• Sotto la spinta dell’invecchiamento della popolazione, del mutamento delle forme familiari e della crescita dell’occupazione femminile, la cura delle persone anziane è oggetto di un dibattito internazionale che, dall’inizio degli anni novanta, solleva molte domande sulla sostenibilità dei sistemi di cura e sui rapporti tra generazioni. Tale dibattito mette in luce una frattura tra le attuali coorti di anziani, che hanno beneficiato di livelli crescenti di benessere, e le attuali generazioni di adulti, che sembrano destinate a invecchiare con meno risorse e più diseguali. Il presente contributo riflette sul caso italiano in questa prospettiva domandandosi come gli attuali quaranta-cinquantenni si stanno dirigendo verso l’età anziana in relazione alle specifiche condizioni sociali e istituzionali che contrassegnano il loro percorso di vita, con particolare attenzione ai bisogni di cura e alle risorse personali, familiari e sociali mobilizzabili per farvi fronte.
  • L’articolo sintetizza i risultati relativi all’Europa della mia relazione per l’Istituto Bertelsmann Stiftung su La giustizia intergenerazionale nelle società con invecchiamento della popolazione (Vanhuysse, 2013). La sostenibilità è il punto di partenza morale per lo sviluppo di questo indice istantaneo a quattro dimensioni che misura il livello di giustizia intergenerazionale: ossia quelle risorse «sufficienti e di qualità sufficiente» che ciascuna generazione deve lasciare alle successive. Vi si dimostra che, alla fine degli anni duemila, gli Stati membri dell’Unione europea occupavano otto posizioni su nove tra i paesi che registravano il massimo squilibrio in favore della terza età nella spesa pubblica complessiva. La Polonia si trovava in pole position come sistema di welfare con uno squilibrio più alto in favore della terza età, seguita da paesi ell’Europa meridionale e orientale e dall’Austria. Questo articolo evidenzia inoltre la necessità di integrare questa analisi delle politiche pubbliche con una del valore dei trasferimenti di risorse operati dalle famiglie tra una generazione e l’altra, in termini di denaro e di lavoro domestico non retribuito. Ciò che emerge combinando queste modalità di trasferimento di risorse è che in Europa i bambini ricevono più del doppio delle persone anziane in termini di risorse trasferite pro capite – ma prevalentemente dalle famiglie, non dalle politiche pubbliche. L’Europa è un continente con sistemi di welfare fortemente orientati verso la terza età e genitori fortemente orientati verso i figli. L’articolo affronta brevemente le possibili opzioni in termini di politiche da adottare per promuovere l’equità tra le generazioni, dalle più ovvie (investimenti sulla prima infanzia) alle più radicali (voti per procura ai bambini).
  • A partire da un breve quadro sulle difficoltà affrontate della giovani generazioni, il contributo si sofferma sulle politiche sindacali volte a migliorare le transizioni scuolaformazione e lavoro. La prima sfida è favorire l’attuazione di una strategia per l’innalzamento delle competenze dei giovani, il che significa far leva sul sistema educativo, a partire anche dai recenti strumenti di apprendimento duale messe a disposizione dalle nuove normative, vale a dire l’alternanza scuola-lavoro e gli apprendistati formativi. La centralità che la Cgil sta dando alla sua azione sindacale su questi temi è fortemente legata alla necessità di un investimento sul sistema delle politiche pubbliche a favore di un innalzamento delle competenze dei giovani e di un miglioramento delle loro transizioni nel sistema educativo e verso il mondo del lavoro. Contemporaneamente l’attenzione è rivolta in modo significativo alla messa a sistema di politiche attive del lavoro capaci di gestire i momenti di crisi che sempre più caratterizzano le transizioni occupazionali, specialmente dei giovani.
