• Una delle principali questioni aperte nel paese è il tema previdenziale. In particolare sembra essere sempre più diffusa la consapevolezza che sia necessario ripensare il sistema alla luce del nuovo contesto sociale, economico e demografico, per dare finalmente certezza alle persone, dopo anni nei quali, fra interventi dettati dall’emergenza, come la legge Monti- Fornero, o le diverse misure sperimentali e a termine, si è determinata una disorganicità e una instabilità normativa e si sono messe le persone nell’impossibilità di costruire dei progetti di vita aderenti alle diverse condizioni soggettive e familiari. Negli ultimi mesi è ripreso il confronto fra il Governo Draghi e Cgil, Cisl e Uil su questa materia, che però ha subìto anch’esso i contraccolpi dalle drammatiche vicende internazionali. Non è quindi al momento prevedibile se vi siano le condizioni e le volontà politiche per arrivare, finalmente, alla positiva conclusione di un percorso di riforma o, al contrario, come è avvenuto nelle diverse fasi recenti, a fine anno si ripiegherà su ulteriori interventi parziali o temporanei. Per capire meglio i diversi aspetti della questione può essere utile ricomporre un aggiornato quadro d’insieme facendo il punto su quello che è accaduto in questi anni, sulle iniziative intraprese e sui comportamenti assunti dei diversi attori, sulle decisioni che si sono determinate, sulle analisi e sulle criticità emerse, sullo stato dell’arte ad oggi.
  • In questo articolo si discutono i limiti dell’attuale sistema pensionistico italiano e si individuano possibili linee di riforma. Nella prima parte si ragiona sull’opportunità di introdurre forme di pensionamento flessibile che, sulla base di una riduzione attuariale sull’importo della quota retributiva della pensione, offrano la possibilità di ritirarsi prima del conseguimento dei requisiti per la vecchiaia. Nella seconda parte si discute di come migliorare le prestazioni pensionistiche future dei lavoratori interamente aderenti allo schema contributivo e si propone l’idea di «pensione di garanzia» di carattere previdenziale, ovvero un’integrazione dell’importo della pensione di entità variabile a seconda della storia lavorativa individuale.
  • L’articolo analizza le caratteristiche dell’Assegno unico e universale (Auu), entrato in vigore in Italia il 1° marzo 2022. L’Auu viene inizialmente collocato nel quadro delle politiche familiari italiane, come misura strutturale di trasferimento economico a sostegno della natalità. Viene quindi proposta una comparazione con altre misure di trasferimento alle famiglie con figli attualmente in vigore in altri paesi europei. Infine, anche in virtù dei precedenti confronti, sono presentate alcune considerazioni su potenzialità e limiti di tale misura. Da una parte l’Auu rappresenta una novità nel panorama delle politiche familiari italiane: semplifica le misure preesistenti, offre garanzie di continuità dei trasferimenti, si basa su un principio universalistico e pertanto si definisce come politica quasi puramente a sostegno della natalità. Allo stesso tempo si evidenziano alcuni limiti (in termini di chiarezza, entità, facilità di accesso e universalità) che, secondo gli autori, richiedono un adattamento della misura in fasi successive, nonché un sistema di monitoraggio e valutazione costante.
  • L’articolo delinea il passaggio dall’assegno familiare all’Assegno unico e universale per i figli a carico introdotto con il decreto legislativo n. 230/2021. In particolare si evidenziano le criticità che questo passaggio ha portato con sé e si dà conto della posizione del sindacato, rimarcando come si tratti di una riforma che necessita di opportuni correttivi onde evitare di penalizzare le famiglie non tradizionali, gli stranieri, i percettori di Reddito di cittadinanza.
  • Le molte forme di solidarietà e mutualismo dal basso che si sono manifestate in questi anni, sia nel contesto della crisi economica sia in risposta alla pandemia di Covid-19, dalle grandi organizzazioni sociali alle occupazioni abitative, dai gruppi di acquisto solidale alle fabbriche recuperate, passando per i centri sociali e le sperimentazioni di welfare dal basso, sono state spesso interpretate come fenomeni del tutto spoliticizzati, forme di «resilienza» incapaci di produrre resistenza e alternativa, risposte automatiche di un corpo sociale che si adatta a contesti emergenziali senza sviluppare pensiero critico e traiettorie di attivazione collettiva di lungo periodo. Questo articolo propone uno sguardo più complesso su questi fenomeni, concentrandosi su quelli più strettamente legati a un background e una prospettiva di movimento, e analizzandoli dal punto di vista dello studio dell’azione collettiva, trattandoli come casi di azione sociale diretta. L’analisi, basata su un lungo lavoro di ricerca sul campo, permette di far emergere i processi di interazione tra percorsi di politicizzazione di lungo periodo e momenti di attivazione di massa emergenziale. Un quadro d’insieme che indica alcune tendenze di fondo di trasformazione dell’azione collettiva all’inizio XXI secolo.
  • Le forme di azione collettiva si modificano con il mutamento della società. Così, nel terzo decennio del XXI secolo, i movimenti sociali urbani e le azioni dirette presentano caratteristiche tanto peculiari quanto ambigue: frammentazione, depoliticizzazione, ricerca del consenso più che di conflitto, professionalizzazione della partecipazione. Il presente contributo, seguendo un’ipotesi originale di costruzione tipologica fondata sul doppio binomio «consenso-conflitto» e «società-comunità», offre una prospettiva di analisi di alcune, recenti, esperienze di azione diretta, mettendone in luce proprio la loro «natura ibrida».
