• Il saggio sviluppa un’analisi a partire dal volume di Save the Children (2019), Il miglior inizio. Diseguaglianze e opportunità nei primi anni di vita, sullo stato delle politiche per l’infanzia in Italia. In particolare, esso mette in luce come, a fronte di un panorama attuale non particolarmente incoraggiante sotto il profilo dell’intervento pubblico in questo campo, vi possano essere ragioni per ipotizzare che una finestra di opportunità per un maggior investimento pubblico a sostegno dell’infanzia e della genitorialità si sia aperta in Italia. Occorrono, pertanto, una maggiore attivazione e collaborazione con corpi intermedi, società civile e mondo della ricerca per sostenere un percorso di riforme in questo campo.
  • Durante gli ultimi tre decenni è profondamente mutato il quadro normativo nazionale italiano della contrattazione collettiva. Il contratto nazionale ha visto ridurre i suoi confini a favore di un decentramento di secondo livello di natura aziendale, settoriale e territoriale. Nel presente lavoro ripercorriamo i tratti salienti di questa trasformazione e analizziamo le conseguenze economiche di tale mutamento. Dai dati aggregati emerge un impatto complessivamente negativo della deregolamentazione del mercato del lavoro su produttività, accumulazione e progresso tecnologico.
  • A partire dai risultati di un’indagine promossa da Save the Children (2019), finalizzata a valutare nelle sue varie dimensioni lo sviluppo di bambini di età compresa tra 42 e 54 mesi, vengono discusse le cause e i meccanismi dell’insorgere precoce di diseguaglianze. Sulla base delle evidenze riguardanti le politiche e gli interventi efficaci, vengono poi fornite indicazioni per un adeguato contrasto. Si sottolinea come sia necessaria una combinazione di misure tese a combattere povertà, esclusione sociale e bassa scolarità e di investimenti per promuovere lo sviluppo precoce e sostenere le famiglie nelle loro competenze genitoriali.
  • L’Europa è un terreno fertile per l’esplorazione di un sistema di relazioni industriali nuovo e transnazionale perché qui l’europeizzazione delle relazioni industriali agisce da decenni e muove in quadri normativi armonizzati, sicuramente più che in ogni altra macroregione del mondo. È naturale quindi che si guardi con interesse agli accordi transnazionali con le imprese multinazionali, per riconfigurarli in una dimensione amplificata negli obiettivi e nel tenore. Dalla logica dello scambio di esperienze per la diffusione delle buone pratiche, ci si dirige verso una concettualizzazione del fenomeno che deve portare a proposte volte a costruire un ambiente idoneo alla negoziazione, agendo sul coordinamento, rafforzando le procedure interne decise dai sindacati nella loro autonomia, fino alla proposta legislativa di un quadro opzionale di regole per la negoziazione transnazionale. Gi autori sostengono l’idea che l’intervento del legislatore europeo deve essere promozionale e non invasivo rispetto all’autonomia delle parti di impegnarsi. Un’eventuale normativa quadro dovrebbe creare un ambiente favorevole per coloro che fino a oggi hanno trovato nell’indeterminatezza delle regole un fattore disincentivante. Il quadro legale opzionale dovrà individuare i soggetti titolati a firmare gli accordi, il rapporto tra gli accordi europei e quelli di diritto nazionale, alcuni aspetti delle procedure negoziali (compresa la formazione del mandato), la protezione dei lavoratori, gli elementi formali necessari a rendere valido l’accordo (data, luogo, scadenza, firma), i meccanismi per la soluzione delle dispute e dei conflitti relativi all’applicazione dell’accordo. Resterebbe aperta la possibilità di sottoscrivere Efa in altre modalità, ma a questo punto in assenza delle garanzie e della fluidità garantita dal quadro legale opzionale.
  • In questi anni a fronte di una minore tutela offerta dal welfare pubblico, è cresciuto il peso del welfare aziendale e contrattuale, e con esso, anche il rischio di accrescere le distorsioni già esistenti, in particolare quelle distributive e territoriali. È stato invece poco esaminato il ruolo dello Stato sulla crescita del welfare contrattuale e aziendale, in particolare attraverso le misure fiscali. È questo il tema su cui si concentra l’articolo, analizzando in particolare le misure di agevolazione contributiva e fiscale, introdotte a partire dal 2007, con l’obiettivo di favorire la diffusione della contrattazione di secondo livello e la crescita della produttività. Con il recente intervento del Governo Renzi sono state inserite alcune modifiche in grado di generare anche effetti diretti sulla crescita del welfare aziendale e contrattuale. Dopo aver esaminato le caratteristiche di queste misure dal 2007 a oggi, le risorse stanziate e il loro possibile impatto sulla diffusione della contrattazione decentrata e sulla crescita del welfare contrattuale e aziendale, vengono messi in evidenza alcuni effetti negativi e si avanzano alcune proposte per favorire la crescita di un welfare aziendale e contrattuale più inclusivo.
  • Crisi della sindacalizzazione e incentivi alla membership. Il ruolo dei servizi nelle politiche delle organizzazioni. L'esperienza dei CAF e dei patronati: un'analisi quantitativa. La tesi finale è che i sindacati non possono oggi fare a meno dei servizi, trattandosi di una delle poche alternative concretamente perseguibili per compensare il declino del tesseramento dei lavoratori dipendenti.
  • L’articolo esamina condizioni e problemi dell'ipotesi di legare la contrattazione salariale agli andamenti programmati a livello nazionale della produttività e argomenta le ragioni per le quali la produttività dovrebbe invece essere contrattata a livello aziendale. Nella seconda parte si espongono gli aspetti essenziali che, dal punto di vista delle imprese, caratterizzano il modello contrattuale definito dalle parti sociali negli ultimi anni.
  • Contributi di Claudio Treves e Maria Letizia Pruna, sul testo di Pietro Ichino, Inchiesta sul lavoro, in cui l’autore riporta, in forma letteraria, le sue elaborazioni sui temi del lavoro pubblico, della rivisitazione delle forme contrattuali, sul collocamento e i servizi all’impiego, per finire con le famose proposte legislative in materia di riscrittura del codice del lavoro, di contratto unico, di rappresentanza sindacale e di relazioni industriali.
  • Il Regolamento sull’autonomia didattica degli Atenei del 1999, che ha introdotto la formula del cosiddetto "tre + due", e i molteplici ulteriori provvedimenti varati dai ministri Ortensio Zecchino e Letizia Moratti avrebbero dovuto elevare il livello del nostro sistema universitario e, insieme, metterlo in condizione di operare in modo più razionale, efficace ed efficiente rispetto al passato. La pseudoriforma non sembra però aver centrato tali obiettivi, poiché il sistema universitario italiano versa in una crisi profonda, aggravata da elementi grotteschi e, talvolta, addirittura comici. Le 81 strutture universitarie, pubbliche e private, con le loro 545 Facoltà e i 3.076 Corsi di Studio, tenuti da 60.728 docenti di ruolo e 30.638 professori a contratto, sono passate al setaccio di un paziente e rigoroso lavoro di ricerca e di documentazione, che mette a nudo i tratti più salienti della condizione dell’Università italiana al termine del primo ciclo di applicazione della "riforma", portando alla luce incongruenze, errori, furbizie, favoritismi e perversioni, ma offre anche elementi utili per porre rimedio a situazioni di vera e propria patologia e per individuare linee e regole serie, il più possibile condivise, di riprogettazione sia dell’assetto complessivo degli studi universitari nel nostro Paese sia delle prospettive del loro sviluppo.