• Il fenomeno delle grandi dimissioni (great resignation), espressione che descrive la tendenza all’uscita volontaria di massa dei dipendenti dai loro obblighi lavorativi, ha preso avvio negli Stati Uniti a seguito della pandemia da Covid-19 e si è velocemente esteso al di fuori dei confini americani diffondendosi in molti settori economici. In ambito sanitario questa fuga sta determinando conseguenze non trascurabili. In Italia, essa sembra tuttavia solo parzialmente riconducibile alle condizioni di lavoro determinatesi con la pandemia. Quest’ultima, infatti, avrebbe in realtà soltanto esasperato una tendenza alla svalorizzazione del personale che avrebbe preso avvio dal 2008 a seguito delle politiche dei tagli. Demotivati e stanchi, gli operatori del Ssn stanno continuando ad abbandonare il loro lavoro in cerca di condizioni più dignitose che trovano nel settore privato o all’estero. In particolare, sarebbero le donne e i più giovani ad andarsene, privando il Ssn di forze sempre più indispensabili vista l’aumentata domanda di cure. Per fronteggiare i problemi di recruitment e di retention, e dunque per implementare l’appeal del Ssn, è necessario comprendere le motivazioni più profonde che spingono i diversi operatori ad andarsene al fine di proporre soluzioni adeguate anche in relazione alle diverse culture professionali espresse dalle generazioni attualmente presenti nel mercato del lavoro.
  • Il presente studio esplora la crisi della Medicina di emergenza-urgenza (Meu) attraverso un’indagine etnografica condotta in due Pronto soccorsi italiani. La ricerca muove dalla necessità di considerare, oltre alle cause strutturali del fenomeno (es. burnout, conciliazione vita-lavoro, esposizione alla violenza), il ruolo delle pratiche professionali e della cultura organizzativa. Muovendo da un approccio basato sull’analisi delle pratiche lavorative, il lavoro evidenzia come la Meu si trovi in una posizione ambigua all’interno della gerarchia delle specialità mediche, dovendo gestire non solo emergenze reali, ma anche pazienti con bisogni sociali e sanitari non urgenti. Tale collocazione, se per un verso richiede agli operatori di erogare prestazioni che dovrebbero costituire oggetto della pratica professionale di pronto soccorso, per un altro verso lascia agli attori margini di libertà d’azione per interpretare il proprio ruolo professionale, piuttosto che subirne gli aspetti prescrittivi. Questo si manifesta in modo marcato nel caso di quella che qui si identifica come «emergenza dilatata», in alcuni casi medici e infermieri scelgono di attivare le risorse a cui hanno accesso forzando la definizione di «urgenza» e adottandone una estensiva. Il contributo invita a riflettere su come le pratiche lavorative oscillino tra la tutela della giurisdizione di specialità e un agire orientato al migliore interesse del paziente.
  • L’articolo analizza le condizioni lavorative nel settore delle residenze per anziani in Italia, con un focus specifico sui lavoratori della cura. In primo luogo, vengono analizzati e discussi i livelli di occupazione nel settore della residenzialità in prospettiva comparata. In secondo luogo, le condizioni lavorative dei lavoratori della cura vengono confrontate con quelle di altri lavoratori con un approfondimento sul caso italiano. Il confronto mostra l’esistenza di condizioni in linea, o migliori, rispetto a lavoratori equivalenti occupati in altri settori. Allo stesso tempo, tali condizioni sono più critiche quando confrontate con i lavoratori della cura occupati nel settore ospedaliero. Infine, i risultati di ricerca vengono discussi alla luce dei principali aspetti problematici caratterizzanti la configurazione istituzionale del settore delle residenze per anziani in Italia.
