• QRS N. 3/2018

    22.00 
    • Redditi per l’inclusione sociale
    • Perché non esiste un partito del lavoro
    • Come analizzare le disuguaglianze
  • Niente di realmente nuovo nell’intervista (a suo modo utile), corredata di video, data al Corriere della Sera da Davide Casaleggio il 15 gennaio scorso. L’impegno a fornire un’interpretazione delle trasformazioni che il lavoro e l’occupazione stanno attraversando sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche e organizzative, che vanno sotto il nome di «quarta rivoluzione industriale», ha una sua completezza e l’ambizione di costituire una complessiva visione del mondo richiede una risposta. In particolare per la concezione del lavoro che si propone, che è insieme arretrata e avveniristica, presentata in una sofisticata e accattivante cornice culturale e mediale. Di fatto è mediante un’idea fordista del lavoro che Casaleggio intende rispondere alle trasformazioni in corso. Una visione del futuro compiuta attraverso categorie riprese dal primo Novecento che produce effetti di conservazione proprio laddove avanza un messaggio futuristico che vorrebbe persuadere per la sua novità.
  • L’articolo racconta l’esperienza del sindacato tedesco Ig Metall nel progetto regionale «Arbeit 2020» teso alla promozione di un approccio proattivo dei consigli di fabbrica alla trasformazione digitale. Di fronte a questo obiettivo, peraltro condiviso da diversi sindacati in Europa, anche le importanti e istituzionalizzate forme di partecipazione, presenti in Germania, risulterebbero insufficienti se non accompagnate dallo sviluppo conoscitivo di chi dovrebbe servirsene. Proprio la rilevanza della formazione dei rappresentanti e il supporto a un loro contributo effettivo nel governo delle trasformazioni possono allora costituire l’oggetto di un dibattito e di un apprendimento comune tra sindacati tedeschi e italiani, pur all’interno di differenti cornici istituzionali.
  • L’Europa sta vivendo, per tante ragioni diverse tra di loro, una delle fasi più difficili degli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale. Si sommano gli effetti di una lunga crisi economica e sociale – affrontata con politiche di contenimento del debito spinte fino «all’ideologia del rigore» e dell’austerity – con i mutati scenari mondiali dati, da un lato, dai cambiamenti intercorsi in interi continenti come l’Asia (in positivo) e l’Africa (in negativo), e dall’altro, dall’assurda politica estera imposta al suo paese dal presidente Trump.
  • Le elezioni per il Parlamento europeo di maggio segnano un bivio per l’Europa. Da un lato la perdita di fiducia dei cittadini, le politiche economiche sbagliate, la democrazia in pericolo; dall’altro la speranza di un cambiamento e il rilancio del processo europeo, come sola strada per evitare il disastro. A livello nazionale ed europeo, i sindacati chiedono che l’Europa cambi per diventare socialmente migliore e più giusta per i lavoratori. Gli elementi chiave per la nuova Europa che vogliamo sono il dialogo sociale, la contrattazione collettiva, l’aumento delle retribuzioni, la parità di genere, gli investimenti e i posti di lavoro di qualità, la riforma della governance dell’Unione economica e monetaria.
  • L’articolo esamina come sono cambiate le risorse di potere, i compiti e le politiche delle Federazioni sindacali europee (Etuf) nel corso della crisi finanziaria iniziata nel 2007/2008. L’analisi dimostra che nessuno dei due scenari estremi ipotizzabili si è concretizzato: le tendenze alla ri-nazionalizzazione non hanno bloccato la cooperazione sindacale transnazionale o eroso la capacità d’azione degli Etuf; né le maggiori esigenze di solidarietà transnazionale hanno portato a un’intensificazione della cooperazione transnazionale sotto l’ombrello degli Etuf. Ciò che possiamo osservare, invece, sono solo cambiamenti graduali che si verificano nel tempo e che variano a seconda dei settori politici; di conseguenza, rispetto al periodo precedente la crisi, lo stato attuale dell’Etuf può essere definito complessivamente come statu quo ante. L’articolo, tuttavia, mostra anche che l’indebolimento parziale delle risorse di potere nazionale e la tendenza ad una maggiore eterogeneità degli interessi sindacali nazionali hanno oggi reso la formulazione di strategie europee comuni ancora più difficile che in passato.
  • Premessa una ricostruzione dell’evoluzione del Dialogo sociale europeo (Dse), l’A. individua alcuni problemi giuridici del Dse interprofessionale e settoriale. L’Autore analizza il quadro normativo di tale meccanismo di governance, che consente a soggetti privati quali sono gli attori collettivi, interagendo con le istituzioni dell’Ue, di concordare standard che a certe condizioni acquistano efficacia giuridica al di là del loro ambito contrattuale; e mette in evidenza i diversi modi con i quali la legislazione del lavoro ai vari livelli si confronta con tale meccanismo. L’Autore esamina inoltre i reciproci rapporti tra diritto dell’Ue e accordi collettivi europei alla luce delle tensioni tra sussidiarietà orizzontale e verticale suscitate dalle procedure di Refit.
  • Sulla scia della Grande Recessione, l’Europa di oggi è caratterizzata da una polarizzazione economica e politica che si riflette anche nella crescente divergenza delle traiettorie sindacali. Tenendo conto di questo scenario, il saggio traccia un quadro di massima delle tendenze relative alle risorse di potere strutturali, organizzative, istituzionali dei sindacati a partire dai primi anni duemila, nonché alla loro capacità di incidere nel dibattito corrente. Il turbolento panorama sindacale europeo fa emergere in particolare un elemento. Nei decenni passati la maggior parte dei sindacati poteva contare su risorse di potere istituzionali, che contribuivano in misura più o meno sensibile a compensare la perdita di potere organizzativo e strutturale. Di recente, tuttavia, le risorse di potere istituzionali di lungo periodo sono soggette a rischi crescenti di annullamento, di svuotamento o di perdita di efficacia. Così ai sindacati viene richiesto sempre più spesso di trasformarsi in attori politici dotati di maggiore autonomia. E ciò comporta la necessità strategica di sviluppare le loro risorse di potere societale. Questo contributo trae spunto dal volume di S. Lehndorff, H. Dribbusch, T. Schulten (a cura di), Rough Waters. European Trade Unions in a Time of Crises, Etui (Istituto sindacale europeo), Bruxelles, 2018.
  • Il saggio ripercorre la storia delle basi istituzionali della politica sociale dell’Unione europea, con una concisa riflessione che pone l’accento sull’evoluzione delle fonti primarie e su come queste abbiano contribuito a delineare e articolare la dimensione sociale europea. Con il susseguirsi dei Trattati, si è assistito a un ampliamento delle competenze di politica sociale in capo all’Unione, così come a un loro progressivo rafforzamento, che non ha lasciato estranee le parti sociali europee. Questo percorso si arricchisce a seguito della dichiarazione di vincolatività della Carta di Nizza, ma viene inesorabilmente penalizzato dall’attuazione delle politiche di austerità finanziaria.
  • Il contributo offre uno studio dei tratti maggiormente caratterizzanti del diritto dell’Unione sull’immigrazione per lavoro, presentando uno stato dell’arte e puntando a mostrare come l’integrazione europea, su tale fronte, sia sempre scaturita da una tensione costante fra visioni politiche più progressiste e altre più caute in fatto di cessione di sovranità da parte degli Stati-nazione.