• La grande pressione esercitata dalla recente crisi e dalle nuove sfide del XXI secolo richiede un ampliamento e un ammodernamento delle politiche sociali su molti livelli. Le infrastrutture sociali sono fondamentali per il nostro futuro perché plasmano la natura della nostra società e rendono possibili servizi sociali e investimenti in capitale umano. L’articolo evidenzia la necessità di rilanciare le infrastrutture sociali in Europa e come le riforme dei sistemi di protezione sociale europei, in particolare sanità, cura degli anziani e dei minori, istruzione, edilizia sociale, dovrebbero diventare i pilastri per affrontare le grandi trasformazioni che attendono l’Europa di domani. Ciò in virtù del fatto che infrastrutture sociali di alta qualità offrono benefici ai singoli cittadini e alla collettività con ricadute positive sulla società e sull’attività economica aumentando la coesione sociale, l’occupazione e la crescita economica. Infine, vengono fatte alcune proposte innovative su come finanziarle, tra le quali la creazione di un nuovo Fondo europeo per le infrastrutture sociali che si finanzia tramite l’emissione di Euro Social Bond.
  • La crisi del conflitto di classe nei paesi occidentali è uno degli eventi politici chiave degli ultimi trent’anni. Nel contempo, la crisi economica contemporanea e i suoi effetti sulla produzione industriale conducono a nuove forme di azione collettiva dei lavoratori, rivolte soprattutto a opporsi alla chiusura delle aziende. L’articolo indaga questo tipo di conflitto di lavoro, i fattori di mobilitazione su cui si basa, la presenza o l’assenza – nelle rappresentazioni dei lavoratori – di riferimenti alla lotta di classe, la vicinanza di queste mobilitazioni al paradigma del sindacalismo tradizionale o a quello del sindacalismo di movimento sociale, la prevalenza al loro interno della radice marxista o polanyiana del conflitto sociale.
  • L’accordo Fiat Mirafiori del dicembre 2010 presenta più novità sul piano delle relazioni sindacali che non sulle condizioni di lavoro. Su queste ultime, le condizioni concordate sono simili ad altri accordi sottoscritti in aziende meno conosciute. Invece l’intesa sulle relazioni sindacali può avere conseguenze rilevanti e imprevedibili per l’Italia. L’accordo presenta incongruenze ma in ogni caso richiede l’elaborazione di nuove proposte e strategie da parte di tutte le parti politiche e sociali e in particolare dalla Cgil.
  • Un contributo alla riflessione su una ripresa del sviluppo economico e sociale intensa e duratura in cui la collaborazione cognitiva alla gestione delle aziende e la stabilità occupazionale a essa conseguente possono aprire la strada a una nuova fase di progresso economico e sociale.
  • Osservando le analogie tra l’attuale crisi economica e la grande depressione degli anni ’20, il testo riflette sulla debolezza delle strategie e delle politiche dei paesi europei nell’affrontare il calo della domanda ma soprattutto i problemi strutturali che oggi li affliggono.
  • L’Unione europea a 28 paesi membri è il maggior produttore di ricchezza del mondo: il più grande importatore e il più grande esportatore di beni e servizi. È un gigante economico inconsapevole (e un nano politico). Le politiche economiche fondate sulla «austerità accrescitiva» e il fiscal compact condannano l’Europa a una bassa crescita e a una disoccupazione strutturale. La specializzazione manifatturiera europea è progressivamente in competizione con quella asiatica (sia nella gamma alta della produzione che in quella bassa). Nel frattempo la crisi ha cambiato i bisogni sociali e ridotto gli investimenti sul welfare. L’assenza di politiche industriali di indirizzo e il contenimento della spesa pubblica hanno portato a un impoverimento progressivo del territorio: per crescita inquinamento e scarsità di manutenzione. L’Europa ha bisogno di un nuovo «modello di sviluppo» basato sulle sue caratteristiche e le sue vocazioni storico-economiche e orientato ai bisogni delle persone e dei territori (sostenibilità sociale e ambientale). Questo salto di politica non è realistico si compia a partire da decisioni top down. La nuova crescita nasce da risposte locali ai nuovi bisogni (delle persone e dei territori). Da questa domanda si creeranno nuovi mercati su cui orientare le produzioni innovative di merci e servizi. «La domanda locale determinerà l’offerta globale». Il sindacato può essere agente e protagonista di questa svolta con la contrattazione sociale territoriale e la microconcertazione con i governi locali, a partire dalle città.