  • Le trasformazioni che hanno interessato il settore sanitario hanno comportato un importante peggioramento delle condizioni di lavoro con una progressiva diminuzione di tutele, reddito, riconoscimento e soddisfazione. In particolare, rispetto alle professioni sanitarie della riabilitazione, se, da un lato, il massiccio ricorso al lavoro autonomo ha ampliato le chance occupazionali permettendo però alle aziende sanitarie di scaricare il costo sui lavoratori, dall’altro l’aumento dei soggetti coinvolti nella governance dei servizi ha fortemente segmentato le condizioni di lavoro creando forti spaccature e disuguaglianze tra i professionisti. A partire da queste evidenze il contributo si concentra sulle professioni sanitarie della riabilitazione presentando i risultati di una survey che ha coinvolto oltre 14 mila professionisti. Il primo obiettivo è l’analisi delle condizioni professionali, il secondo è analizzare come e in che modo la fortissima frammentazione in termini di organizzazione in cui si esercita la professione impatta a livello di reddito, condizioni di lavoro e soddisfazione. I risultati confermano la crescente fragilità di questi professionisti con importanti segregazioni di genere e generazionali, oltre a forti polarizzazioni tra ambito professionale e tipologia di datore di lavoro.
  • In molti paesi, ma in misura più accentuata in Italia, in particolare dopo il Covid-19, vi è un diffuso disagio fra il personale sanitario, con abbandoni del lavoro da parte di medici e infermieri, e una carenza di domande alle scuole infermieristiche e ai corsi di specializzazione in importanti settori: medicina d’urgenza, anestesia e terapia intensiva, chirurgia generale ecc. L’articolo esamina la rilevanza dell’ambiente di lavoro nel contribuire a rendere meno gravosa e più sicura l’attività degli operatori; a facilitare i rapporti personali all’interno dell’équipe e con i pazienti; a favorire l’empatia con colleghi e con gli utenti; a ridurre la fatica fisica e psicologica-emotiva. Vengono presi in esame i layout dei percorsi, descritte le tecnologie esistenti a supporto degli operatori per ridurre gli sforzi fisici, l’importanza degli spazi verdi, le modalità di abbattimento del rumore e l’applicazione di tecnologie perrendere l’ospedale smart, valutando come quest’insieme di iniziative possa rendere più tutelato e meno faticoso lo svolgimento delle attività assistenziali.
  • Il settore della salute, già sotto pressione, ha visto amplificarsi le sue criticità con la pandemia. Sono emerse fragilità sistemiche come la carenza di personale, l’assenza di investimenti tecnologici e la desertificazione dei servizi territoriali. Tuttavia, è stato il lavoro degli operatori sanitari a garantire la tenuta del sistema. Oggi si evidenziano disuguaglianze di genere nei ruoli dirigenziali e retributivi, oltre a un’inadeguatezza del sistema contrattuale, che penalizza l’evoluzione professionale e la multidisciplinarità. La frammentazione tra pubblico e privato, con salari e condizioni diseguali, amplifica il problema. È urgente ripensare il modello sanitario: non più basato sulla prestazione ma sugli esiti di salute, con un approccio integrato che valorizzi il lavoro come pilastro del sistema. Occorrono investimenti in formazione e aggiornamento, una contrattazione più equa e regole che pongano il lavoro al centro del progetto di salute per la comunità.
  • L’articolo riassume la tesi principale del libro "Who’s afraid of the welfare state now?" (Hemerijck e Matsaganis, 2024), ovvero «Chi ha paura dello stato sociale ora?», secondo la quale siamo entrati in una nuova epoca di ampio consenso politico, fondato sull’accettazione dell’idea che robusti sistemi di protezione sociale, se ben disegnati, rendono le nostre economie più dinamiche, le nostre società più serene e le nostre democrazie più forti. Il welfare europeo ha dato un contributo importante alla gestione delle ricadute sociali della crisi finanziaria globale dei primi anni dieci e al superamento della crisi pandemica dei primi anni venti. Questo contributo ha ormai reso in larga misura obsolete le vecchie polemiche contro il welfare che imperversarono per molto tempo dopo la fine del trentennio glorioso. Oggi non stiamo più vivendo sotto il segno dell’austerità, né sotto quello della sfiducia nello Stato sociale. Nonostante ciò, le idee superate connesse alla fase dell’ascesa ultraliberista resistono per inerzia nell’immaginario collettivo. Su questo punto il nostro libro suona una nota di dissenso: con una piccola dose di iperbole, si potrebbe concludere che il welfare europeo gode di ottima salute.
  • Il saggio ricostruisce il processo storico nel quale si inserisce la recente riforma di una porzione significativa del sistema di welfare per le persone con disabilità, rintracciando le diverse logiche e forze sociali che si sono cristallizzate nella serie di provvedimenti normativi che la compongono. L’ipotesi è che, dietro divergenze all’apparenza minute, si celi un marcato disaccordo sullo statuto sociale delle soggettività disabili e sulle forme di convivenza.