  • Da cinquant’anni i sistemi politici centrati sulle organizzazioni di partito mostrano difficoltà di governo. La sovranità popolare, retoricamente riconosciuta in molte costituzioni, in realtà è ovunque contrastata dall’intento di tutti i partiti di mantenere nelle proprie mani il potere. La dialettica delle forze di cittadinanza, nelle varie sue manifestazioni e forme organizzative, rende visibile una politica diffusa che, affiancandosi a quella gestita da ceti professionali ristretti (sempre più piegati agli interessi delle forze economiche e finanziarie dominanti), mostra come la sovranità popolare sia un processo di costruzione complesso, ma necessariamente inclusivo della partecipazione anche di minoranze e perfino di individui singoli. La regola di maggioranza non può essere la sola via di soluzione dei conflitti. Occorre riconoscere poteri di minoranze. Dal Terzo settore e dal mondo della cittadinanza attiva vengono spinte a sviluppare e articolare la democrazia in questa direzione. Una riflessione sugli svolgimenti costituzionali dell’esperienza italiana mostra come sia possibile un ulteriore sviluppo della democrazia, senza rottura della costituzione formale esistente.
  • Il contributo si concentra sulla povertà salariale o povertà lavorativa ponendo in evidenza la necessità di interventi di natura multidimensionale per contrastarla. La stessa azione delle organizzazioni sindacali, della Cgil, deve potersi muovere su diverse direttrici nella dimensione contrattuale, sia quella collettiva nazionale che quella aziendale e territoriale.
  • Sono passati trent’anni dall’approvazione della legge sulla cooperazione sociale. Se si considerano le prime esperienze degli anni ’70, ben più lungo è il cammino di questo poliedrico attore sociale. E molteplici sono i tratti caratterizzanti che via via si sono aggiunti: aziendalizzazione, ibridazione profit e finanza di investimento, riconfigurazione dei rapporti con la pubblica amministrazione ecc. Attore multiforme anche per la variabilità di dimensioni, culture organizzative, vision e mission ecc. che lo caratterizzano. Tutto ciò ha legami e impatta sul radicamento territoriale, suo elemento distintivo. Fondamentale, quindi, risulta essere la questione del se e come la cooperazione sociale possa continuare ad abitare e appartenere a un territorio. A partire dai dati disponibili, il contributo offre: una profilatura del mondo della cooperazione sociale sia di inserimento lavorativo che di erogazione di prestazioni sociali, sanitarie e educative; un approfondimento dei processi trasformativi endogeni, e di contesto, di maggiore rilevanza per le seconde; la focalizzazione su alcuni interrogativi e sfide nella relazione con i sistemi di welfare locale, particolarmente stressati dalla pandemia da Covid-19.
  • Gli immigrati, spesso confusi con i richiedenti asilo sbarcati sulle coste italiane, sono esposti a rappresentazioni stereotipate: come predatori delle risorse nazionali, oppure come poveri da assistere. Il nesso tra immigrazione e volontariato è declinato come un insieme di attività svolte da organizzazioni e cittadini italiani a favore degli immigrati. Questo articolo presenta invece i risultati di una ricerca che ha indagato il versante opposto: la partecipazione ad attività di volontariato da parte di persone di origine immigrata: sono stati raccolti 658 questionari e 89 interviste in profondità, a livello nazionale. Il fenomeno è interpretato alla luce della letteratura sulle esperienze di cittadinanza dal basso. Mediante il volontariato, i protagonisti rivendicano piena appartenenza e volontà d’integrazione nella società italiana. Lo fanno a volte esibendo consapevolmente simboli identitari, come il velo islamico. Oppure dando un significato micro-politico alle attività svolte, per esempio aiutando i nuovi arrivati a navigare nei meandri della burocrazia dell’accoglienza. Altre volte ancora, più esplicitamente, collegando le attività solidaristiche con la militanza associativa e l’attivismo politico.
  • Il contributo propone una riflessione sul volontariato organizzato in Italia negli anni tra la crisi del 2008 e quella pandemica. Si compone di due parti. La prima ricostruisce i mutamenti più significativi nell’identità delle organizzazioni di volontariato in Italia, mettendo in evidenza l’eterogeneità interna di questo pezzo di solidarietà organizzata e le tendenze nel campo delle attività e delle azioni di tutela dei diritti. La seconda parte, attraverso documenti e banche dati di fonte Caritas, propone un focus sul volontariato di base tra le due crisi e indaga il cambiamento nell’ambito dei servizi e in quello dell’advocacy. Ne emergono considerazioni conclusive sia sulla tendenza adattiva delle organizzazioni di volontariato sia sulla presenza di alcune tracce di innovazione riferibili al rafforzamento dell’advocacy e alla partecipazione di volontari giovani.
  • RPS N. 1/2022

    22.00 
    L’azione sociale oggi in Italia
    • Volontariato, cooperazione, movimenti sociali e mobilitazione civile
    • Assegno unico e universale tra equità e sostegno alla natalità
    • Quale Riforma per il sistema previdenziale