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Un lungo addio? I rapporti tra i partiti e i sindacati
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Un lungo percorso per una partita ancora aperta
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Un mercato del lavoro atipico
18.00
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Dopo più di un decennio di deciso abbattimento delle rigidità (presunte ed effettive) del mercato del lavoro italiano, non sembrano evidenti quegli effetti positivi che avevano pronosticato i fautori della flessibilità del lavoro. Anche i media, che al suo affacciarsi sulla scena raccontavano la flessibilità come la strada «necessaria» per raggiungere la piena occupazione, pongono ormai l’accento sull’altro volto del fenomeno, ossia quello della precarietà del lavoro, e sul «furto del futuro» a cui stiamo condannando intere generazioni. Il propagarsi della crisi finanziaria mondiale all’economia reale, già a partire dalla seconda metà del 2008, sta producendo un nuovo incremento del numero dei disoccupati, fenomeno che non si verificava da quindici anni. Ciò apre nuovi interrogativi a cui i policy makers sono chiamati a rispondere nel breve e nel medio periodo e, se ce ne fosse bisogno, conferma il primato dell’economia nella creazione di lavoro rispetto alla legislazione del lavoro. Il tema della flessibilità viene trattato nel volume attraverso un approccio multidimensionale del fenomeno: dalle dinamiche del mercato del lavoro al quadro empirico che emerge da una serie di ricerche realizzate dall’IRES nell’ultimo decennio, alla scansione delle tappe normative, alla giungla delle tutele sia di tipo contrattuale che di welfare, fino alla dimensione culturale e comunicativa.
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Un mondo in crisi di identità
Il contributo evidenzia come al centro del conflitto ci sia oggi una questione identitaria e non più ideologica. Ciò implica che se in passato le ideologie potevano fungere da collante e tenere insieme popoli e nazioni molto diversi, fondare tutto sull’identità significa frammentare culturalmente, e poi geopoliticamente, lo spazio mondiale. Proprio le tre maggiori potenze – Stati Uniti, Cina e Russia – sono attraversate da profonde crisi interne che ne mettono in questione l’identità, le strutture e il senso di sé. Per quanto riguarda l’Italia, che con la guerra assume un ruolo strategicamente più rilevante in quanto centrali nel Mediterraneo, ha dinnanzi due priorità: dal punto di vista geopolitico, la sicurezza alle frontiere orientale e meridionale; dal punto di vista socio-economico e finanziario, la battaglia sul patto di stabilità, che sarà decisiva.
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Un New Deal per l’Europa. Rilanciare le infrastrutture sociali
La grande pressione esercitata dalla recente crisi e dalle nuove sfide del XXI secolo richiede un ampliamento e un ammodernamento delle politiche sociali su molti livelli. Le infrastrutture sociali sono fondamentali per il nostro futuro perché plasmano la natura della nostra società e rendono possibili servizi sociali e investimenti in capitale umano. L’articolo evidenzia la necessità di rilanciare le infrastrutture sociali in Europa e come le riforme dei sistemi di protezione sociale europei, in particolare sanità, cura degli anziani e dei minori, istruzione, edilizia sociale, dovrebbero diventare i pilastri per affrontare le grandi trasformazioni che attendono l’Europa di domani. Ciò in virtù del fatto che infrastrutture sociali di alta qualità offrono benefici ai singoli cittadini e alla collettività con ricadute positive sulla società e sull’attività economica aumentando la coesione sociale, l’occupazione e la crescita economica. Infine, vengono fatte alcune proposte innovative su come finanziarle, tra le quali la creazione di un nuovo Fondo europeo per le infrastrutture sociali che si finanzia tramite l’emissione di Euro Social Bond.
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Un nuovo conflitto di classe? Le lotte contro le crisi aziendali
La crisi del conflitto di classe nei paesi occidentali è uno degli eventi politici chiave degli ultimi trent’anni. Nel contempo, la crisi economica contemporanea e i suoi effetti sulla produzione industriale conducono a nuove forme di azione collettiva dei lavoratori, rivolte soprattutto a opporsi alla chiusura delle aziende. L’articolo indaga questo tipo di conflitto di lavoro, i fattori di mobilitazione su cui si basa, la presenza o l’assenza – nelle rappresentazioni dei lavoratori – di riferimenti alla lotta di classe, la vicinanza di queste mobilitazioni al paradigma del sindacalismo tradizionale o a quello del sindacalismo di movimento sociale, la prevalenza al loro interno della radice marxista o polanyiana del conflitto sociale.