  • Negli ultimi anni, l’attenzione rivolta al mondo della disabilità sul versante internazionale, europeo e italiano ha incentivato l’adozione di politiche incentrate a favorire la piena partecipazione e inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita. In Italia oggi si parla molto delle politiche in favore delle persone con disabilità. È in atto una riforma sostanziale che è stata definita, in maniera semplicistica, come «Riforma della disabilità», partendo dalla legge 22 dicembre 2021, n. 227 «Delega al Governo in materia di disabilità», e concludendosi per ora con il d.lgs. 3 maggio 2024 n. 62. Il titolo della nuova norma già delinea il perimetro degli interventi: «Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato». Inoltre, è essenziale che nel progetto di vita individuale personalizzato e partecipato abbia una importanza significativa il ruolo del lavoro. La nuova riforma deve essere analizzata nella sua interezza, valutandone anche le implicazioni nel mondo del lavoro e gli sviluppi che avrà sulla vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie.
  • La maternità rappresenta un ostacolo significativo alla partecipazione femminile nel mercato del lavoro in Italia, dove il tasso di occupazione delle donne (63,8%) è tra i più bassi in Europa. Il calo delle nascite, scese sotto le 400.000 unità nel 2023, riflette la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, acuita da una carenza strutturale di servizi e politiche di sostegno. Le disuguaglianze emergono anche nell’occupazione: il 69% delle donne senza figli è attivo, contro il 58% delle madri, spesso relegate a part-time involontario (31,3%) o costrette a dimissioni per l’assenza di supporti adeguati. Il lavoro di cura non retribuito, pilastro trascurato delle società moderne, impegna le donne il doppio rispetto agli uomini e rappresenta un valore economico rilevante (12% del Pil in Italia). Questo scenario è alimentato da un sistema patriarcale e capitalista che perpetua disparità di genere, relegando le donne al ruolo di caregiver. Interventi strutturali, come il potenziamento dei servizi per l’infanzia e una riforma del congedo di paternità, uniti a un cambiamento culturale, sono cruciali per promuovere un sistema più equo e un mercato del lavoro che valorizzi pienamente le competenze acquisite dalle donne italiane e non solo.
  • L’inverno demografico è un tema ricorrente nel dibattito pubblico italiano, ma poco si pone l’accento sulle sfide quotidiane affrontate dalle madri per tenere insieme il carico di cura non retribuito che pesa sulle donne e la loro occupazione in un mercato del lavoro dove avere figli costituisce un ulteriore svantaggio nel gap di genere. Il contributo evidenzia come nel discutere di natalità occorrerebbe abbandonare retorica e politiche di bonus, per implementare una serie di misure che è possibile ricondurre a due ambiti fondamentali: conciliazione e condivisione. La prima include politiche di welfare per la prima infanzia e politiche lavoristiche, innanzitutto per permettere la permanenza delle madri al lavoro. La seconda promuove la condivisione tramite i congedi, il tempo e la compartecipazione al lavoro di cura. Ad essere rimarcato è ciò che si individua come la vera questione da affrontare: la necessità di rompere una segregazione orizzontale e verticale del mondo del lavoro e che riguarda la questione della cura, oggi classificata come attitudine femminile al massimo da supportare un po’, e che costituisce invece un nodo economico essenziale, un tema di sviluppo oltre che di qualità della vita. Ciò chiama in causa una politica per una genitorialità condivisa e la necessità di rivalorizzare lavori legati alla cura, continuando il cammino di un cambiamento in primis culturale.
  • L’assistenza informale è la spina dorsale dei sistemi di long-term care (Ltc), ma raramente viene posta al centro delle politiche di questo settore. L’articolo propone un modello per la sistematizzazione e l’analisi delle raccomandazioni internazionali in materia di cura informale fornite dalle principali istituzioni che si occupano di politiche di assistenza agli anziani a livello europeo. La tassonomia delle raccomandazioni in ambito di informal care qui presentata ne consente la riproducibilità per fini scientifici e, allo stesso tempo, ne facilita l’adozione da parte dei policy maker per meglio indirizzare le politiche e gli interventi a supporto dei caregiver informali.