - La provincia di Pesaro e Urbino ha vissuto negli ultimi due decenni il mutamento del suo modello di sviluppo, tuttora in sospeso tra la tradizione dei distretti industriali e gli effetti riorganizzativi, e spesso laceranti, della globalizzazione. Il sistema delle imprese, del lavoro, dell’organizzazione produttiva nel suo complesso, e dell’amministrazione, della società e della cultura ne ha risentito, con modalità e forme diverse, condividendo però lo «spaesamento» per una trasformazione in continuo mutare, da governare, con strumenti spesso inediti e non sempre efficaci. In questa complessa transizione decennale, mutano la trama e l’ordito della provincia di Pesaro e Urbino.
- - Il volume riflette sulle cause e le conseguenze di questa mutazione portando al centro dell’analisi il tema della crisi economica e del cambiamento del modello di sviluppo, la riflessione sulla Terza Italia e i distretti industriali, l’imprenditorialità femminile, lo sviluppo urbano, quello locale e la frattura di genere, la crisi politica della «zona rossa», e la crescita verde e sostenibile coniugata anche al femminile. I saggi che compongono il volume invitano perciò ad una riconsiderazione a tutto tondo, fornendo un quadro organico della provincia da cui emerge la necessità di riportare al centro della riflessione economica e politica dello sviluppo locale, non solo di Pesaro e Urbino, il lavoro, la crescita sostenibile e il benessere.
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- Compatibilità eurounitaria e costituzionale della reiterazione dei contratti a termine nella p.a
- Il diverso regime temporale per la pignorabilità relativa dell’assegno sociale è incostituzionale
- Oneri probatori e licenziamento verbale
- L’altezza quale requisito per l’assunzione può costituire fattore discriminatorio indiretto
- Sciopero spontaneo illegittimo nei servizi e obbligo di aperta dissociazione del sindacato
- Casi di licenziamento discriminatorio avanti i Tribunali di Bologna, Roma e Milano
- La Corte di Giustizia e la discriminazione diretta fondata sulla religione Reddito di cittadinanza e pensione
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Perché vince Salvini? Perché Salvini propone identità e comunità. È un modello difensivo, portato all’ennesima potenza, con lo slogan non nuovo ma efficacissimo di ‘prima gli italiani’. Modello sul quale in fondo la Lega Nord è vissuta anche nel momento in cui era Lega Padana, proprio perché già allora, mentre la sinistra si ‘globalizzava’, continuava a proporre protezione sociale. Questo spiega i flussi di voto dalla sinistra alla Lega, che vedevamo già alla fine degli anni Novanta. Perché? Perché appunto gli operai, i ceti deboli, hanno cercato difese, hanno cercato protezione, e non l’hanno più trovata nella sinistra. Luca Comodo, direttore del dipartimento politico-sociale IPSOS Public Affairs, da quasi quaran t’anni si occupa di ricerca politico-sociale, collaborando con i principali partiti del paese, con istituzioni centrali e locali. È curatore di Flair, la pubblicazione annuale di IPSOS Italia sul clima del paese e le sue prospettive. Nando Pagnoncelli, presidente di IPSOS, con oltre 35 anni di esperienza nel settore delle ricerche di mercato, è responsabile della divisione IPSOS che si occupa delle ricerche sulla pubblica opinione. Insegna Analisi della pubblica opinione nell’Università Cattolica di Milano; è direttore scientifico del Corso di comunicazione politica OPERA (Opinione Pubblica e Rappresentanza) nell’Università degli studi di Urbino Carlo Bo; collabora con Giovanni Floris al programma Di Martedì.
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Welfare abitativo: criticità e prospettive Lo stato della previdenza complementare in Italia Droghe, l’inutile repressione e i vuoti nella relazione al parlamento
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Le politiche abitative in Italia hanno subìto negli ultimi venti anni importanti cambiamenti nei modi di intervento e nei destinatari. Il contributo intende esplorare i discorsi che danno forma alle nuove politiche abitative e riflettere sui loro presupposti e implicazioni sia dal punto di vista delle aspettative dei beneficiari sia da quello delle rappresentazioni che le politiche danno del loro operare e dei risultati ottenuti. Con riferimento alla connessione/tensione esistente tra i molti obiettivi (sperimentazione, innovazione e investimento sociale) dichiarati da parte delle nuove politiche abitative, si ipotizza che tali politiche riescano a essere abbastanza convincenti anche in ragione della capacità di rappresentare le proprie azioni come processi complessi, variamente dislocati nel tempo e nello spazio, e la cui responsabilità va suddivisa tra i diversi attori coinvolti.
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Alcune misure sperimentate in molti paesi europei in questi decenni – come le strategie per combattere la homelessness e l’offerta di un settore abitativo «molto sociale» – sembrano potenzialmente in grado di aumentare l’efficacia sociale delle politiche abitative. Ma c’è anche il rischio che offrano risposte riduttive, soluzioni minori e prive di adeguato valore abitativo, come sistematicamente è avvenuto per i poveri nella storia delle politiche abitative sociali. L’articolo discute le condizioni perché queste misure estendano ai poveri i benefici delle politiche e realizzino effettivamente una estensione del diritto alla casa; sostiene la necessità di integrare le nuove misure nei sistemi di welfare abitativo e indica le condizioni per una loro positiva integrazione; conclude mettendo in evidenza il grande ostacolo allo sviluppo di queste misure e la congiuntura che ne minaccia l’efficacia: l’intreccio tra le nuove forme di marginalità socio-abitativa e le politiche neoliberali.
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L’articolo si interroga sulla relazione tra povertà e casa e sul ruolo delle politiche pubbliche, in particolare per le famiglie in affitto. Attraverso l’analisi dei dati It-Silc 2014 vengono indagate le connessioni tra povertà e difficoltà a sostenere i costi abitativi declinate in termini sia oggettivi che soggettivi. Obiettivo dell’articolo è considerare il ruolo degli housing allowances nel sostenere le famiglie in condizioni di difficoltà economica ad affrontare le spese abitative. Il confronto tra i nuclei in difficoltà nel mercato privato degli affitti con quelli negli alloggi a canone calmierato consente di rilevare la differente portata del supporto pubblico. A questo proposito, l’articolo propone una simulazione di ridefinizione dei canoni per calibrare l’impatto delle differenti forme di sostegno pubblico all’abitare.
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Il contributo si focalizza sul tema della domanda sociale degli anziani fragili, con particolare attenzione al caso italiano e agli assetti di permanenza a domicilio, il cosiddetto ageing in place, con cui si punta a garantire una migliore qualità di vita della persona anziana, contenendo il ricorso a soluzioni più costose come quelle del ricovero residenziale. Tuttavia lo sviluppo dell’ageing in place richiede alcune precondizioni specifiche in assenza delle quali, o con una compromissione delle stesse, si possono determinare forti rischi di isolamento e abbandono per gli anziani più fragili. In questo quadro esperienze innovative recenti, implementate a livello territoriale, hanno puntano a favorire lo sviluppo di nuove forme di sostegno alla domiciliarità e dell’abitare. Tuttavia l’assenza di una politica nazionale e regionale rischia di limitare gli effetti di tali innovazioni.