• Dinanzi alle molteplici e radicali insidie che la globalizzazione pone ai diritti del lavoro e delle relazioni industriali, specie nei paesi in cui essi avevano raggiunto livelli più avanzati di sviluppo, la prospettiva di una qualche forma di contrattazione collettiva sovranazionale diviene per i sindacati di tutto il mondo una esigenza sempre più ineludibile. La diffusione di accordi di questo tipo, per quanto ancora circoscritta per diffusione e contenuti, costituisce una delle poche note incoraggianti in uno scenario di crisi perlopiù segnato da una erosione, aggressiva e senza precedenti, dei diritti sociali e sindacali. Privi di una copertura normativa esplicita e diretta, i contratti transnazionali a livello aziendale di gruppo costituiscono un caso emblematico di quel diritto globale, oggi contrassegnato dalla proliferazione di attori e procedimenti alternativi a quelli tradizionali dell’hard law nazionale ed europeo. Un modello di volontarismo e autonomia collettiva, ben noto a un sistema nazionale di relazioni industriali come il nostro, che come il nostro ne rivela tutti i pregi e i limiti, qui aggravati da una più accentuata asimmetria di poteri fra impresa e lavoro, nonché da una più difficile esigibilità imputabile alle difficoltà oggettive, ma anche soggettive e politiche, di porre in essere forme di solidarietà e di conflitto a livello sovranazionale.
  • La considerazione secondo la quale la globalizzazione dei mercati ha stimolato la crescita di una dimensione transnazionale delle relazioni di lavoro, soprattutto di quelle collettive, riscontra un consenso unanime. Tuttavia, al momento gli studi si sono concentrati sugli aspetti giuridici specifici o sugli aspetti empirici del fenomeno. Questo saggio si pone l’obiettivo di elaborare una classificazione in tipologie (tassonomia) dei contenuti della dimensione transnazionale, all’esito della quale formulare alcune considerazioni sul ruolo che la dimensione transnazionale può svolgere nello sviluppo socialmente ed economicamente coeso dell’integrazione europea.
  • Nel quadro della generale tendenza del dialogo sociale europeo a produrre accordi volontari e autonomi di nuova generazione, l’articolo analizza le due principali forme di negoziazione transnazionale, di settore e di impresa, mettendone a fuoco differenze, similitudini e reciproche interazioni. Esamina, infine, la questione di un eventuale intervento regolativo dell’Unione Europea sulla negoziazione transnazionale, per lo più proposto in termini di un legal framework in materia. La conclusione è che una valida alternativa all’astensionismo e all’interventismo possa essere rappresentata da un’attività normativa e di sostegno di carattere soft, soprattutto da parte della Commissione europea.
  • Quello delle ristrutturazioni rappresenta il soggetto principale degli accordi transnazionali di gruppo di livello europeo. A partire dal 2000, le federazioni europee di categoria e altre organizzazioni sindacali hanno negoziato e siglato un crescente numero di accordi di questo tipo. Quest’articolo presenta una panoramica di questi accordi, concentrandosi su quelli che consideriamo «sostantivi». Essi prevedono garanzie a fronte dell’eventuale chiusura di stabilimenti, a protezione dell’occupazione e per i lavoratori trasferiti dentro o fuori dall’azienda. Alcuni prevedono regole procedurali in materia di consultazione delle rappresentanze dei lavoratori nonché il monitoraggio sull’implementazione degli accordi. Questi richiedono alla delegazione capacità di negoziare fra livello nazionale ed europeo, con riguardo ad almeno tre generi di coordinamento: fra sindacati nazionali ed europei; fra sindacati nazionali e Cae; fra Cae e una o più federazioni europee di categoria. Questa capacità di coordinamento è evoluta nel corso del tempo. Con un crescente impegno delle federazioni europee di categoria, che hanno adottato regole interne di negoziazione, oggi riconosciute da un numero crescente sia di aziende sia di parti firmatarie di Tca.
  • Il saggio approfondisce l’evoluzione del contenuto degli accordi quadro transnazionali, ponendo in luce come la loro origine e il loro sviluppo si caratterizzino per la maggiore attenzione all’applicazione effettiva degli impegni stabiliti anche nei confronti delle società collegate e della catena dei fornitori. Le soluzioni in materia di monitoraggio, follow up e sanzionatorie costituiscono uno strumento che contribuisce a creare un corpus di norme poste all’interno del sistema di relazioni sindacali, e discute la possibilità di strumenti di diritto internazionale ed europeo che sostengano tali manifestazioni dell’autonomia collettiva.
