• Il 28 maggio 1974 una bomba esplodeva a Brescia, in Piazza della Loggia, dove era in corso una manifestazione unitaria contro il terrorismo neofascista indetta dalla Federazione CGIL-CISL-UIL e dal Comitato antifascista della città. Otto morti e centodue feriti sono stati il bilancio di quella strage, venuta a comporsi nella lunga teoria di attentati che da Portella della Ginestra alla stazione di Bologna per decenni ha insanguinato l’Italia senza che nessuno dei mandanti e dei protettori della mostruosa trama eversiva sia stato individuato e colpito. E anche gli esecutori materiali di quegli attentati quasi mai sono stati individuati. Così è stato anche per la strage di Piazza della Loggia sulla quale, dopo 38 anni di indagini e processi, il 14 aprile 2012 la Corte d’Assise di Appello di Brescia ha calato definitivamente il sipario giudiziario assolvendo tutti gli imputati e umiliando qualsiasi aspirazione di giustizia e di verità. Attraverso saggi e memorie il libro ricostruisce quella drammatica giornata e il lungo iter giudiziario che ne è seguito, collocandoli nel più generale quadro della strategia della tensione e proponendo anche in un Dvd allegato il documentario Scene di una strage del regista Lucio Dell’Accio.
  • Il libro si propone come strumento didattico sulla storia del sindacato in Italia dalle origini ai giorni nostri, con un approccio sintetico che guarda con occhio comparativo sia ai modelli che alle principali esperienze storiche in campo europeo. La prima parte si concentra sulle formulazioni teoriche elaborate da Marx, Lenin, Sorel, dai coniugi Webb e dagli americani Perlman e Tannenbaum, che forniscono il quadro in cui si sono affermati i differenti modelli organizzativi: dal peculiare modello britannico al modello rivoluzionario e a quello riformista, con un focus sulle esperienze corporativistiche tipiche dei regimi dittatoriali e totalitari (Italia, Spagna, Francia e Germania). Prosegue con l’analisi della fase che va dalla nascita delle federazioni di mestiere e delle Camere del lavoro in Italia, all’affermazione del modello confederale, con la fondazione nel 1906 della CGdL, mentre nel Paese matura il processo di industrializzazione. La seconda parte del libro è invece dedicata alle vicende sindacali dell’Italia repubblicana alla luce dei principali avvenimenti storici, dalla ricostruzione al miracolo economico, dalla grande mobilitazione del ’68-69 alla crisi degli anni ’80, sino ai giorni nostri, contraddistinti dalla massiccia immissione della flessibilità e della precarietà nel mercato del lavoro. Il volume si propone come uno strumento di facile consultazione, non tralasciando nell’esigenza della sintesi le principali interpretazioni storiografiche e gli indispensabili riferimenti bibliografici.
  • Nel 2009 la provincia di Modena compie centocinquant’anni. L’ordinamento dell’Istituzione Provincia, così come quello delle amministrazioni comunali, risale infatti al Regno d’Italia, che ne formulò una prima organizzazione fra il 1859 e il 1865. Sebbene tali istituzioni vengano spesso dipinte come soggetti votati alla conservazione, i mutamenti degli scenari socio-politici hanno in verità prodotto, di volta in volta, profonde modificazioni sulla loro natura. Così sembra essere stato anche per la provincia di Modena, la cui storia viene qui ripercorsa nel contesto dell’Italia liberale, fascista e repubblicana. L’indagine, curata dall’Istituto storico di Modena, si muove su piani diversi cercando di analizzare, oltre ai ruoli e alle funzioni dell’Ente, la cultura degli amministratori e le politiche che hanno caratterizzato la finanza locale, i servizi sociali, l’istruzione, la creazione di infrastrutture, i rapporti tra centro e periferia, i nuovi bisogni posti dai processi di modernizzazione in relazione alla specificità del territorio.