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Un nuovo modello di relazioni sindacali?
L’accordo Fiat Mirafiori del dicembre 2010 presenta più novità sul piano delle relazioni sindacali che non sulle condizioni di lavoro. Su queste ultime, le condizioni concordate sono simili ad altri accordi sottoscritti in aziende meno conosciute. Invece l’intesa sulle relazioni sindacali può avere conseguenze rilevanti e imprevedibili per l’Italia. L’accordo presenta incongruenze ma in ogni caso richiede l’elaborazione di nuove proposte e strategie da parte di tutte le parti politiche e sociali e in particolare dalla Cgil.
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Un nuovo modo di lavorare. Stabilità occupazionale, partecipazione e crescita
Un contributo alla riflessione su una ripresa del sviluppo economico e sociale intensa e duratura in cui la collaborazione cognitiva alla gestione delle aziende e la stabilità occupazionale a essa conseguente possono aprire la strada a una nuova fase di progresso economico e sociale.
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Un Nuovo Piano del Lavoro per un nuovo modello di sviluppo in Europa e in Italia
Osservando le analogie tra l’attuale crisi economica e la grande depressione degli anni ’20, il testo riflette sulla debolezza delle strategie e delle politiche dei paesi europei nell’affrontare il calo della domanda ma soprattutto i problemi strutturali che oggi li affliggono.
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Un nuovo sviluppo in risposta ai bisogni delle persone e del territorio
L’Unione europea a 28 paesi membri è il maggior produttore di ricchezza del mondo: il più grande importatore e il più grande esportatore di beni e servizi. È un gigante economico inconsapevole (e un nano politico). Le politiche economiche fondate sulla «austerità accrescitiva» e il fiscal compact condannano l’Europa a una bassa crescita e a una disoccupazione strutturale. La specializzazione manifatturiera europea è progressivamente in competizione con quella asiatica (sia nella gamma alta della produzione che in quella bassa). Nel frattempo la crisi ha cambiato i bisogni sociali e ridotto gli investimenti sul welfare. L’assenza di politiche industriali di indirizzo e il contenimento della spesa pubblica hanno portato a un impoverimento progressivo del territorio: per crescita inquinamento e scarsità di manutenzione. L’Europa ha bisogno di un nuovo «modello di sviluppo» basato sulle sue caratteristiche e le sue vocazioni storico-economiche e orientato ai bisogni delle persone e dei territori (sostenibilità sociale e ambientale). Questo salto di politica non è realistico si compia a partire da decisioni top down. La nuova crescita nasce da risposte locali ai nuovi bisogni (delle persone e dei territori). Da questa domanda si creeranno nuovi mercati su cui orientare le produzioni innovative di merci e servizi. «La domanda locale determinerà l’offerta globale». Il sindacato può essere agente e protagonista di questa svolta con la contrattazione sociale territoriale e la microconcertazione con i governi locali, a partire dalle città.
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Un ordine normativo futuro per equilibri instabili
Si discute sulla “rivoluzione incompiuta” descritta da Esping-Andersen: capire come istituzioni si adatteranno al nuovo ruolo delle donne aiuterà a rispondere su come prepareremo i nostri figli all’economia della conoscenza e su come risponderemo ai bassi tassi di fertilità e all’invecchiamento della popolazione con evidenti vantaggi in termini di equità ed efficienza.
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Un paese a metà
16.00
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Il volume di Antonio Sassu si occupa principalmente del ruolo che hanno avuto, e che ancora hanno, le istituzioni – soprattutto quelle economiche – sulla società e lo sviluppo del Sud. A partire dal la seconda metà dell’Ottocento, in un periodo di passaggio da un sistema economico-giuridico a un altro, sia il governo centrale, sia le amministrazioni locali hanno svolto un’influenza molto negativa sul progresso della società meridionale. C’è da dire che soprattutto in termini di risorse e di politiche, le istituzioni si sono comportate nel Sud in maniera nettamente diversa rispetto al Nord del paese. Oggi, e in particolare a partire dagli ultimi trent’anni, questa differenza è strumentalizzata dalla politica della Lega e da alcuni intellettuali e alimentata anche dalla corruzione, dalle mafie e dalla disuguaglianza dei redditi. Dopo un momento di scarsa attenzione verso la questione meridionale e il divario fra le due grandi aree del paese, attualmente il Pnrr fornisce più di 80 miliardi di risorse al Sud e potrebbe risvegliare l’interesse del paese e dell’Europa su un problema mai risolto in ben 160 anni.
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