  • L'articolo focalizza l’attenzione sui processi di innovazione finanziaria che stanno investendo il welfare territoriale. Dati i crescenti vincoli di bilancio e la richiesta di una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche in molti paesi europei iniziano a diffondersi strumenti di finanza a impatto che hanno l’obiettivo di contribuire a ridurre la spesa pubblica e al contempo a produrre «impatti» sociali misurabili in grado di favorire l’innovazione sociale e lo sviluppo dei servizi. In questo quadro l’articolo dà conto dei cambiamenti emergenti che tendono a riguardare i rapporti tra gli attori pubblici e privati, compresi gli investitori, con un’attenzione particolare a due contesti nazionali: il Regno Unito e l’Italia. Nella parte conclusiva l’attenzione è spostata sul piano europeo. È anche a questo livello che emergono e si diffondono pressioni in direzione della finanziarizzazione, con esiti tuttavia aperti a diverse interpretazioni.
  • Le politiche di austerità e i forti vincoli imposti alla spesa pubblica a seguito dell’esplosione della crisi finanziaria e del debito hanno suscitato una rinnovata attenzione sui processi di esternalizzazione e di privatizzazione nella fornitura di servizi pubblici. Questo contributo si propone di esaminare diversi modelli di outsourcing in diversi segmenti dei servizi sociali ed educativi gestiti dai Comuni o da altre istituzioni pubbliche locali attraverso lo studio di cinque casi nella regione Emilia-Romagna. Si mostrerà come le decisioni di esternalizzazione delle amministrazioni pubbliche sono fortemente collegate ai differenziali nella regolazione del lavoro esistenti nel settore privato e pubblico e, quindi, ai vantaggi organizzativi e di costo che la pubblica amministrazione può ottenere dal passaggio a forme di regolazione private. Tuttavia, si potrà evincere anche l’importanza dei fattori di natura socio-politica, come l’opposizione dei cittadini e dei sindacati all’outsourcing, nelle scelte delle amministrazioni e inoltre come questi due insiemi di fattori abbiano una rilevanza diversa nei diversi servizi sociali ed educativi e, in particolare, tra i servizi per gli anziani e tra quelli per l’infanzia, spiegando le diverse opzioni di esternalizzazione visibili in questi servizi.
  • dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni delle periferie nel nostro paese fornisce l’opportunità di analizzare quello che è avvenuto e sta avvenendo nel territorio milanese. Milano ha di fronte a sé una grande sfida e una grande responsabilità: mettere in campo azioni, progettualità, politiche in grado di ridurre le disuguaglianze, creare opportunità e percorsi di inclusione per gli abitanti delle sue periferie. In questo quadro, dopo aver sinteticamente definito il contesto milanese da un punto di vista economico e sociale, obiettivo dell’articolo è, in primo luogo, descrivere i progetti e i percorsi messi in campo dagli attori istituzionali e sociali del territorio; in secondo luogo, mettere in evidenza i punti di forza e quelli di criticità di quello che può essere definito il «modello Milano». Infine, ultimo obiettivo è quello di proporre alcune azioni che possono rafforzarne gli aspetti positivi, contrastandone le debolezze.
  • L’articolo analizza la sezione relativa alle «Politiche attive al servizio del sociale» della Relazione della Commissione parlamentare sulle periferie, concentrandosi in particolare su un aspetto: la proposta ai servizi sociali che operano in contesti ad alta marginalità e sofferenza di tornare a pensare il lavoro sociale dentro a un contesto comunitario e non solo dentro gli ambiti del disagio e della sofferenza. Questo significa affiancare agli interventi diretti a specifici destinatari azioni di mediazione sociale, la cura delle relazioni all’interno delle comunità e l’attuazione di reti di intervento che coinvolgano tutte le istituzioni e le risorse locali. L’articolo sottolinea la necessità di trovare alleanze e linguaggi che aiutino a cambiare il senso comune e a convincere che fare welfare e produrre emancipazione non solo è giusto dal punto di vista etico e civile, ma è anche conveniente in termini di spesa e decisivo per lo sviluppo economico.
