• Nella prima parte dell’articolo si evidenziano i principali pregi dell’ultimo libro – Inequality: what can be done? – di Tony Atkinson, l’autore a cui, più di ogni altro, si deve il merito di aver portato il tema delle diseguaglianze al centro dell’attenzione degli economisti. In questo libro Atkinson, dopo aver chiarito come la diseguaglianza non sia determinata da un singolo fattore, ma discenda da un processo complesso con molteplici meccanismi, delinea un’articolata strategia di policy necessaria per ridurre sia le diseguaglianze che si formano nei mercati, sia quelle dei redditi disponibili (ovvero, tenendo conto anche dell’azione redistributiva pubblica). Prendendo spunto da alcuni insegnamenti contenuti nel libro, nella seconda parte dell’articolo si discutono criticamente alcuni «luoghi comuni» che spesso riecheggiano nel dibattito sulle diseguaglianze, anche nel nostro paese, e che andrebbero confutati per delineare le basi di una visione condivisa di contrasto alla diseguaglianza.
  • Il reddito minimo (o di cittadinanza) è un’idea di politica di sostegno del reddito che può assumere la veste universale di un’erogazione di welfare con effetti redistributivi oppure essere concepita come strumento di lotta alla povertà o infine come strumento di garanzia di fronte al crescente impoverimento e alla frammentazione di ampi segmenti del mercato del lavoro. Tranne Grecia e Italia tutti i paesi della Ue hanno avviato politiche di sostegno universale del reddito, ma quasi tutte sono condizionate da politiche attive per l’inserimento sul mercato del lavoro. In Italia l’esperimento del Reddito minimo di inserimento (1998) è stato abbandonato ma si è allargata la platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali e dei sussidi di disoccupazione. A livello regionale e comunale le esperienze sono ancora circoscritte e dipendono dalle risorse disponibili, però confermano l’esistenza del desiderio di esplorare questa strada.
  • L’attenzione sulla regionalizzazione del welfare, specie in Italia, ha portato alla costruzione di diverse tipologie di welfare locale, che spesso vengono lette come forme «bonsai» dei regimi di welfare à la Esping-Andersen. Tramite una contestualizzazione sulla ristrutturazione dei rapporti territoriali nel welfare e un’analisi della letteratura italiana e internazionale dell’ultimo decennio sulla regionalizzazione del welfare, questo articolo intende evidenziare le criticità emergenti nella classificazione dei welfare regionali in Italia. In particolare, si noterà come un’inadeguata considerazione del frame nazionale nello strutturare la variazione locale costituisca una carenza significativa. L’articolo si conclude proponendo un’agenda di ricerca che, considerando la dimensione scalare, congiunga comparazione intranazionale e internazionale per contestualizzare il «regime di decentramento» italiano.
  • La crisi economica finanziaria con le relative politiche di austerity ha acuito i processi di differenziazione regionale delle politiche sociali e sanitarie. Focalizzandosi sulle politiche di long-term care, lo studio analizza le esperienze di governance regionali attraverso l’esame dei piani di programmazione regionale di Veneto, Emilia-Romagna e Marche. Le regioni presentano contesti regolativi molto eterogenei, caratterizzati da differenti livelli di integrazione tra le varie politiche di welfare, ma anche tra i servizi territoriali all’interno delle stesse aree di intervento, e di integrazione tra cure formali offerte dai servizi e cure informali della famiglia. Differenze nelle esperienze di governance dell’integrazione nelle politiche di long-term care si trasformano in disuguaglianze istituzionali nelle risposte ad analoghi bisogni.
  • Il lavoro ha come oggetto il tema dell’immigrazione a partire dalla più ampia problematica della cittadinanza, nelle sue diverse concezioni: giuridica, culturale, democratica. Il processo di inclusione degli immigrati viene inserito nella cornice delle diverse crisi – non solo quella economica e finanziaria – che segnano il mondo globale. Dopo un’analisi dei fenomeni migratori e delle procedure di acquisizione della cittadinanza in alcuni paesi europei, l’articolo si focalizza sul caso nazionale. Attraverso serie storiche di inchieste campionarie viene studiata la percezione dello «straniero», chiedendosi se la fase di crisi economica abbia minato le basi culturali e di atteggiamento del processo di inclusione in Italia. Nelle considerazioni conclusive si sottolinea la necessità di governare, attraverso politiche adeguate e lungimiranti, la questione dell’immigrazione e la più ampia tematica della cittadinanza alle quali si intrecciano gli andamenti dell’opinione pubblica. Le crisi della democrazia rappresentativa, dell’economia e della finanza, insieme alle implicazioni della società del rischio, definiscono lo scenario nel quale si inseriscono queste dinamiche.
