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Benessere, demografia e futuro
Il contributo offre una riflessione sul rapporto tra benessere e politiche, evidenziando il beneficio derivante dall'assumere obiettivi condivisi e misurazioni oggettive del benessere come approccio per migliorare le condizioni generali di vita dei cittadini. Il Bes, in questa visione, non è solo un elenco di dimensioni e di indicatori, ma una lente nuova, che consente di vedere le politiche sociali da una prospettiva non scontata e ben mirata. Nel testo si mette in luce però anche come le politiche sul benessere debbano direttamente integrarsi e diventare esplicitamente funzionali con il modello di sviluppo e con il ruolo delle nuove generazioni. In quest'ottica va, coerentemente, ripensato anche il ruolo del welfare, che deve diventare lo strumento che consente alle persone, a partire dalla fase giovanile, di costruire in modo attivo il proprio percorso di vita, di fare oggi scelte che consentano di produrre e fruire di maggior benessere (individuale e collettivo) domani.
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Promuovere l’attivazione e l’inclusione attraverso l’abitare. L’esperienza di un progetto di autocostruzione
Le politiche per la casa rappresentano oggi un nodo cruciale per contrastare il disagio abitativo del cosiddetto «ceto medio impoverito» e per favorire processi di inclusione sociale. Tra i programmi innovativi sperimentati in questi ultimi anni, risultano particolarmente interessanti le iniziative di autocostruzione associata e assistita, sostenute da alcuni enti locali, che prevedono l'impegno diretto dei beneficiari. Se adeguatamente sostenute e gestite possono essere uno strumento di empowerment e contribuire alla costruzione di capitale sociale comunitario. In quest'ottica, viene presentato un intervento di autocostruzione rivolto a cittadini italiani ed extracomunitari, realizzato nella regione Marche.
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L’alternanza scuola-lavoro come politica di incremento della occupabilità?
La ricerca affronta il tema delle transizioni tra scuola e mondo del lavoro nelle Marche. Essa si è svolta attraverso un set di interviste qualitative a docenti di 15 istituti in tutte le province, due focus group con studenti del quarto e quinto anno di istituti di tutti gli indirizzi e l'analisi della letteratura e dei dati qualitativi e quantitativi prodotti sulla Alternanza scuola-lavoro dalle istituzioni scolastiche, regionali e statali. L'obbligatorietà di un alto numero di ore per tutti gli studenti ha costretto le scuole ad attivare molti tirocini il cui progetto formativo o la cui effettiva realizzazione presenta forti dislivelli sul piano della qualità. Le diverse condizioni territoriali e la diseguaglianza sociale presente nel capitale sociale familiare o indotta dai contesti socio-economici di riferimento possono riflettersi in una accentuata diseguaglianza delle opportunità formative anche nelle esperienze di tirocinio offerte agli studenti. In mancanza di contromisure istituzionali c'è il rischio che la scuola pubblica venga meno ad uno dei suoi obiettivi istituzionali: la riduzione delle diseguaglianze di opportunità di crescita sociale ed economica.
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La versione italiana dell’alternanza scuola-lavoro ha fallito. Riflettiamo su un nuovo modello di integrazione
Quali sono le ragioni del fallimento del modello italiano dell'alternanza scuola-lavoro, così come è stata imposta dalla legge 107 del 2015? Quali sono gli elementi della struttura produttiva nazionale che vanno analizzati per riformare la prassi dell'alternanza? Chiamandola magari con un altro nome, come ad esempio «integrazione scuola-lavoro», evitando di renderla obbligatoria, e sostituendola con quella prassi duale che già funziona in altre parti d'Europa. Il sistema produttivo deve convincersi che l'alternanza non è, né può essere intesa come un periodo di prova. E il percorso dell'alternanza non può neppure ricadere economicamente sulle famiglie, creando nuove fratture, nuove disparità, nuove disuguaglianze. Tuttavia, è questo il momento di affrontare il modo in cui l'insegnamento teorico si combina con l'esperienza lavorativa concreta all'interno dei sistemi educativi, evitando di buttare il bambino con l'acqua sporca. Il lavoro, per diventare parte integrante di un percorso educativo, deve essere in grado di mettere alla prova l'intelligenza dello studente. Deve essere visibile la sua utilità sociale, e deve aumentare le capacità cognitive di chi studia.