  • L’articolo analizza il cambiamento avvenuto nei rapporti tra la Cgil e i partiti di sinistra negli ultimi vent’anni in Italia. Tali rapporti sono divenuti nel corso tempo, da molto stretti che erano, via via più laschi e conflittuali. In particolare nel corso dell’ultima legislatura la divaricazione tra questi attori è diventata enorme e vistosa. La principale, ma non unica, spiegazione di questo fenomeno, secondo l’autore, risiede nell’evoluzione progressiva della collocazione del partito, che è attualmente il Partito democratico, divenuto sempre meno interessato ad attribuire rilevanza alla rappresentanza politica del lavoro.
    • La Corte costituzionale amplia i limiti dell’applicazione del congedo straordinario per l’assistenza al genitore disabile
    • Il mancato raggiungimento degli obiettivi e l’eccessiva morbilità non costituiscono valido motivo di licenziamento per scarso rendimento
    • Il Tribunale di Genova e il Tribunale di Trani sul meccanismo di determinazione automatica dell’indennità risarcitoria dopo la sua incostituzionalità
    • Ripetuti interventi della Corte di Giustizia su ferie non godute e abuso di contratti a termine
    • L’Autorità garante rivede il proprio orientamento sugli scioperi in Italia del personale Ryanair e delibera l’applicazione integrale della l. n. 146/1990
    • Salute e sicurezza avanti il Tribunale di Taranto
  • Il congresso della Seconda Internazionale, riunito a Parigi nel luglio 1889, chiamò i lavoratori di tutto il mondo a manifestare simultaneamente per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore. La grande mobilitazione planetaria, fissata per 1° maggio 1890, ebbe una straordinaria riuscita. Così, quello che era stato concepito come un evento unico e irripetibile divenne un appuntamento da rinnovare ogni anno. Iniziava la tradizione del Primo maggio, 130 anni di storia, ripercorsi con linguaggio chiaro ed essenziale in questo libro, che attinge a una documentazione anche inedita e valorizza testimonianze, cronache, episodi poco conosciuti. Si va dai turbolenti comizi anarchici di fine Ottocento alle infervorate piazze del «biennio rosso», prima che la festa ribelle fosse soppressa dal fascismo. Il Primo maggio tornò a celebrarsi nel 1945, a pochi giorni dalla Liberazione e l’anno seguente diede un forte impulso alla campagna per l’avvento della Repubblica. Nel 1947 fu scritta la pagina più sanguinosa: la strage di Portella della Ginestra. Poi la scissione sindacale, le dure contrapposizioni della guerra fredda, la lenta e difficile ripresa del discorso unitario, i cortei di fine anni Sessanta con operai e studenti «uniti nella lotta». Con le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini e delle mentalità il Primo maggio ha perso molti dei suoi caratteri identitari, ma è riuscito a trovare altre e forti ragioni, sperimentando forme e linguaggi inediti, per affermare il valore del lavoro nel nuovo millennio.