  • L’esistenza di una corrispondenza tra brevetti, innovazione e benessere sociale è spesso assunta come un dato inequivocabile nel dibattito pubblico, nonostante un’ampia letteratura economica, teorica ed empirica, abbia evidenziato i molti limiti del sistema brevettuale come strumento al servizio del benessere collettivo. La pandemia da Covid-19 ha reso più evidenti alcuni di questi limiti, e la difficile conciliazione di brevettazione e giustizia sociale. In questo articolo, a partire dalla ricognizione di alcuni nessi tra proprietà intellettuale e disuguaglianze, si esplora uno degli aspetti più controversi messi a nudo dalla pandemia: la circostanza che le attuali prassi in materia di gestione dei diritti sui risultati della ricerca finanziata con fondi pubblici limitano e distorcono la capacità di perseguire gli obiettivi sociali che ne costituiscono la ratio. È necessario un ripensamento dell’interfaccia fra ricerca pubblica e ricerca privata in tutti i settori e per tutti i soggetti coinvolti. Definire i diritti sui risultati delle collaborazioni pubblico-privato ex ante, in modo prevedibile, vincolante e orientato alla massimizzazione dell’accesso alla conoscenza derivante dalla ricerca pubblica consentirebbe miglioramenti non solo sul piano dell’accesso equo a prodotti e servizi innovativi, ma anche e soprattutto su quello dell’innovazione continua.
  • Bruno Buozzi

    20.00 
    Vincitore del Premio Fiuggi Storia 2014, sezione Biografie 4 giugno 1944. E’ il giorno della Liberazione di Roma ma anche dell’eccidio de La Storta. Ora un libro ricostruisce la vicenda e fa luce sui colpevoli. Un inedito e sorprendente pezzo di storia d’Italia. A settant’anni dalla morte, Mammarella ricostruisce la vicenda politica di una delle più importanti figure della storia italiana del Novecento. Ma non si tratta di una semplice biografia perché nel volume compaiono documenti fino a oggi sconosciuti e rivelatori di una storia ignota, ricchissima di sorprese e di rivelazioni. Il volume ci restituisce ricostruzioni inedite di molti avvenimenti cruciali. Tra quelle più interessanti, la complessa vicenda dell’eccidio de La Storta del 4 giugno 1944. L’autore formula nuovi elementi di sospetto sulla strage, evidenziando un dato finora passato inosservato: la presenza quanto mai sospetta di Kappler e Priebke nella stessa area della strage. Dal libro emerge chiaramente che fu proprio Priebke a orchestrare la cattura di Buozzi, poi giustiziato senza apparente motivo. E ancora, un Mussolini inedito che, timoroso dell'occupazione delle fabbriche ordinata da Buozzi, si reca dal capo sindacale prostrandosi nel tentativo di non essere spazzato via dalla scena politica. Una storia sindacale e politica, dunque, che è anche e soprattutto una storia dell’Italia del Novecento. Al nome di Bruno Buozzi (1881-1944) sono legati eventi unici e irripetibili. Operaio autodidatta riesce in breve ad affermarsi come leader sindacale diventando l’artefice di lotte operaie plateali e dirompenti come l’occupazione delle fabbriche. Convinto socialista, respinge la violenza come mezzo di lotta e abbraccia l’idea riformista della gradualità delle conquiste sociali. Tra i suoi primati si contano numerose conquiste sindacali, prima fra tutte la giornata lavorativa di 8 ore. Antifascista e avversario di ogni estremismo politico, socialdemocratico convinto che la democrazia debba essere in primo luogo nelle fabbriche. Buozzi muore nel giugno del 1944 per mano dei nazifascisti.