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L’Health Equity Audit per un welfare equilibrato: dalle disuguaglianze sociali e di genere alle capacità di controllo sulla s
L'equità di salute è un obiettivo del welfare, essendo un macroindicatore degli effetti delle disuguaglianze sociali sulle capacità di controllo che donne e uomini riescono a esercitare sulla propria salute. A partire dalla letteratura, l'articolo avanza l'ipotesi secondo cui la persistenza delle disuguaglianze non deriva solo da limiti di conoscenza o da un'insufficienza delle politiche, ma scaturisce dalla riproposizione di relazioni asimmetriche di potere e di modelli culturali tradizionali connotati per genere. Essi operano sottotraccia, condizionano i nuovi interventi e resistono al cambiamento. Per fronteggiare le manifestazioni di un welfare «asimmetrico», il contributo suggerisce di potenziare i sistemi di osservazione istituzionale sulla dimensione di genere. Propone inoltre in questo ambito l'utilizzo sistematico e diffuso di strumenti di Health Equity Audit di genere, attuando forme di valutazione ex ante ed ex post, agili e praticabili nel contesto italiano delle politiche sociali e della salute.
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Autonome ma prudenti. Differenze di genere nell’autonomia abitativa dei giovani single in Europa
Le donne giovani acquisiscono l'autonomia abitativa prima degli uomini. L'uscita dalla casa dei genitori e il vivere da soli, senza un partner, può essere considerato rischioso ed è noto che le donne sono in generale in molti ambiti più avverse al rischio degli uomini. L'essere indipendenti si configura allora come uno dei pochi ambiti dove lo sono meno oppure vi sono caratteristiche del contesto che influenzano la diversa propensione di genere all'autonomia abitativa? Lo studio intende mostrare come anche nella decisione di essere autonome le donne sono prudenti e le differenze di genere nella probabilità di essere indipendenti sono fortemente correlate alla partecipazione femminile al mercato del lavoro e al grado di generosità del welfare e dei sussidi di disoccupazione. A questo fine sono analizzati i dati più recenti dell'European Union Statistics on Income and Living Conditions per 31 paesi europei seguendo un approccio multilivello a due step.
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Genere e politiche di lotta alla povertà. Una riflessione sulle misure di reddito minimo
Entro uno scenario di recessione economica che nell'ultimo decennio ha generato un consistente aumento della povertà assoluta, in particolare a partire dalla sopraggiunta crisi dei debiti sovrani del 2011-2012, l'articolo si sofferma, secondo una prospettiva di genere, sui principali caratteri della condizione di povertà in Italia tra mutamenti e persistenze, per poi dedicarsi alle politiche di reddito minimo attuate nel paese negli ultimi anni (Sostegno per l'inclusione attiva e Reddito di inclusione). In un contesto povero di informazioni sull'andamento dei principali programmi che combinano l'erogazione di un contributo economico con la predisposizione di progetti personalizzati di inclusione attiva, l'analisi intende mettere in evidenza peculiarità, limiti e prospettive dell'impianto ad oggi vigente, problematizzando la scarsa sensibilità delle principali statistiche oggettive in chiave di genere e ponendo l'accento in particolare sulla rilevanza delle politiche locali e sui loro meccanismi operativi per lo studio e il consolidamento della lotta alla povertà.
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Un welfare italiano che non discrimini per orientamento sessuale e identità di genere
Nel nostro paese l'arretratezza, i vuoti normativi, il pregiudizio e le ingerenze delle gerarchie cattoliche pongono una istanza particolarmente urgente per le persone con orientamento sessuale e identità di genere non conforme, istanza che, se trovasse buone risposte, porterebbe a un miglioramento generale nella qualità di vita per tutti. Anche se genera una grave disparità di trattamento, non prevedendo l'accesso al matrimonio per le coppie di persone dello stesso sesso, la legge sulle unioni civili, approvata in Italia nel maggio del 2016, ha rappresentato un passo decisivo verso la parità di accesso ai provvedimenti di un sistema di welfare «universale». Continuano tuttavia a mancare una parificazione dei diritti nella genitorialità e nella filiazione per le famiglie omogenitoriali, una legge avanzata che regoli le varie fasi del transessualismo, e poi servizi, consultori familiari, assistenza sociale in cui operi personale competente, professionale e informato, pronto a comprendere emergenze sanitarie e sociali e di solitudine anche per gay, lesbiche, intersex e trans.
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La dimensione di genere nell’analisi del welfare e nelle proposte di riforma
L'articolo riflette sul modo in cui i contributi teorici e conoscitivi delle analisi di genere sono stati integrati nelle teorie e nelle proposte per un nuovo welfare. Sollecitate soprattutto dai cambiamenti nel mercato del lavoro in un contesto caratterizzato da quelli che sono stati chiamati «nuovi rischi sociali», le proposte di nuovi modelli di welfare devono anche fare i conti con i nuovi comportamenti femminili e con una crescente domanda di uguaglianza di genere. Il contributo analizza come la prospettiva di genere è stata integrata nei due approcci alla riforma del welfare più noti e dibattuti: quello dei mercati del lavoro transizionali e quello dell'investimento sociale. Segnala come entrambi, pur nelle loro differenze, mettano a fuoco la necessità di sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro piuttosto che le pari opportunità in questo e un riequilibrio nel lavoro familiare tra uomini e donne. Entrambi, inoltre, e soprattutto l'approccio dell'investimento sociale, sottovalutano sia il valore umano e sociale del lavoro di cura sia i rischi, per le donne, di tale sottovalutazione, unita a una persistente asimmetria nella sua attribuzione.