  • È un punto d’arrivo perché sintesi di un lavoro plurale e collegiale che non risiede solo nelle competenze ed esperienze dei suoi autori. Infatti racconta il lavoro e l’impegno di molte altre persone: studiosi, dirigenti sindacali, esperti e docenti... Ma più di ogni altra cosa questo Manuale è la sintesi, certo ancora parziale e imperfetta, del lavoro di migliaia di delegate e delegati che hanno spostato dal piano teorico a quello contrattuale l’azione della CGIL e del sindacato sui temi della digitalizzazione con risultati incoraggianti. …Certo, di fronte alle sfide e alle incognite che le nuove tecnologie mettono in campo siamo consapevoli della parzialità di questi risultati. Per questo il Manuale è anche un punto di partenza. Non nasconde nessuna delle insidie e dei dubbi che i nuovi modelli tecnologici propongono, ma al netto di ciò, propone indirizzi di sperimentazione contrattuale, nella certezza che senza investimenti e innovazione non avremo mai un «buon lavoro» e neppure un «bel Paese». …Fare questo per noi significa essere parte di un progetto che tenga insieme innovazione e tutela del lavoro, per dare al futuro un’accezione di speranza, sottraendolo agli untori delle paure del nostro tempo… In questo volume abbiamo esposto le riflessioni, i confronti, le testimonianze, le buone pratiche raccolte in questi mesi dal «Progetto lavoro 4.0» della CGIL. Abbiamo preferito organizzare i contributi in capitoli che riguardano le trasformazioni tecnologiche in corso, gli effetti sul lavoro e le professioni, il punto di vista internazionale sul tema, la necessità di arricchire le competenze, l’esame di alcuni casi pilota di confronto sindacale sulle nuove tecnologie, gli indirizzi possibili per una contrattazione (confederale e di categoria) più adeguata all’innovazione. Contributi di Barbara Apuzzo, coordinatrice delle attività di Comunicazione CGIL Elena Battaglini, responsabile area Economica Territoriale Fondazione Giuseppe Di Vittorio Monica Ceremigna, responsabile progetti europei CGIL Fabrizio Dacrema, responsabile Istruzione e Formazione CGIL Alessio Gramolati, responsabile Ufficio Lavoro 4.0 CGIL Cinzia Maiolini, Ufficio Lavoro 4.0 CGIL Chiara Mancini, coordinatrice Idea Diffusa CGIL Simona Marchi, responsabile Formazione sindacale Fondazione Giuseppe Di Vittorio Massimo Mensi, FILCAMS CGIL Giancarlo Pelucchi, responsabile Formazione sindacale CGIL Cristian Perniciano, responsabile Politiche fiscali ed Economia pubblica CGIL Gaetano Sateriale, responsabile Piano del Lavoro CGIL
    • - La provincia di Pesaro e Urbino ha vissuto negli ultimi due decenni il mutamento del suo modello di sviluppo, tuttora in sospeso tra la tradizione dei distretti industriali e gli effetti riorganizzativi, e spesso laceranti, della globalizzazione. Il sistema delle imprese, del lavoro, dell’organizzazione produttiva nel suo complesso, e dell’amministrazione, della società e della cultura ne ha risentito, con modalità e forme diverse, condividendo però lo «spaesamento» per una trasformazione in continuo mutare, da governare, con strumenti spesso inediti e non sempre efficaci. In questa complessa transizione decennale, mutano la trama e l’ordito della provincia di Pesaro e Urbino.
    • - Il volume riflette sulle cause e le conseguenze di questa mutazione portando al centro dell’analisi il tema della crisi economica e del cambiamento del modello di sviluppo, la riflessione sulla Terza Italia e i distretti industriali, l’imprenditorialità femminile, lo sviluppo urbano, quello locale e la frattura di genere, la crisi politica della «zona rossa», e la crescita verde e sostenibile coniugata anche al femminile. I saggi che compongono il volume invitano perciò ad una riconsiderazione a tutto tondo, fornendo un quadro organico della provincia da cui emerge la necessità di riportare al centro della riflessione economica e politica dello sviluppo locale, non solo di Pesaro e Urbino, il lavoro, la crescita sostenibile e il benessere.