  • Il volume è dedicato al grande matematico italiano Bruno de Finetti nel trentennale della scomparsa, commemorato di recente dall’Accademia nazionale dei Lincei di cui fu socio autorevole. Bruno de Finetti, di elevato prestigio internazionale, è soprattutto noto per essere tra i fondatori della concezione soggettivistica della probabilità, che con i suoi teoremi assunse definitiva sistemazione scientifica. Ma ha dato significativi contributi anche alla disciplina economica e alla riflessione riformatrice per un mondo «accettabile» sul piano individuale e della collettività; in ricercata coerenza con la sua concezione probabilistica che è stata pertinentemente considerata la «logica dell’incerto». Contro ogni determinismo e intolleranza intellettuale, particolare attenzione dedicò anche alla didattica che rifiutasse ogni forma di indottrinamento passivo, ma che suscitasse le autonome capacità logico-intuitive dei discenti. Il volume, nel pubblicare alcuni suoi scritti significativi, mette in evidenza la sua statura di economista, di riformatore sociale e di persona impegnata nella difesa dei diritti civili, per la quale rischiò anche l’arresto. In particolare viene ricordata un’esperienza unica nel panorama intellettuale ed economico in Italia: quella dei corsi CIME (Centro Internazionale Matematico Estivo) diretti dal Nostro, da metà anni sessanta a metà anni settanta. Corsi che videro la presenza di alcuni tra i massimi economisti internazionali e a cui parteciparono molti giovani economisti italiani, oggi accademici. Bruno de Finetti (Innsbuck, 13 giugno 1906 - Roma, 20 luglio 1985). Laureato in matematica nel 1927, è subito assunto all’ISTAT dove lavora sino al 1931, per passare poi alle Assicurazioni Generali di Trieste che lascia nel 1946 per dedicarsi all’insegnamento. Libero docente già dal 1930, insegna prima all’Università di Trieste dal ’47 al ’54 e poi a Roma. Presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma insegna matematica generale e finanziaria sino al 1961. Si trasferisce poi alla Facoltà di Scienze come titolare della cattedra di calcolo delle probabilità, che tiene sino al 1976. È autore di oltre 300 lavori scientifici, che spaziano dal calcolo delle probabilità alla matematica attuariale, dall’economia alla teoria delle decisioni, dalla filosofia della probabilità alla didattica della matematica. La sua opera più importante, tradotta in molte lingue, è Teoria delle probabilità (Einaudi, 1970; Giuffrè, 2005). Ha lavorato anche nel campo dell’automazione, della ricerca operativa, dell’organizzazione aziendale e dell’Amministrazione statale. Ha dedicato il suo impegno anche ai diritti civili e a un riformismo sociale a vantaggio degli individui e della collettività. Numerosi i riconoscimenti nazionali ed internazionali compreso quello di socio nazionale dell’Accademia dei Lincei.
  • A dieci anni dalla morte di Bruno Trentin si è scelto di pubblicare i diari del periodo che va dal 1988 al 1994, non soltanto perché sono gli anni in cui è segretario generale della Cgil, cercando di rinnovarla profondamente, ma soprattutto perché è in atto un passaggio d’epoca di cui Trentin è testimone e insieme interprete: il crollo del comunismo e la fine dell’Urss con lo scioglimento del Pci e la nascita del Pds; e in campo economico l’avvio di quella rivoluzione industriale che vede la crisi del fordismo e l’affermarsi dell’economia digitale. Aprire questi diari oggi, di fronte alla crisi del sindacato, di tutti i sindacati, e degli altri corpi intermedi, i partiti prima di tutto, una crisi giudicata irreversibile da molti, dà speranza. Perché in anni così dram matici come quelli qui narrati, in mo do particolare nell’Italia delle mancate riforme, dei governi deboli e inaf fidabili, della fine dei partiti di massa, Trentin cerca, riuscendoci in parte, di dare un nuovo ruolo al sindacato, a livello nazionale ed europeo, non soltanto nella difesa mai corporativa degli interessi del mondo del lavoro, ma soprattutto come attore sociale di nuova conoscenza e di nuova cultura. Trentin supera il sindacato ideologico a favore di un sindacato capace di trattare e di lottare per i diritti universali a partire dalla fabbrica e dal luogo di lavoro. Il lavoro è la base della dignità e della libertà con cui si autorealizza la persona umana ed egli lo reputa un diritto di cittadinanza sociale al pari degli altri sanciti dalla Costituzione. I diari sono una miniera di notizie e giudizi che ci aiutano a comprendere il tempo presente. Vi emerge una personalità di grande spessore umano e intellettuale, che nella sua ricerca, senza timore di confrontarsi con la realtà e con il nuovo, non abbandona mai la passione per la liberazione del mondo del lavoro, la sua scelta di gioventù.
