• Oggi siamo di fronte a una polarizzazione tra chi lavora troppo (straordinari, aumento degli orari, flessibilità dei turni, intensificazione dei ritmi) e chi lavora troppo poco (part time involontario, precariato, disoccupazione). Eppure potremmo davvero “lavorare meno, lavorare tutti”. Con stile asciutto e taglio divulgativo, Marco Craviolatti ci spiega come. Senza negare il valore del lavoro, ma riconducendolo a una delle tante dimensioni importanti della vita, l’autore, sul solco di illustri studiosi come André Gorz e Pierre Carniti, sovverte l’abominevole equazione “il tempo è denaro” per restituire la consapevolezza del tempo quale risorsa umana, rara e preziosa. E le imprese? Anche loro ci guadagnerebbero. Perché verrebbe stimolata l’innovazione organizzativa e saremmo tutti più produttivi ed efficienti. Da dove partire? Da un cambiamento del modello di produzione e consumo e dall’individuazione di nuovi obiettivi: benessere individuale, giustizia sociale, parità di genere, efficienza ed efficacia produttiva. Il nostro lavoro può ancora avere un valore. Come? Ripensando il rapporto tra qualità della vita e qualità del lavoro, tra lavoro formale e informale. Non si tratta tanto di imporre limiti fissi all’orario di lavoro (le famose 35 ore), bensì di adottare strumenti fiscali, normativi e contrattuali per favorirne la riduzione volontaria (congedi familiari, part time lungo, pensione anticipata) e soprattutto per avviare una progressiva evoluzione verso orari collettivi ordinari “più corti del tempo pieno, più lunghi del tempo parziale”. Il testo esplora questa possibilità, alla ricerca di una quadratura del cerchio tra punti di vista solo in apparenza inconciliabili: un sindacato capace di rinnovarsi, movimenti sociali che coniugano idealismo e pragmatismo, attori economici innovativi e responsabili. Chiamando la politica al suo ruolo dimenticato di indirizzo dell’economia.
  • Ospiti temporanei, ospiti occasionali. Docce e sportine con cena e colazione. Lavanderia e spesa settimanale. Uomini e donne che qui hanno trovato un letto in cui dormire, pasti caldi, abiti puliti e ascolto. Questo è il Re di Girgenti, un dormitorio pubblico gestito dai volontari del Comitato cittadino antidroga di Ravenna; e qui, ogni giorno, una cinquantina di persone suona il campanello chiedendo asilo. Ad accoglierli s’affaccia Carla Soprani, la coordinatrice, che spiega così il senso di questa terra di mezzo: «Gli offriamo un ponte per attraversare la strada». Passare il guado è per molte di queste persone senza fissa dimora un sogno che a volte s’avvera. Con paziente discrezione da allenata professionista del racconto della realtà, senza pregiudizi né censure, Carla Baroncelli si mette in ascolto e dà voce, volto e memoria a ciascuno di questi espropriati della vita che hanno smarrito lavoro, soldi, casa, famiglia, e la coscienza di sé. La sua scrittura prensile, capace di ricreare un parlato emozionante e vivace, costruisce con abile misura queste narrazioni di vite in transito. Italiani, africani, ma anche un irlandese e un afgano, gente che viene dal margine, da storie di droga, alcol, carcere e gioco d’azzardo, e da notti passate a dormire nei vagoni della stazione ferroviaria, su panchine gelide di un parco pubblico o nei bagni dell’ospedale. Ma la spirale si può interrompere ed è allora che squilla il campanello di via Mangagnina 61, una «casa» dove riprendere fiato e progettare di risalire, di ritrovare quanto perduto. Nulla di più.
  • Le città sono ecosistemi in cui l’uomo interagisce con numerose altre specie preesistenti allo sviluppo urbano o che hanno colonizzato il nuovo ambiente proprio grazie alle opportunità da esso offerte. Nelle città si trovano così a convivere, insieme agli umani, rare specie di piante e insetti confinate in minuscoli frammenti di habitat seminaturali e specie opportuniste o invasive, quali piccioni, ratti o scarafaggi. Tra inquilini vecchi (come gli alberi secolari) e nuovi (come la zanzara tigre), le città si presentano come ecosistemi mutevoli e complessi, il cui studio ha portato alla nascita della cosiddetta «ecologia urbana». Sviluppatasi negli Stati Uniti soprattutto come analisi dei flussi di energia e materia, e in Europa maggiormente sotto il profilo dello studio della diversità biologica, l’ecologia urbana è ancora poco coltivata nel nostro Paese. Questo libro, il primo in Italia ad affrontare in modo ampio e organico questi argomenti, è indirizzato non solo a chi si trova a «lavorare» con l’ecosistema urbano (come urbanisti e amministratori pubblici), ma anche a tutti coloro che vogliono vedere con occhi diversi la città in cui vivono.