    • Compatibilità eurounitaria e costituzionale della reiterazione dei contratti a termine nella p.a
    • Il diverso regime temporale per la pignorabilità relativa dell’assegno sociale è incostituzionale
    • Oneri probatori e licenziamento verbale
    • L’altezza quale requisito per l’assunzione può costituire fattore discriminatorio indiretto
    • Sciopero spontaneo illegittimo nei servizi e obbligo di aperta dissociazione del sindacato
    • Casi di licenziamento discriminatorio avanti i Tribunali di Bologna, Roma e Milano
    • La Corte di Giustizia e la discriminazione diretta fondata sulla religione Reddito di cittadinanza e pensione
  • Perché vince Salvini? Perché Salvini propone identità e comunità. È un modello difensivo, portato all’ennesima potenza, con lo slogan non nuovo ma efficacissimo di ‘prima gli italiani’. Modello sul quale in fondo la Lega Nord è vissuta anche nel momento in cui era Lega Padana, proprio perché già allora, mentre la sinistra si ‘globalizzava’, continuava a proporre protezione sociale. Questo spiega i flussi di voto dalla sinistra alla Lega, che vedevamo già alla fine degli anni Novanta. Perché? Perché appunto gli operai, i ceti deboli, hanno cercato difese, hanno cercato protezione, e non l’hanno più trovata nella sinistra. Luca Comodo, direttore del dipartimento politico-sociale IPSOS Public Affairs, da quasi quaran t’anni si occupa di ricerca politico-sociale, collaborando con i principali partiti del paese, con istituzioni centrali e locali. È curatore di Flair, la pubblicazione annuale di IPSOS Italia sul clima del paese e le sue prospettive. Nando Pagnoncelli, presidente di IPSOS, con oltre 35 anni di esperienza nel settore delle ricerche di mercato, è responsabile della divisione IPSOS che si occupa delle ricerche sulla pubblica opinione. Insegna Analisi della pubblica opinione nell’Università Cattolica di Milano; è direttore scientifico del Corso di comunicazione politica OPERA (Opinione Pubblica e Rappresentanza) nell’Università degli studi di Urbino Carlo Bo; collabora con Giovanni Floris al programma Di Martedì.
  • RPS N. 4/2018

    16.00 
    Welfare abitativo: criticità e prospettive Lo stato della previdenza complementare in Italia Droghe, l’inutile repressione e i vuoti nella relazione al parlamento
  • Le politiche abitative in Italia hanno subìto negli ultimi venti anni importanti cambiamenti nei modi di intervento e nei destinatari. Il contributo intende esplorare i discorsi che danno forma alle nuove politiche abitative e riflettere sui loro presupposti e implicazioni sia dal punto di vista delle aspettative dei beneficiari sia da quello delle rappresentazioni che le politiche danno del loro operare e dei risultati ottenuti. Con riferimento alla connessione/tensione esistente tra i molti obiettivi (sperimentazione, innovazione e investimento sociale) dichiarati da parte delle nuove politiche abitative, si ipotizza che tali politiche riescano a essere abbastanza convincenti anche in ragione della capacità di rappresentare le proprie azioni come processi complessi, variamente dislocati nel tempo e nello spazio, e la cui responsabilità va suddivisa tra i diversi attori coinvolti.
  • Alcune misure sperimentate in molti paesi europei in questi decenni – come le strategie per combattere la homelessness e l’offerta di un settore abitativo «molto sociale» – sembrano potenzialmente in grado di aumentare l’efficacia sociale delle politiche abitative. Ma c’è anche il rischio che offrano risposte riduttive, soluzioni minori e prive di adeguato valore abitativo, come sistematicamente è avvenuto per i poveri nella storia delle politiche abitative sociali. L’articolo discute le condizioni perché queste misure estendano ai poveri i benefici delle politiche e realizzino effettivamente una estensione del diritto alla casa; sostiene la necessità di integrare le nuove misure nei sistemi di welfare abitativo e indica le condizioni per una loro positiva integrazione; conclude mettendo in evidenza il grande ostacolo allo sviluppo di queste misure e la congiuntura che ne minaccia l’efficacia: l’intreccio tra le nuove forme di marginalità socio-abitativa e le politiche neoliberali.
