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A partire dai risultati di un’indagine promossa da Save the Children (2019), finalizzata a valutare nelle sue varie dimensioni lo sviluppo di bambini di età compresa tra 42 e 54 mesi, vengono discusse le cause e i meccanismi dell’insorgere precoce di diseguaglianze. Sulla base delle evidenze riguardanti le politiche e gli interventi efficaci, vengono poi fornite indicazioni per un adeguato contrasto. Si sottolinea come sia necessaria una combinazione di misure tese a combattere povertà, esclusione sociale e bassa scolarità e di investimenti per promuovere lo sviluppo precoce e sostenere le famiglie nelle loro competenze genitoriali.
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Nelle politiche di welfare l’uso di dati, indicatori e in generale numeri è molto cresciuto negli ultimi anni. L’articolo esplora le implicazioni e gli effetti di questo fenomeno, mettendo sotto osservazione il caso del sistema di profilazione statistica usato per regolare l’accesso a Garanzia giovani. Attraverso l’analisi della sua definizione e implementazione si mette in luce come, a fronte di grandi promesse di chiarezza e personalizzazione, il sistema di profilazione sia nei fatti uno strumento ambiguo e opaco i cui effetti vanno nella direzione opposta a quanto enunciato: spinge verso la standardizzazione dei percorsi ma soprattutto trasforma decisioni politiche in questioni tecniche, col risultato di contribuire al processo di depoliticizzazione dell’azione pubblica, rendendo poco visibile il processo di scrematura dei Neet più svantaggiati e di riproduzione delle disuguaglianze esistenti.
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Il saggio sviluppa un’analisi a partire dal volume di Save the Children (2019), Il miglior inizio. Diseguaglianze e opportunità nei primi anni di vita, sullo stato delle politiche per l’infanzia in Italia. In particolare, esso mette in luce come, a fronte di un panorama attuale non particolarmente incoraggiante sotto il profilo dell’intervento pubblico in questo campo, vi possano essere ragioni per ipotizzare che una finestra di opportunità per un maggior investimento pubblico a sostegno dell’infanzia e della genitorialità si sia aperta in Italia. Occorrono, pertanto, una maggiore attivazione e collaborazione con corpi intermedi, società civile e mondo della ricerca per sostenere un percorso di riforme in questo campo.
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L’articolo illustra le più recenti tendenze del sistema penitenziario italiano individuandone la spiegazione nel mutamento della percezione di sicurezza personale e nella conseguente domanda sociale di controllo e sanzione penale prodotto dall’ideologia neoliberale e dall’adesione a una prospettiva della società dei due terzi. Le criticità presenti del sistema penitenziario italiano potranno essere affrontate, quindi, solo nella riscoperta del paradigma dell’inclusione sociale universalista affermato dalla Costituzione repubblicana.
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Regioni e comuni hanno già ampie competenze nel welfare penitenziario. Dovrebbero esercitarle nella consapevolezza che andrebbe rotta un’egemonia carceraria statale di tipo custodiale, mettendo così al riparo da tentazioni pre-moderne l’articolo 27 della Costituzione. Molteplici sono le funzioni che gli enti territoriali già svolgono in materia di salute, lavoro, integrazione sociale. Andrebbero gestite strategicamente e non in modo ancillare rispetto al management della sicurezza.
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Il contributo si articola in tre parti: l’analisi dei principali modelli di welfare o «famiglie di nazioni» presenti in Europa, ripercorrendo il dibattito politico e sociologico parallelo ai processi di mutamento di questi sistemi di welfare; l’esame dell’andamento delle spese destinate alla voce famiglia-infanzia sul totale della spesa sociale; la rassegna delle principali politiche familiari distinte in misure economiche dirette e indirette, analizzandone le caratteristiche in termini di numero, di tipo, di ammontare delle prestazioni, di forma di finanziamento e di struttura organizzativa delle prestazioni.
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Come conseguenza di una fecondità stabilmente al di sotto del livello di sostituzione (2,1 figli per donna), gli interventi in tema di politiche familiari, allo scopo di aumentare il numero delle nascite, sono molto cresciuti in Europa negli ultimi anni. Nel 2001 solo un terzo dei paesi europei dichiarava di avere politiche in questa direzione, nel 2009 erano diventati la metà e nel 2016, secondo l’ultima rilevazione delle Nazioni Unite, la percentuale è arrivata al 66%. Il presente contributo intende fornire una panoramica degli studi disponibili sulla valutazione degli effetti delle politiche familiari sulla fecondità in Europa, offrendo un breve focus sull’Italia. Dopo un inquadramento complessivo della fecondità in Europa, vengono illustrati gli studi disponibili sulla materia, i quali prendono in esame sia i trasferimenti in denaro sia le politiche legate al lavoro (ad esempio, i congedi parentali e l’assistenza all’infanzia). In entrambi i casi, gli studi esaminati sono classificati in base all’utilizzo di dati macro (a livello aggregato) o micro (a livello individuale).
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Partendo dal concetto di progettualità, il contributo intende esplorare le dimensioni socio-culturali sottese alla bassa fecondità in Italia attraverso la lente interpretativa di due modelli culturali: la cultura della scelta e la cultura della responsabilità. In particolare, all’interno di questa prospettiva, la scelta riproduttiva e la progettualità del diventare genitori sono discussi focalizzando l’attenzione sulla rappresentazione sociale della maternità e il rapporto tra genitorialità e sfera extradomestica.
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In un quadro sociale ed economico caratterizzato da crescente complessità e problematicità, negli ultimi anni in Italia sono emerse e si sono sviluppate molteplici nuove forme di famiglia e di unione. Una pluralità che deriva anche da cambiamenti nei sistemi culturali e valoriali, presenti nella teoria della seconda transizione demografica, come nel caso delle famiglie ricostituite (step-families), delle libere unioni, delle cosiddette famiglie arcobaleno o delle relazioni Lat (Living Apart Together). Senza dimenticare la molteplicità dei modelli familiari legata al consolidarsi del fenomeno migratorio e alla diffusione delle famiglie di origine straniera o con almeno un componente straniero. Nel contributo le fonti statistiche e la letteratura sociologica e demografica sono utilizzate per costruire un quadro aggiornato della struttura odierna delle nuove famiglie in Italia e degli aspetti evolutivi più rilevanti, mettendo in luce come il processo di flessibilizzazione delle unioni stia dando vita a forme di relazione di coppia quasi on demand, sempre più personalizzate e adattabili rispetto alle mutevoli esigenze individuali e reciproche dei partner.
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Bassa natalità, bassa fecondità e immigrazione dall’estero hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni della demografia in Italia e nelle sue regioni, creando contrasti e tendenze inattese. L’evoluzione della nostra popolazione si inserisce nella crisi demografica dei paesi europei, ma l’Italia non vi ha ancora reagito in modo adeguato. Al di là di meccanismi demografici determinanti, le modalità di quelle evoluzioni e le caratteristiche della situazione attuale possono gettare luce sulle motivazioni socioeconomiche e politiche, evidenziare le carenze degli interventi e indicare le strade percorribili per correggere gli andamenti futuri.
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