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Congedi parentali e paternità: ambivalenze delle politiche tra Italia ed Europa
La legge n. 53/2000 rappresenta in Italia un elemento di discontinuità nel discorso istituzionale sulla genitorialità perché è il primo provvedimento che chiama in causa i padri nella cura dei figli. Tuttavia questa legge si configura come un'occasione mancata. Da una parte c'è un contesto europeo che ha avuto un ruolo centrale nella promozione dell'introduzione dei congedi parentali, ma che promuove politiche sociali basate sul social investment finalizzate alla piena occupazione e a liberare gli individui dalla cura. Dall'altra c'è un contesto italiano che recepisce le direttive europee adattandole alla tipica impostazione familistica mother-centered del welfare italiano. Partendo dalla legge n. 53/2000 e arrivando alla Legge di stabilità per il 2018 gli uomini sono chiamati in causa nella cura solo in modo marginale. Mentre alcuni provvedimenti sono formulati in modo gender neutral o sono esplicitamente sbilanciati verso le madri, altri riconoscono agli uomini diritti autonomi, come nel caso del congedo di paternità obbligatorio, ma ritagliando loro un ruolo secondario. Tutti questi provvedimenti, dunque, sembrano andare nella direzione di un rafforzamento dell'ordine di genere
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Coinvolgimento familiare e politiche per la non autosufficienza: modelli di defamilizzazione in Europa
L'articolo esamina la relazione tra le caratteristiche dei sistemi di Long-term care (Ltc) e le risorse familiari destinate alla cura della popolazione anziana non autosufficiente in quattordici paesi europei. L'analisi si concentra sul recente periodo di riforme innescato dal progressivo invecchiamento della popolazione e dai vincoli finanziari aggravati dalla crisi economica. L'obiettivo dell'analisi è definire tipologie basate sul grado di defamilizzazione dei sistemi di cura rivolti alla popolazione anziana, sia in termini di coinvolgimento familiare diretto " la fornitura di cure informali " che indiretto " l'acquisto di servizi nel mercato di cura ", partendo dall'analisi delle caratteristiche istituzionali dei sistemi di Ltc che determinano tale coinvolgimento. La tipologia identifica quattro modelli che ricalcano il gradiente Nord-Sud(Est) Europa relativo alla generosità delle politiche di welfare, evidenziando la correlazione tra i due tipi di coinvolgimento familiare considerati, ma anche tra questi ultimi e il livello di spesa sociale destinata ai settori di cura. Inoltre, l'analisi evidenzia che un marcato orientamento verso il finanziamento e utilizzo dei trasferimenti monetari comporta un incremento di entrambe le risorse private di cura.
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Le interruzioni lavorative delle donne migranti in transizione alla genitorialità in Italia
L'articolo presenta uno studio quali-quantitativo volto ad analizzare se e come le donne migranti che vivono in Italia interrompano la loro partecipazione lavorativa quando nasce un figlio, se l'istruzione o l'area geografica di provenienza facciano differenza e che narrazioni vengano date delle pratiche seguite. I dati dell'indagine campionaria sulle nascite mostrano che, nel contesto del «familismo by default» italiano, le madri straniere hanno rischi di esclusione dal mercato del lavoro più elevati di quelli delle madri italiane, soprattutto perché più spesso lavoratrici in nero o a tempo determinato pre-gravidanza. Inoltre, per effetto di dequalificazione o non riconoscimento formale, il titolo di studio pare contare meno rispetto alle native. L'analisi delle interviste qualitative, alcune anche longitudinali, mostra come vincoli strutturali e istituzionali si intreccino con modelli culturali, spesso rinforzandoli, ma anche, a volte, indebolendoli. Le pratiche di lavorofamiglia delle migranti rispondono a ideali di maternità intensiva, ma paiono pure fortemente plasmate dalle collocazioni marginali nel mercato del lavoro, dal conseguente limitato accesso alle misure di conciliazione e dalla frequente assenza delle reti famigliari, tutti fattori che, se da un lato tendono a rafforzare il ruolo della cura materna, dall'altro in alcuni casi possono spingere i padri ad essere più presenti, aprendo a possibili trasformazioni dei modelli di genere.
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