  • L’articolo si interroga sulla relazione tra povertà e casa e sul ruolo delle politiche pubbliche, in particolare per le famiglie in affitto. Attraverso l’analisi dei dati It-Silc 2014 vengono indagate le connessioni tra povertà e difficoltà a sostenere i costi abitativi declinate in termini sia oggettivi che soggettivi. Obiettivo dell’articolo è considerare il ruolo degli housing allowances nel sostenere le famiglie in condizioni di difficoltà economica ad affrontare le spese abitative. Il confronto tra i nuclei in difficoltà nel mercato privato degli affitti con quelli negli alloggi a canone calmierato consente di rilevare la differente portata del supporto pubblico. A questo proposito, l’articolo propone una simulazione di ridefinizione dei canoni per calibrare l’impatto delle differenti forme di sostegno pubblico all’abitare.
  • Il contributo si focalizza sul tema della domanda sociale degli anziani fragili, con particolare attenzione al caso italiano e agli assetti di permanenza a domicilio, il cosiddetto ageing in place, con cui si punta a garantire una migliore qualità di vita della persona anziana, contenendo il ricorso a soluzioni più costose come quelle del ricovero residenziale. Tuttavia lo sviluppo dell’ageing in place richiede alcune precondizioni specifiche in assenza delle quali, o con una compromissione delle stesse, si possono determinare forti rischi di isolamento e abbandono per gli anziani più fragili. In questo quadro esperienze innovative recenti, implementate a livello territoriale, hanno puntano a favorire lo sviluppo di nuove forme di sostegno alla domiciliarità e dell’abitare. Tuttavia l’assenza di una politica nazionale e regionale rischia di limitare gli effetti di tali innovazioni.
  • La povertà abitativa è un fenomeno inserito nella più ampia cornice dell’esclusione sociale e richiede una diversa strutturazione delle politiche sociali che obbliga a uscire dai confini tradizionali dei vari ambiti. Le nuove forme di offerta abitativa, rivolte a persone con redditi molto bassi o con difficoltà di integrazione, associano in molti casi la soluzione di alloggio temporaneo con l’accompagnamento sociale. In questo contributo verranno presentati gli elementi emersi in un’indagine realizzata nel comune di Ancona, volta ad analizzare le esperienze di abitare inclusivo, attuate nel territorio, nell’ambito del forte disagio abitativo.
  • Disagio e vulnerabilità abitativa rappresentano fattori specifici della povertà; per lungo tempo il fenomeno è stato ampiamente trascurato sia nell’ambito delle riflessioni teoriche sia dalle politiche sociali. Oggi sta riemergendo una nuova questione abitativa come conseguenza di trasformazioni socio-economiche che moltiplicano situazioni di rischio ed emergenza. Questo contributo ha l’obiettivo di analizzare la situazione abitativa, con uno specifico focus sulla città di Roma.
  • A Taiwan così come in Italia la percentuale di persone proprietarie di un alloggio è ampiamente maggioritaria rispetto a coloro che vivono in affitto (Taiwan 84% nel 2010, Italia 67% nello stesso anno) e i prezzi delle abitazioni sono molto elevati, nonostante la crisi del 2008. Entrambi i paesi hanno favorito gli investitori privati esponendosi a forti speculazioni edilizie e a un aumento delle quote di alloggi vacanti. Questo studio affronta con un approccio quali-quantitativo il tema della coabitazione tra persone non appartenenti allo stesso nucleo famigliare e di generazioni diverse in due paesi, l’Italia e Taiwan, entrambi interessati da un crescente invecchiamento della popolazione, da una sempre più evidente criticità di giovani e anziani nell’accesso al diritto all’abitare e da politiche abitative pubbliche ancora residuali rispetto al mercato privato delle compravendite e delle locazioni.