  • Il saggio si propone di illustrare come sia necessario, accanto a uno studio delle regole che caratterizzano la contrattazione collettiva a livello comunitario, un approfondimento sui soggetti che stipulano i contratti collettivi a livello europeo. Partendo da una breve disamina delle norme che a livello comunitario si occupano di diritti e rappresentanza sindacale, il saggio illustra la necessità di superare la nota tendenza del diritto comunitario di astensione dal legiferare in materia di relazioni sindacali e di predisporre una legislazione di implementazione e di sostegno al diritto fondamentale, di cui all’art. 28 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea relativo al diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei propri interessi, compreso lo sciopero.
  • Sullo sfondo di processi di internazionalizzazione le organizzazioni sindacali devono fare i conti con la loro limitata capacità di azione che è principalmente circoscritta entro i confini nazionali. Alla luce delle possibilità limitate di fissare delle norme giuridiche a livello transnazionale, l’opzione più incisiva a disposizione per creare un quadro di riferimento di diritti e standard di lavoro sembra consistere nelle forme di auto-regolamentazione attraverso la conclusione di Accordi aziendali transnazionali (Aat). Per comprendere meglio l’impatto effettivo di questi accordi sulle relazioni industriali nazionali è necessario cercare di capire se e in quale modo gli Aat siano stati applicati a livello nazionale. In questo articolo analizzeremo l’implementazione della Carta globale dei rapporti di lavoro firmata nel 2009 nel Gruppo Volkswagen. Lo studio di caso suggerisce che ciò che conta nel processo di implementazione è il coinvolgimento attivo dei diversi attori ai vari livelli.
  • L’Europa è un terreno fertile per l’esplorazione di un sistema di relazioni industriali nuovo e transnazionale perché qui l’europeizzazione delle relazioni industriali agisce da decenni e muove in quadri normativi armonizzati, sicuramente più che in ogni altra macroregione del mondo. È naturale quindi che si guardi con interesse agli accordi transnazionali con le imprese multinazionali, per riconfigurarli in una dimensione amplificata negli obiettivi e nel tenore. Dalla logica dello scambio di esperienze per la diffusione delle buone pratiche, ci si dirige verso una concettualizzazione del fenomeno che deve portare a proposte volte a costruire un ambiente idoneo alla negoziazione, agendo sul coordinamento, rafforzando le procedure interne decise dai sindacati nella loro autonomia, fino alla proposta legislativa di un quadro opzionale di regole per la negoziazione transnazionale. Gi autori sostengono l’idea che l’intervento del legislatore europeo deve essere promozionale e non invasivo rispetto all’autonomia delle parti di impegnarsi. Un’eventuale normativa quadro dovrebbe creare un ambiente favorevole per coloro che fino a oggi hanno trovato nell’indeterminatezza delle regole un fattore disincentivante. Il quadro legale opzionale dovrà individuare i soggetti titolati a firmare gli accordi, il rapporto tra gli accordi europei e quelli di diritto nazionale, alcuni aspetti delle procedure negoziali (compresa la formazione del mandato), la protezione dei lavoratori, gli elementi formali necessari a rendere valido l’accordo (data, luogo, scadenza, firma), i meccanismi per la soluzione delle dispute e dei conflitti relativi all’applicazione dell’accordo. Resterebbe aperta la possibilità di sottoscrivere Efa in altre modalità, ma a questo punto in assenza delle garanzie e della fluidità garantita dal quadro legale opzionale.
  • A partire da un recente volume di Silvana Sciarra, si tenta di individuare le chances e il contesto in cui si potrebbe rilanciare l’idea di un’Europa sociale. L’intensificarsi dell’integrazione tra Stati per fronteggiare la crisi economica, e in particolare quella del debito sovrano, ha sino a oggi riguardato solo il gruppo dell’eurozona, dando luogo a nuove istituzioni e a una governance più forte, ma all’insegna di discutibili politiche di austerity e con regole estranee al diritto dell’Unione. I diritti sociali e le politiche di sviluppo e di occupazione sono rimaste estranee, se non soccombenti, di fronte a tali trasformazioni. Come recuperare oggi (e per quali paesi) la dimensione sociale del «progetto europeo»?
  • Fino a poco tempo fa quasi tutti i sindacati irlandesi hanno accettato la massima del «corporativismo competitivo»: accontentarsi di una fetta minore della torta per ricevere una torta più grande. Tuttavia, quando la bolla della «tigre celtica» è scoppiata e la social partnership è collassata, è divenuto evidente come gli anni della social partnership e di una crescita economica rivelatasi insostenibile avessero creato un movimento sindacale privo della sua capacità di agire in maniera indipendente. Il modello della «tigre celtica» può essere perciò compreso in maniera migliore se inserito nel contesto di un’applicazione pragmatica ed efficace dell’agenda neoliberale, nonostante l’inclusione dei patti sociali al suo interno sembri contraddire la teoria neoliberista.