• L’Europa sta vivendo, per tante ragioni diverse tra di loro, una delle fasi più difficili degli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale. Si sommano gli effetti di una lunga crisi economica e sociale – affrontata con politiche di contenimento del debito spinte fino «all’ideologia del rigore» e dell’austerity – con i mutati scenari mondiali dati, da un lato, dai cambiamenti intercorsi in interi continenti come l’Asia (in positivo) e l’Africa (in negativo), e dall’altro, dall’assurda politica estera imposta al suo paese dal presidente Trump.
  • Le elezioni per il Parlamento europeo di maggio segnano un bivio per l’Europa. Da un lato la perdita di fiducia dei cittadini, le politiche economiche sbagliate, la democrazia in pericolo; dall’altro la speranza di un cambiamento e il rilancio del processo europeo, come sola strada per evitare il disastro. A livello nazionale ed europeo, i sindacati chiedono che l’Europa cambi per diventare socialmente migliore e più giusta per i lavoratori. Gli elementi chiave per la nuova Europa che vogliamo sono il dialogo sociale, la contrattazione collettiva, l’aumento delle retribuzioni, la parità di genere, gli investimenti e i posti di lavoro di qualità, la riforma della governance dell’Unione economica e monetaria.
  • L’articolo esamina come sono cambiate le risorse di potere, i compiti e le politiche delle Federazioni sindacali europee (Etuf) nel corso della crisi finanziaria iniziata nel 2007/2008. L’analisi dimostra che nessuno dei due scenari estremi ipotizzabili si è concretizzato: le tendenze alla ri-nazionalizzazione non hanno bloccato la cooperazione sindacale transnazionale o eroso la capacità d’azione degli Etuf; né le maggiori esigenze di solidarietà transnazionale hanno portato a un’intensificazione della cooperazione transnazionale sotto l’ombrello degli Etuf. Ciò che possiamo osservare, invece, sono solo cambiamenti graduali che si verificano nel tempo e che variano a seconda dei settori politici; di conseguenza, rispetto al periodo precedente la crisi, lo stato attuale dell’Etuf può essere definito complessivamente come statu quo ante. L’articolo, tuttavia, mostra anche che l’indebolimento parziale delle risorse di potere nazionale e la tendenza ad una maggiore eterogeneità degli interessi sindacali nazionali hanno oggi reso la formulazione di strategie europee comuni ancora più difficile che in passato.
  • Premessa una ricostruzione dell’evoluzione del Dialogo sociale europeo (Dse), l’A. individua alcuni problemi giuridici del Dse interprofessionale e settoriale. L’Autore analizza il quadro normativo di tale meccanismo di governance, che consente a soggetti privati quali sono gli attori collettivi, interagendo con le istituzioni dell’Ue, di concordare standard che a certe condizioni acquistano efficacia giuridica al di là del loro ambito contrattuale; e mette in evidenza i diversi modi con i quali la legislazione del lavoro ai vari livelli si confronta con tale meccanismo. L’Autore esamina inoltre i reciproci rapporti tra diritto dell’Ue e accordi collettivi europei alla luce delle tensioni tra sussidiarietà orizzontale e verticale suscitate dalle procedure di Refit.
  • Sulla scia della Grande Recessione, l’Europa di oggi è caratterizzata da una polarizzazione economica e politica che si riflette anche nella crescente divergenza delle traiettorie sindacali. Tenendo conto di questo scenario, il saggio traccia un quadro di massima delle tendenze relative alle risorse di potere strutturali, organizzative, istituzionali dei sindacati a partire dai primi anni duemila, nonché alla loro capacità di incidere nel dibattito corrente. Il turbolento panorama sindacale europeo fa emergere in particolare un elemento. Nei decenni passati la maggior parte dei sindacati poteva contare su risorse di potere istituzionali, che contribuivano in misura più o meno sensibile a compensare la perdita di potere organizzativo e strutturale. Di recente, tuttavia, le risorse di potere istituzionali di lungo periodo sono soggette a rischi crescenti di annullamento, di svuotamento o di perdita di efficacia. Così ai sindacati viene richiesto sempre più spesso di trasformarsi in attori politici dotati di maggiore autonomia. E ciò comporta la necessità strategica di sviluppare le loro risorse di potere societale. Questo contributo trae spunto dal volume di S. Lehndorff, H. Dribbusch, T. Schulten (a cura di), Rough Waters. European Trade Unions in a Time of Crises, Etui (Istituto sindacale europeo), Bruxelles, 2018.