  • L’articolo utilizza il paradigma economico dell’homo cooperans e l’impianto teorico delle common-pool resources per analizzare l’abitare condiviso come infrastruttura abilitante di processi di produzione di beni relazionali, quali fiducia, senso di appartenenza, reciprocità, cooperazione, benessere sociale, costruiti a partire dal coinvolgimento degli abitanti e dalla loro capacità di agire collettivamente. Nella seconda parte dell’articolo sono illustrati due possibili scenari di sviluppo dell’abitare condiviso: da un lato il cooperative ecosystem, ancorato al paradigma dell’homo cooperans, nel quale i beni relazionali diventano collettivi e producono valore sociale diffuso, dall’altro le community-oriented islands paragonabili a monadi comunitarie, che trattengono al loro interno i beni relazionali che vengono prodotti limitando notevolmente l’impatto sulla società. Condizione necessaria affinché si realizzi lo scenario di ecosistema collaborativo è poter contare su una regia istituzionale orientata alla condivisione e governata da logiche pubbliche, cosa che oggi sembra ancora mancare in Italia.
  • Sebbene gli italiani siano in larga misura proprietari delle abitazioni in cui vivono, paradossalmente si ripropone una «nuova questione abitativa». Nella prima parte dell’articolo vengono esaminate le ragioni demografiche, economiche e sociali di questa nuova «emergenza» e quanto su di essa abbiano influito le distorsioni del mercato abitativo. Dal quadro che ne deriva si sottolinea l’urgenza di una strategia di sviluppo di lungo respiro con particolare attenzione all’edilizia pubblica e a quella sociale. Nella seconda parte, sulla base dell’esperienza di «Abitare e Anziani», si esamina la nuova domanda di qualità abitativa espressa dalla crescente popolazione anziana che, nella sua componente di non autosufficienti, si configura come una emergenza nell’emergenza. Qui si esamina il profilo di questa nuova domanda, si riportano le esperienze internazionali e nazionali da cui trarre utili spunti e si indica, infine, un’agenda delle cose da fare e su cui il sindacato potrebbe dare un grande contributo.
  • L’articolo esplora le caratteristiche distributive delle pensioni di importo elevato in Italia. L’analisi è realizzata sui dati amministrativi del casellario delle pensioni dell’Inps per l’anno 2017, da cui sono stati selezionati i soggetti che hanno maturato un reddito pensionistico di importo superiore a 65 mila euro annuali. I dati sono arricchiti da informazioni sulle carriere contributive che hanno generato le pensioni da lavoro per la popolazione dei pensionati con reddito più elevato. Le caratteristiche distributive della popolazione esaminata sono valutate alla luce dei concetti di equità verticale, progressività ed equità attuariale. Sotto il primo profilo si evidenzia una forte concentrazione del reddito pensionistico negli ultimi due percentili della popolazione. Sotto quello della equità previdenziale i dati mostrano la presenza di una netta correlazione negativa tra importo del reddito in prossimità del pensionamento e tasso di sostituzione a parità di condizioni sull’età di pensionamento. In termini di equità attuariale è presente una forte correlazione negativa tra importo del reddito permanente e rendimento implicito della pensione e una relazione negativa tra età di pensionamento e vantaggio per il pensionato, spiegata principalmente dalla progressività della formula retributiva. I risultati dell’analisi possono essere di aiuto per valutare quale sia il criterio più opportuno da adottare nel caso di proposte di ricalcolo delle pensioni in essere.
  • L’articolo presenta un quadro aggiornato del sistema di previdenza complementare in Italia con riguardo alle principali dimensioni del settore (adesioni, contributi, costi, investimenti). Ci si sofferma in particolare sui comportamenti degli iscritti rispetto ai fattori che determinano l’entità della prestazione a scadenza, valorizzando il ruolo che i diversi attori del sistema (fondi pensione, parti sociali, soggetti incaricati della raccolta, oltre all’Autorità di vigilanza) possono svolgere per favorire l’adozione di scelte di partecipazione adeguate. La parte finale è dedicata all’attuazione della Direttiva 2016/2341, cd. «Iorp II», volta a irrobustire la struttura di governo dei fondi pensione e a innalzare il livello dell’informativa agli iscritti, evidenziando in particolare il contributo che questa può dare al rafforzamento dei processi di investimento.