  • Si discute sulla “rivoluzione incompiuta” descritta da Esping-Andersen: capire come istituzioni si adatteranno al nuovo ruolo delle donne aiuterà a rispondere su come prepareremo i nostri figli all’economia della conoscenza e su come risponderemo ai bassi tassi di fertilità e all’invecchiamento della popolazione con evidenti vantaggi in termini di equità ed efficienza.
  • Il volume di Antonio Sassu si occupa principalmente del ruolo che hanno avuto, e che ancora hanno, le istituzioni – soprattutto quelle economiche – sulla società e lo sviluppo del Sud. A partire dal la seconda metà dell’Ottocento, in un periodo di passaggio da un sistema economico-giuridico a un altro, sia il governo centrale, sia le amministrazioni locali hanno svolto un’influenza molto negativa sul progresso della società meridionale. C’è da dire che soprattutto in termini di risorse e di politiche, le istituzioni si sono comportate nel Sud in maniera nettamente diversa rispetto al Nord del paese. Oggi, e in particolare a partire dagli ultimi trent’anni, questa differenza è strumentalizzata dalla politica della Lega e da alcuni intellettuali e alimentata anche dalla corruzione, dalle mafie e dalla disuguaglianza dei redditi. Dopo un momento di scarsa attenzione verso la questione meridionale e il divario fra le due grandi aree del paese, attualmente il Pnrr fornisce più di 80 miliardi di risorse al Sud e potrebbe risvegliare l’interesse del paese e dell’Europa su un problema mai risolto in ben 160 anni.
  • Il volume di Antonio Sassu si occupa principalmente del ruolo che hanno avuto, e che ancora hanno, le istituzioni – soprattutto quelle economiche – sulla società e lo sviluppo del Sud. A partire dal la seconda metà dell’Ottocento, in un periodo di passaggio da un sistema economico-giuridico a un altro, sia il governo centrale, sia le amministrazioni locali hanno svolto un’influenza molto negativa sul progresso della società meridionale. C’è da dire che soprattutto in termini di risorse e di politiche, le istituzioni si sono comportate nel Sud in maniera nettamente diversa rispetto al Nord del paese. Oggi, e in particolare a partire dagli ultimi trent’anni, questa differenza è strumentalizzata dalla politica della Lega e da alcuni intellettuali e alimentata anche dalla corruzione, dalle mafie e dalla disuguaglianza dei redditi. Dopo un momento di scarsa attenzione verso la questione meridionale e il divario fra le due grandi aree del paese, attualmente il Pnrr fornisce più di 80 miliardi di risorse al Sud e potrebbe risvegliare l’interesse del paese e dell’Europa su un problema mai risolto in ben 160 anni.
  • Un libro di denuncia: disuguaglianze e povertà collocano l’Italia tra i paesi più arretrati d’Europa; sistema educativo e meccanismi di ingresso nel lavoro irrigidiscono la scala sociale e comprimono merito ed impegno; la bassa mobilità sociale ne fa un «paese bloccato». Un libro di analisi: all’origine di questi fenomeni sta una iniqua distribuzione del reddito che prelievo fiscale e prestazioni sociali non riescono a modificare sostanzialmente. Un libro di documentazione: i dati riportati e la documentazione statistica in appendice ne fanno un vero e proprio manuale per gli operatori politici, sindacali, sociali. Un libro di indicazioni politiche soprattutto per le forze di sinistra: modificare la distribuzione del reddito, agire con prelievo fiscale e prestazioni sociali per ridurre disuguaglianze e povertà, favorire la mobilità tra classi sociali e nei percorsi di vita.
  • Dagli anni ottanta ad oggi l’Italia ha visto crollare il ritmo di crescita del Pil, della produttività del lavoro, degli investimenti e del progresso tecnologico. Si è ridotta la sua capacità produttiva in settori industriali nei quali era stata fra i primi al mondo. È assente in quelli nuovi tecnologicamente avanzati. Le sperequazioni nella distribuzione del reddito e della ricchezza nazionale si sono ampliate. All’origine della complessa crisi italiana sta il mutamento del suo «modello di sviluppo», con, da una parte, le riforme del lavoro, dall’altra quelle del sistema dell’euro. Il volume riflette sulle cause e le conseguenze di questa grande trasformazione; una trasformazione, però, in negativo, che alimenta da almeno vent’anni il perdurante riflusso dell’economia italiana e che fa oggi temere per un ripiegamento definitivo delle sue capacità di crescita. I tre saggi che compongono il volume forniscono un quadro organico che invita ad una riconsiderazione critica delle politiche economiche e del lavoro che sono sullo sfondo di questo epocale mutamento, indicando alcune vie d’uscita.