  • La disoccupazione in Italia è più alta rispetto ad altri paesi europei e agli Stati Uniti. Ma non è tanto questo a caratterizzare il mercato del lavoro italiano, quanto le caratteristiche strutturali della disoccupazione che fanno emergere alcune specificità nazionali. Gli uomini di mezza età, coniugati, con figli, con medio livello di istruzione e residenti nel Centro-Nord costituiscono nel loro insieme una categoria sociale senza problemi di occupazione, poiché i disoccupati in Italia sono soprattutto giovani, donne e residenti nel Mezzogiorno. Quali politiche attive è dunque opportuno sviluppare per aumentare il livello di occupazione delle donne, dei giovani e nelSud, e in quali settori produttivi? E fino a che punto è possibile aumentare l’occupabilità in tali settori, tenuto conto del costo del lavoro? La questione dell’occupazione non può essere separata, secondo l’autore, dagli assetti del welfare state in quanto entrambi investono due bisogni sociali fondamentali, il lavoro e la qualità della vita. Questi sono i principali temi affrontati nel saggio e nei contributi presenti nel testo. Contributi di Giuseppe Casadio, Luigi De Vittorio, Gabriella Poli, Gianni Principe.
  • La questione dell’abitare in Italia si presenta come una componente fondamentale delle politiche redistributive e, in molti casi, si intreccia con la lotta per la legalità e il rispetto delle regole. Rispecchia insomma sia la cattiva distribuzione della ricchezza sia il mal funzionamento del nostro sistema di protezione sociale, ed è spesso anche fattore scatenante di conflitti tra poveri. Ancora oggi la politica del governo in materia abitativa è quella del Piano Casa varato dal Governo Berlusconi nell’ormai lontano 2008. Dopo sette anni il cosiddetto Piano nazionale di edilizia sociale è ai blocchi di partenza. Il problema, in Italia, dove si continua a costruire al ritmo di 150 mila unità abitative ogni anno, non è di quantità ma riguarda l’accessibilità a un alloggio. Le misure di carattere ediliziourbanistico servono a poco, se non si sposta il baricentro del mercato dalla proprietà all’affitto. Occorre una risposta efficace a una domanda abitativa nuova per tipologia, dimensione, servizi richiesti e, soprattutto, per livelli di canone compatibili col reddito dei cittadini. In questo contesto diventa urgente la revisione della l. 431/1998 (la legge sugli affitti), la riforma degli ex Iacp (gli enti di gestione delle case popolari), la costituzione di un sistema territoriale di Agenzie per la casa, la sperimentazione e la costruzione di un welfare locale legato ai bisogni dell’abitare.
  • Dopo Gomorra, Scampia, ’a monnezza, la terra dei fuochi. Trent’anni fa moriva Eduardo De Filippo, il grande attore, regista, scrittore. Tre decenni in cui non si è spento, e anzi aumenta, il desiderio che Napoli, i dintorni, il Paese, possano vivere giorni diversi. Questo libro ha due obiettivi: presentare nuovi racconti – poco celebrativi, inquieti, provocatori – di persone che lo hanno conosciuto e a partire da essi comporre un ritratto delle trasformazioni che Eduardo aveva intuito e proposto nei suoi lavori, fra teatro, cinema e televisione. «Scavalcamontagne», ovvero artista che rivela di essersi misurato fin da giovanissimo con il pubblico nelle zone lontane. «Cattivo», nel senso di esigente, un forte carattere nei rapporti sulle scene e nella vita. «Genio consapevole», per la sicurezza e misura con cui scriveva e rappresentava le sue idee. Eduardo è stato una sorta di moderno «viaggiatore», originale e spregiudicato, nell’Italia del Novecento, un paese che conosceva spostamenti di milioni di persone dal Sud al Nord e viceversa, incontri e scontri di linguaggi e di convinzioni. Ma anche «sperimentatore» curioso, sensibile ricercatore di nuove competenze tra le arti e la comunicazione, sempre pronto a trasferire nei drammi, commedie, film, pensieri e sentimenti capaci di parlare agli spettatori, nel segno di un’umanissima lezione.