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Riccardo Terzi. Il delizioso sapore dell’agrodolce
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Salvati o affossati dall’Europa?
Agli inizi degli anni duemila ci si attendeva che il regime di governance associato alla moneta unica potesse «salvare l’Italia» costringendo gli attori economici e la classe politica a ristrutturarsi e a cambiare. A distanza di 15 anni è opportuno prendere atto che tali aspettative non si sono realizzate e interrogarsi lucidamente sul da farsi. Non solo l’adesione ai vincoli europei non ha salvato l’Italia, ma ha contribuito probabilmente (per quanto la prova controfattuale non sia disponibile) alla sua stagnazione. I sindacati e le associazioni imprenditoriali farebbero bene a rendersi conto che un sistema istituzionalizzato di relazioni industriali è difficilmente compatibile con l’imperativo di «svalutazione interna» – l’unico meccanismo di aggiustamento dell’eurozona – e che piani alternativi di distribuzione più equa dei costi dell’aggiustamento tra paesi forti e paesi deboli sono politicamente poco probabili.
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È più giusto e più plausibile cambiare l’Europa piuttosto che uscire dall’euro
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Uscire dall’euro? Né realistico né desiderabile
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Un coordinamento bilanciato della contrattazione. Presentazione
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CM 6-2019
12.00
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Editoriale
Aldo Tortorella
, L’eredità di un trentennio
Osservatorio
Giulio Marcon
, L’economia italiana vaso di coccio tra i giganti globali
Giorgio Mele
, L’Umbria e l’Italia
E. Igor Mineo
, L’occasione perduta di una nuova sinistra europea
Vittorio Sergi
, Il Rojava tra confederalismo democratico e monoculture autoritarie
Paolo Soldini
, Trent’anni dopo: Berlino in cerca di una vera leadership europea
Guido Liguori
, Per la difesa della storia e della memoria, contro l’equiparazione di comunismo e nazismo
Laboratorio politico
Roberto Finelli
, Nuove tecnologie, mente orizzontale e diritto al riconoscimento
Eleonora Piromalli
, Una teoria critica della società capitalistica da Nancy Fraser e Rahel Jaeggi
Sergio Dalmasso
, Sartre e la rivolta d’Ungheria del 1956
Ripensando il passato
Aldo Tortorella
, La rivoluzione russa e lo Stato sovietico
Schede critiche
Sergio Caserta
, Sindrome 1933 e sindrome leghista
Alberto Leiss
, Una via digitale al “NeoSocialismo”?
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La contrattazione coordinata in Europa: da un’erosione incrementale a un attacco frontale?
La possibilità di applicazione dei contratti collettivi coordinati multi-employer, caposaldo della regolamentazione del mercato del lavoro nei paesi dell’Europa occidentale, è stata ulteriormente indebolita con l’avvento della crisi. La spinta continua al decentramento aveva già nel tempo ridotto la capacità degli accordi di settore di definire standard universali applicabili a livello aziendale. I meccanismi procedurali di articolazione tra i due livelli di contrattazione sono, infatti, divenuti progressivamente più deboli e incerti. Con l’avvento della crisi, nei paesi dell’Europa settentrionale questo processo si è spinto ulteriormente avanti; nell’Europa meridionale è invece in corso un vero e proprio attacco – sostenuto dalle istituzioni europee – nei confronti degli accordi di contrattazione multi-employer. Le misure di rafforzamento della governance economica europea indotte dalla crisi rendono più urgente la necessità di un coordinamento transnazionale della contrattazione; tuttavia l’indebolimento delle capacità di coordinamento effettivo dei sistemi nazionali di contrattazione indebolisce questa prospettiva.
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Negoziare gli effetti dell’incertezza? In discussione la capacità di governance della contrattazione collettiva
Questo articolo si basa su quattro argomentazioni. In primo luogo la contrattazione collettiva è in grado di mitigare gli effetti negativi generati dalla volatilità del mercato e dal processo di adattamento alle sue regole, attraverso la definizione di intese che garantiscono certezza sostanziale e procedurale sia ai lavoratori sia ai datori di lavoro, e una maggiore sicurezza ai lavoratori. In secondo luogo le intese contrattuali multi-employer sono più idonee a svolgere questa funzione rispetto a quelle single-employer. In terzo luogo vi sono differenze istituzionali fra le intese contrattuali multi-employer relative alla governance della contrattazione aziendale che influenzano in misura notevole la loro capacità di promuovere certezza e sicurezza del lavoro. In quarto luogo la pressione dovuta alla crisi sta accelerando l’adattamento al mercato della contrattazione collettiva multi-employer, con effetti potenzialmente dannosi sulla sua capacità di attenuare le spinte negative.
