• Il lavoro ricostruisce sul piano storico-analitico le politiche di reddito minimo in Italia dell’ultimo ventennio. Delle varie misure introdotte si analizzano le caratteristiche distintive, mettendone in rilievo i pro e i contro. Il lavoro si conclude con un esame sintetico delle principali questioni che il consolidamento di una misura di reddito minimo pone all’attenzione del policy maker, anche alla luce dell’accelerazione che il governo Conte intende dare a tali politiche con il progettato reddito di cittadinanza.
  • Nel corso degli anni la Provincia autonoma di Trento ha sperimentato diverse forme di sostegno al reddito per i nuclei familiari in stato di deprivazione o a rischio povertà, come gli assegni per la copertura del minimo vitale e il più recente reddito di garanzia. L’evoluzione delle politiche di inclusione in Trentino ha portato nel 2017 al varo del nuovo assegno unico che riunisce in una sorta di «reddito di comunità» diversi sostegni economici per le famiglie a rischio povertà, per la cura dei figli e per l’inclusione dei disabili. L’Autore prende in esame, quindi, e caratteristiche salienti e le sfide future per una particolare forma di reddito minimo nato all’ombra delle Dolomiti.
  • L’articolo è un commento dell’ultimo lavoro di Guido Baglioni La disuguaglianza e il suo futuro nei paesi ricchi. Dopo aver discusso la contrapposizione tra differenze e disuguaglianze, rilevando il ruolo decisivo della valutazione sociale, la tesi della relativa autonomia delle disuguaglianze nelle condizioni di vita dalla disuguaglianza economica viene messa in relazione con il filone di ricerche sul benessere sociale, secondo il quale la qualità della vita non dipende semplicemente dal Pil pro capite. Questo nuovo approccio, elaborato dal noto rapporto di Stiglitz, Sen e Fituossi (2009) e adottato anche da Oecd e Istat, fornisce un sostegno anche alla tesi di una tendenza all’avvicinamento delle diseguaglianze nelle condizioni di vita. Tendenza che però sembra destinata ad arrestarsi, se non a invertirsi, per la crescente polarizzazione della struttura occupazionale, che frena la mobilità sociale ascendente e provoca anche rischi di mobilità discendente.
  • L’attenzione politica verso i sistemi elettorali è giustificata dall’ipotesi discutibile che esercitino un’influenza decisiva sul grado di frammentazione del sistema partitico e quindi sulla durata dei governi. Di fatto, secondo questo argomento, il grado di frammentazione di un sistema partitico sarebbe determinato dal sistema elettorale, e questo ultimo dunque sarebbe Le leggi elettorali e il falso mito deQlla loro influenza sulla «governabilità» 225 la causa principale della presenza dei partiti anti-sistema, dell’instabilità del governo e della coesione variabile della maggioranza che lo sostiene nell’arena parlamentare. Dopo aver discusso e criticato questa ipotesi generale, questo articolo presenta un quadro comparativo di dati sulla durata dei governi nelle democrazie europee, suggerendo delle spiegazioni alternative. In effetti, lo status dei governi nelle democrazie europee varia a seconda del loro grado di integrazione nell’arena parlamentare. Viene formulata una nuova ipotesi generale, in base alla quale quanto più un governo è integrato nell’arena parlamentare, tanto più estesa risulta la sua durata in carica. I dati comparativi supportano quest’ipotesi e gettano nuova luce sul legame tra governo e processo democratico.
  • Durante il regime nazionalsocialista si verificò una certa eclissi della classe operaia tedesca come soggetto sociale autonomo in grado di condizionare, seppur parzialmente, la politica e la guerra. La classe operaia tedesca per certi versi perdette consistenza come forza autonoma e venne integrata in misura importante nei meccanismi totalitari, di cui condivise alcuni indubbi vantaggi, sottoposta a un livellamento sociale e culturale che ne alterò il profilo e ne ridefinì parzialmente valori e modelli di comportamento. Lo sfruttamento delle risorse, materiali e umane, dei popoli sottomessi a vantaggio della popolazione tedesca modificò sensibilmente anche le condizioni sotto le quali il mondo del lavoro affrontava la guerra, almeno fin quando i bombardamenti strategici degli Alleati sulla Germania non renderanno le condizioni di vita della popolazione durissime. Inoltre, il regime fu capace di introdurre misure riguardanti il diritto del lavoro che mostravano un’attenzione reale e non solo retorica al mondo del lavoro: a titolo esemplificativo possiamo citare la protezione contro i licenziamenti ingiustificati, il salario garantito in caso di malattia, miglioramenti della previdenza sociale, l’equiparazione tra operai e impiegati ecc. Le reazioni alle difficoltà della guerra per la classe operaia non si tradussero in un protagonismo collettivo quanto piuttosto nell’accentuazione di una tendenza già avvertibile negli anni di pace: il ritiro nel privato, l’isolamento dall’esterno e la limitazione dell’interesse alle cose di importanza più immediata. Il movimento nazionalsocialista, inoltre, avviò nella società una mobilità verticale sostanzialmente sconosciuta alla Germania. Il regime, a maggior ragione negli anni della guerra, puntò decisamente sulla razionalità e la modernità in campo tecnico ed economico a dispetto di un’ideologia strettamente legata all’antimodernismo völkisch. Questo favorì come non mai la concentrazione industriale conferendo una spinta decisiva al concentramento della forza lavoro nelle grandi industrie. Le tradizionali barriere professionali e i limiti geografici del mercato del lavoro vennero letteralmente spazzati via dal controllo statale sull’impiego di manodopera favorendo una mobilità enorme sia territoriale che sociale.