  • Questo articolo presenta un nuovo indicatore alternativo al Pil – l’Indice di benessere sostenibile (Ibs) – una versione modificata dell’Isew sviluppato da Daly e Cobb (1989). Si propone una misura sintetica di flussi che approssima in termini monetari il livello di benessere aggregato, inglobando i principali aspetti economici, ambientali e sociali in un’ottica di sostenibilità. Calcolato per l’Italia per il periodo 1960-2013, l’Ibs descrive l’ascesa e il declino del benessere sostenibile nazionale. I risultati empirici mostrano che nelle prime tre decadi il Pil pro-capite e l’Ibs pro-capite sono cresciuti in parallelo. Laddove il primo ha continuato a crescere fino al 2007, l’Ibs pro-capite ha raggiunto il picco massimo nel 1991, dopo si è stabilizzato con alcune oscillazioni rilevanti e infine dall’inizio della crisi economicofinanziaria del 2008 è diminuito in maniera preoccupante.
  • L’approccio multidisciplinare allo studio del benessere ha permesso di affiancare al Pil nuovi strumenti per stabilire quanto stiamo bene. Il concetto di qualità della vita, in particolare, ha arricchito l’analisi del benessere attraverso l’utilizzo di un’ampia gamma di indicatori sociali, consentendo un’osservazione non solo oggettiva ma anche soggettiva del fenomeno. Su questo approccio innovativo è basato il focus dell’articolo, che presenta un’analisi del benessere soggettivo in Europa, delle sue determinanti principali, e un approfondimento sul rapporto tra ricchezza e benessere. L’obiettivo è evidenziare il contributo che lo studio soggettivo aggiunge alle informazioni di carattere oggettivo per le politiche sociali.
  • Le disuguaglianze di reddito sono aumentate in tutti i paesi avanzati e sono un problema centrale del capitalismo di oggi. Nonostante i molti studi apparsi finora, manca ancora una spiegazione convincente delle cause di questo fenomeno. L’articolo riassume i fatti essenziali sull’evoluzione della disuguaglianza, a partire dalla distribuzione del reddito tra salari e profitti, e offre una spiegazione che mette al centro quattro «motori della disuguaglianza»: il potere del capitale sul lavoro, l’ascesa di un «capitalismo oligarchico», l’individualizzazione delle condizioni economiche, l’arretramento della politica. Questi processi stanno cambiando i modi di funzionamento non soltanto del sistema economico ma anche di quello politico: l’economia diventa meno dinamica, la società più ingiusta, la politica meno democratica.
  • L’Italia attraversa ormai da quasi tre decenni una crisi strutturale della crescita economica. Le riforme del mercato del lavoro, la moderazione salariale, le politiche di «austerità espansiva» e la deregolamentazione dei mercati reali e finanziari non sembrano aver contribuito a invertire la rotta declinante tracciata dal sistema produttivo italiano quanto piuttosto ad aggravare un quadro già deficitario di produttività, investimenti e tecnologia. Nell’articolo utilizziamo la cosiddetta «contabilità della crescita» per isolare i fattori che sono alla base di questa deriva. Il quadro macroeconomico che ne emerge mostra che il deterioramento della crescita, maggiormente accentuato dal 2008 in poi, ha carattere strutturale e coinvolge sia i settori produttivi tradizionali che quelli tecnologicamente avanzati.
  • Dopo aver ripercorso sinteticamente la struttura, i contenuti e gli obiettivi della riforma del mercato del lavoro denominata «Jobs Act», l’articolo si sofferma sulle implicazioni che la stessa determinerà su mercato e rapporti di lavoro. A riguardo, se, da un lato, può essere posto in dubbio il raggiungimento dell’annunciato obiettivo di aumentare l’occupazione attraverso la ricetta della flessibilità (in entrata, in uscita e funzionale), dall'altro, certamente non vi sono dubbi che la novella riporti il diritto del lavoro italiano indietro nel tempo, depotenziando proprio quelle norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della libertà e della dignità dei lavoratori.