  • Il saggio ripercorre la storia delle basi istituzionali della politica sociale dell’Unione europea, con una concisa riflessione che pone l’accento sull’evoluzione delle fonti primarie e su come queste abbiano contribuito a delineare e articolare la dimensione sociale europea. Con il susseguirsi dei Trattati, si è assistito a un ampliamento delle competenze di politica sociale in capo all’Unione, così come a un loro progressivo rafforzamento, che non ha lasciato estranee le parti sociali europee. Questo percorso si arricchisce a seguito della dichiarazione di vincolatività della Carta di Nizza, ma viene inesorabilmente penalizzato dall’attuazione delle politiche di austerità finanziaria.
  • Il contributo offre uno studio dei tratti maggiormente caratterizzanti del diritto dell’Unione sull’immigrazione per lavoro, presentando uno stato dell’arte e puntando a mostrare come l’integrazione europea, su tale fronte, sia sempre scaturita da una tensione costante fra visioni politiche più progressiste e altre più caute in fatto di cessione di sovranità da parte degli Stati-nazione.
  • Il breve saggio prende in rassegna i recenti interventi dell’Unione europea in materia di lavoro per dimostrare che, nonostante la solenne proclamazione del Pilastro europeo dei diritti sociali, le regole del mercato unico e della governance economica europea non sono alterate.
  • Si individua il nesso tra l’enforcement giudiziaria della Carta dei diritti e l’attuazione del pilastro sociale europeo di cui alla Joint Declaration di Göteborg del Novembre 2017. Nell’ultimo periodo la Corte di giustizia ha rilanciato la prima così come il dibattito sul Pilastro sociale ha messo in agenda le iniziative più urgenti in campo sociale.
  • Questo articolo prende in esame lo sviluppo della dimensione sociale in Europa sin dai primi giorni dell’Unione europea. Identifica quattro periodi di costruzione «sociale», ciascuno dei quali utilizza metodi diversi, e difformi nella portata, in risposta alle particolari sfide del momento. In ogni periodo lo sviluppo della dimensione sociale riflette la necessità di recuperare la fiducia nel progetto di integrazione, dimostrando allo stesso tempo che l’Europa non è solo integrazione economica ma anche progresso sociale. L’articolo si concentra sul periodo successivo al 2005, che coincide con l’allargamento dell’Unione europea ai paesi dell’Europa centrale e orientale (Peco), e si conclude suggerendo alcune soluzioni per conservare e rafforzare il modello sociale europeo: ad esempio il coordinamento dei salari a livello nazionale in linea con i vincoli Uem, l’introduzione di un reddito sociale minimo e la creazione di una piattaforma tripartita per valutare il dialogo tra le parti sociali e la contrattazione collettiva. Tali scelte comportano la creazione di istituzioni che assicurino la solidarietà e limitino il potere delle forze di mercato.
  • Per provare a raccontare l’Europa che verrà, questo contributo rilegge la storia più recente delle politiche economiche dell’Unione europea, per approdare ad alcune idee di riforma del governo dell’euro. Descrive le caratteristiche salienti del governo economico dell’euro, le luci e le ombre della qualità democratica del semestre europeo. L’articolo illustra il tentativo, a partire dal 2014, di riattivare politiche sociali, avanzando alcune ipotesi di modifica del governo economico dell’euro.