  • Il 23 agosto 2007 muore a Roma Bruno Trentin, esattamente un anno dopo lo sciagurato incidente occorsogli in montagna. Era nato il 9 dicembre 1926 a Pavie, in Francia, avendo suo padre Silvio, docente all’Università di Venezia, deciso di andare in esilio per non sottostare alle imposizioni fasciste che punivano la libertà di insegnamento e di opinione. Quella di Trentin è stata una vita straordinaria e di essa dà conto questo volume rappresentativo della mostra Bruno Trentin, dieci anni dopo, voluta dalla CGIL e realizzata assieme al suo Archivio storico, che costituisce una vera e propria biografia per immagini e documenti che di fatto narrano il Novecento italiano: la Francia dell’esilio, Padova città universitaria in cui attivare la Resistenza, la Milano partigiana, la Mirafiori dominata dalla Fiat e poi bloccata dagli scioperi. E poi dall’autunno caldo fino allo scontro col governo Amato nel 1992 sull’abolizione della scala mobile, si dipana il racconto di sessant’anni di vita italiana. I documenti ci restituiscono un Trentin sotto certi aspetti inedito, raccontandoci di un uomo riservato e a volte schivo, dalla immensa personalità e carica umana. «A molti poteva apparire, di primo acchito, come un aristocratico, un raffinato intellettuale, chiuso nella sua torre d’avorio – dirà di lui Bruno Ugolini – ma era lo stesso uomo che nell’autunno caldo affrontava tempestose assemblee operaie e a volte rischiava di buscare i bulloni in testa».
  • Il pensiero di Bruno Trentin viene oggi riscoperto, da più parti, come un’importante guida per il nostro agire politico e sindacale. Esso ha infatti rappresentato l’ultimo grande tentativo di sistemazione teorica e di innovazione dell’analisi sociale, e costituisce quindi un punto di riferimento obbligato per chiunque si impegni in un lavoro di progettazione del nostro futuro. Il presente volume parte da Trentin, dalle sue idee-forza, e cerca di confrontarsi con le nuove sfide del mondo globalizzato, con una pluralità di approcci, che sono uniti da una comune ispirazione di fondo. Il fondamento unitario di tutti i diversi contributi sta nell’idea che il nostro compito attuale sia quello di portare a compimento il progetto politico della modernità, che ha il suo asse nel principio di eguaglianza e nell’universalità dei diritti. Sta proprio qui il nodo dei conflitti politici in atto, nell’opposizione tra universalismo e corporativizzazione, tra sviluppo delle politiche pubbliche e privatizzazione dello spazio sociale. Il volume ospita scritti di: Ugo Ascoli, Mario Dogliani, Stefano Fassina, Cesare Melloni, Paolo Onofri, Umberto Romagnoli, Riccardo Terzi. Viene inoltre riprodotta la relazione di Bruno Trentin alla Conferenza nazionale «Welfare: dal risarcimento alla promozione», tenuta dalla Cgil a Roma dal 15 al 17 giugno 1995.
  • Nel settembre 2002 Bruno Trentin riceve dall’Università di Venezia la laurea honoris causa in Economia. «Il tema di questo mio intervento – afferma in occasione del prestigioso conferimento – riguarda il rapporto fra lavoro e conoscenza. L’ho scelto perché mi sembra che in questo straordinario intreccio che può portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza e quindi capacità di scelta e, quindi, creatività e libertà, sta la più grande sfida che si presenta al mondo all’inizio di questo secolo. La sfida che può portare a sconfiggere le vecchie e nuove disuguaglianze». Un tema, quello della società ed economia della conoscenza, che in Trentin ha origine con l’esperienza delle 150 ore e che ritorna fortemente nella sua elaborazione politica e culturale degli anni a seguire. Il volume ripercorre – attraverso documenti editi e inediti – le principali tappe della sua elaborazione intellettuale sul tema, dall’accordo del 19 aprile 1973 agli ultimi scritti di poco precedenti il tragico incidente del 2006, che causerà la sua morte nell’agosto dell’anno successivo.
  • Il saggio rappresenta un approfondimento specifico della mia tesi di laurea magistrale «Tra conflitti e diritti: saperi e lavoro nel pensiero di Bruno Trentin» (relatore Lorenzo Bertucelli, Unimore) e – attraverso un’analisi di carte personali e materiali di studio perlopiù inediti rinvenuti presso l’Archivio storico Cgil – concentra la sua attenzione sul ruolo avuto da Trentin nell’esperienza delle «150 ore per il diritto allo studio» durante la prima metà degli anni settanta. Le tracce di quella riflessione sono rinvenibili anche nell’elaborazione successiva di Trentin, fino agli anni duemila, e intrecciano i temi dell’istruzione e dell’informazione lungo l’intero arco della vita delle persone; l’originalità di Trentin sta nel credere che questa priorità – all’altezza della società postfordista, precarizzata e della conoscenza – possa rappresentare un potenziale di emancipazione concreta per la persona che lavora, riscoprendo quindi anche la tensione utopica che stava alla base delle 150 ore.