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Le traiettorie dei sistemi «mediterranei» di relazioni industriali, tra convergenze e divergenze. La Francia e i suoi vicini del Sud (Italia e Spagna)
L’articolo analizza le traiettorie dei sistemi «mediterranei» di relazioni industriali, identificando due tendenze comuni: l’unilateralismo del governo e il decentramento in deroga della contrattazione collettiva. Dopo avere preso in esame l’efficacia dei cambiamenti imposti in Spagna e in Italia, l’autore si concentra sul caso francese. Qui la vitalità della contrattazione collettiva e della consultazione tripartita ha attenuato il tradizionale predominio della regolazione pubblica. Tuttavia è ancora il governo a fissare le scadenze della consultazione, che dal 2000 si basa sulla richiesta di decentramento in deroga da parte dei datori di lavoro. Dopo il fallimento del 2015, il governo cerca di imporre un’iniziativa legislativa unilaterale.
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L’impatto della nuova governance europea sulla contrattazione collettiva. Un confronto fra Italia, Spagna e Portogallo
Fra le ricette che compongono la nuova governance economica europea, la revisione dei sistemi contrattuali ricopre un ruolo di forte preminenza. Grazie a essa, è l’assunto, i paesi più colpiti dalla crisi potrebbero recuperare quote di competitività, agendo sulla leva dei prezzi, e dunque dei costi del lavoro. Nella severa cornice dei Trattati, e sotto la vigile regia del Semestre europeo, le istituzioni europee hanno letteralmente dettato l’elenco delle riforme da adottarsi in tema di lavoro e relazioni industriali. L’obiettivo è quello di dotare le aziende della facoltà di determinare flessibilmente le condizioni salariali e di lavoro dei propri dipendenti. Ciò ha richiesto l’allentamento della tradizionale gerarchia delle fonti, ampliando le prerogative del contratto aziendale, congelando le procedure di estensione erga omnes e/o i salari minimi legali, dove vigenti, bloccando la contrattazione del settore pubblico. Fra i paesi che più hanno patito il combinato disposto di queste misure vi sono Spagna, Portogallo e Italia, storicamente accomunati da certo grado di coordinamento della contrattazione, e oggi costretti a fare i conti con una spinta al decentramento, inedita anche per il carattere unilaterale e non concertato dell’interventismo pubblico. L’articolo ne ricostruisce tappe, contenuti e criticità, rilevandone analogie e divergenze, sotto il profilo dei risultati e del diverso rapporto fra Stato e autonomia collettiva.
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Le relazioni industriali: alcune questioni aperte
L’articolo sviluppa il dibattito sulle possibili riforme delle relazioni industriali in Italia in tre distinte ma collegate aree di discussione: la struttura della contrattazione collettiva, le modalità di partecipazione diretta dei lavoratori alle decisioni riguardanti l’organizzazione del lavoro in azienda, e il sistema di rappresentanza, collegato alla validità erga omnes dei contratti nazionali e aziendali. L’articolo sviluppa proposte in ciascuno di questi campi di indagine. Innanzitutto mostra come sia possibile riformare il sistema di contrattazione collettiva, lasciando al contratto nazionale il ruolo di determinare i salari minimi, con il contratto aziendale che determina invece la dinamica dei salari di fatto. In secondo luogo si auspica l’applicazione di un metodo di partecipazione diretta dei lavoratori all’organizzazione del lavoro che in qualche modo ricalca il modello duale tedesco, con la contrattazione che deve essere separata dalle pratiche partecipative.
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Suggestioni per la riforma della contrattazione collettiva: dalla Francia all’Italia
L’articolo prende spunto dalla presentazione del rapporto commissionato dal primo ministro francese a un gruppo di esperti al fine di indicare un percorso di riforma della contrattazione collettiva volto a rendere più dinamica tale forma di regolazione sociale rispetto alla complessità delle nuove sfide economico-sociali. Malgrado le differenze strutturali, le sfide con cui i sistemi di contrattazione collettiva francese e italiano si confrontano nei due paesi sono simili: l’analisi delle criticità rilevate e le proposte avanzate in quel contesto possono quindi fornire alcune indicazioni utili anche per la riforma del sistema contrattuale nel nostro paese.
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