  • Il sistema di previdenza complementare nei suoi principi fondanti (libertà e volontarietà di adesione, nesso di relazione con la previdenza pubblica, ecc.), nel ruolo della contrattazione collettiva (costituzione della forma di natura negoziale, regolamentazione e promozione delle adesioni, ecc.), così come il sostegno fiscale nella fase di accumulo e nell’accesso alla prestazione previdenziale a vent’anni dalla nascita, merita una riflessione sulla validità dell’attuale normativa al fine di meglio rafforzare questo strumento in relazione alle future prestazioni previdenziali. Dopo aver tracciato un quadro dell’offerta di previdenza complementare, delle innovazioni legislative e dell’evoluzione della gestione finanziaria, l’articolo si concentra su come promuovere le adesioni, vero punto critico del sistema dei fondi pensione negoziali, e rafforzare la previdenza complementare.
  • L’articolo analizza la Relazione al Parlamento 2018 mettendo in evidenza come, nonostante i limiti dei disegni di ricerca usati e centrati sul modello della patologia e della pericolosità intrinseca delle droghe, una lettura critica dei dati permetta di comprendere alcuni aspetti dei cambiamenti intervenuti nel fenomeno dei consumi di droghe negli ultimi anni in Italia. In particolare si sviluppa un’analisi critica delle categorie interpretative di «problematicità e consumo ad alto rischio». L’autore riporta l’esempio dei modelli di ricerca centrati sui setting naturali realizzati a livello internazionale e in Italia, che rappresenterebbero un valido supporto per una visione del fenomeno più vicina alla realtà e per una valutazione dell’efficacia delle politiche pubbliche. A essere analizzati sono i dati dei servizi pubblici, degli interventi di riduzione del danno e delle comunità terapeutiche facendo emergere le inadeguatezze dei dati riportati. Sono evidenziate, infine, alcune contraddizioni e carenze nell’analisi dei dati della Relazione utili per individuare indirizzi innovativi nei modelli organizzativi e culturali dei servizi e per superare l’intreccio tra cura e pena prescritto dalle leggi vigenti.
  • Le Relazioni del governo al Parlamento sulle droghe non hanno mai corrisposto al compito istituzionale di fornire un reale strumento di valutazione della politica sulla droga, a iniziare dalla legge antidroga. La Relazione 2018 testimonia inoltre il progressivo ritiro della politica da un tema «scomodo» come quello delle droghe. Ne derivano ritardi a valutare l’impatto penale e carcerario dell’applicazione della legge e a prendere atto di fenomeni attuali, quali la crescita di nuove sostanze psicoattive e l’emergere di nuovi modelli di consumo che si dispiegano lungo un continuum di differenti livelli di rischio e di danno (oltre la vecchia dicotomia uso ricreazionale/ dipendenza). La riduzione del danno, la strategia più in grado di rispondere alle odierne tendenze, è sottovalutata, con conseguente difficoltà ad adeguare la rete dei servizi. Alle carenze delle Relazioni ufficiali, supplisce la società civile: da oltre dieci anni, i Libri bianchi sulle droghe costituiscono Rapporti ombra, con una valutazione puntuale delle politiche penali, degli orientamenti nella ricerca, dei modelli operativi dei servizi, offrendo linee per l’innovazione. Il tema della valutazione delle politiche antidroga è centrale anche a livello internazionale
  • La crescente attenzione a innovare il volontariato, in termini di riorganizzazione dell’azione volontaria, di minore centratura per la funzione di advocacy e per la dimensione della gratuità, avrebbe come diretta conseguenza la perdita della dimensione morale ed etica del fare volontariato. Come recentemente affermato, verrebbe meno la capacità del volontariato organizzato di contribuire «to more just and caring world». In questo contributo cercheremo di mettere a punto alcuni strumenti concettuali, quello di tensione di ruolo e quello di cura, che permettano di leggere da una prospettiva differente i cambiamenti in atto.