• Una storia vera, come tante che in quegli anni vissero numerose famiglie italiane, raccontata in prima persona con lo stile di un romanzo e capace di coinvolgere e trasmettere emozioni personali e familiari, vissute dall’autore ma che testimoniano le tragiche condizioni di un’epoca nera che ha segnato indelebilmente la storia d’Italia. Scritto durante gli anni di internamento, insieme ad altri italiani, in un campo britannico, il libro fu pubblicato dapprima in lingua inglese, nel 1940, e solo alla fine della guerra nella sua versione originale in italiano. Questo volume ripropone l’edizione del 1996, promossa all’epoca dalla Fondazione di studi storici «Filippo Turati» e pubblicata da Piero Lacaita Editore, e si arricchisce della presentazione del figlio Claudio e di una nuova prefazione di Andrea Ricciardi, oltre a quella di Bruno Trentin che corredava il volume precedente.
  • Quanto è presente il fenomeno mafioso in Lombardia? Qual è, più specificamente, il livello di infiltrazione della ’ndrangheta nella regione più popolosa, ricca e progredita d’Italia? Quale il suo grado di insediamento o – ancor più – di radicamento? Le parole non vengono mai a caso. E oggi più che mai dobbiamo usarle con scrupolo scientifico e responsabilità intellettuale, di fronte ai fatti, alle relazioni sociali, alle mentalità pubbliche e private messe a nudo dalla ricerca. Mafia ed economia. Il rischio criminale in Lombardia è un libro che non rimuove e non ambisce a stupire. Ma che responsabilmente sistematizza gli scomodi risultati di una recente, ampia ricerca su «Mafia ed economia in Lombardia» svolta dal centro Cross dell’Università degli Studi di Milano in partnership con Cgil Lombardia. Emerge l’ascesa degli interessi e delle logiche di mafia in un’area che un tempo ne era quasi immune. Si delinea la sagoma di un capitalismo pericolosamente ibrido. La cui realizzazione, come spiegano gli autori, va e può essere ancora contrastata.
  • Scarica il file gratuito al Link Occupazione, salari e lavoro povero nell’era della precarietà Il lavoro – fondamento costituzionale della Repubblica – ha perso negli anni il suo valore politico, economico e sociale. Questo è quanto emerge dal rapporto sulle tendenze dei salari e delle disuguaglianze in Italia e nel mondo dell’Ilo (2024) e dall’ultimo rapporto annuale dell’Istat (2024), che mostrano il progressivo declino dei salari reali e la crescente precarizzazione del mercato del lavoro in Italia. I cambiamenti economici e sociali portati dall’era della globalizzazione hanno contribuito a minare le sicurezze che un posto di lavoro riusciva a dare. La crescente deregolamentazione del mercato del lavoro, con l’obiettivo di migliorare la competitività, la graduale frammentazione delle catene della produzione, la progressiva terziarizzazione dell’economia sono tutti fattori che hanno favorito il diffondersi di una nuova occupazione precaria. Sono nate nuove forme contrattuali incentrate sulla discontinuità del rapporto di lavoro.      
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  • CM 1-2/2025

    15.00 
    Comunismo e libertà. La lezione di Aldo Tortorella  
    Idee che restano
    • a.l., «L’esempio di Eva» e il «comunismo di cui non possiamo fare a meno»
    • Aldo Tortorella, L’esempio di Eva
    • Maurizio Landini, Il crinale odierno tra socialismo e barbarie
    • Stefano Petrucciani, Il confronto con Marx
    • Fabio Vander,  Alla «scuola» di Antonio Banfi
    • E. Igor Mineo, La questione dello storicismo
    • Mattia Gambilonghi, La ricerca sul nuovo socialismo: tra «terza via» e libertà solidale 
    La politica come vita
    • Luciana Castellina, L’amicizia di una vita tra liti e battaglie comuni
    • Gianni Fresu, Con Curiel nella Resistenza
    • Alexander Höbel, Tra Longo e Berlinguer
    • Alberto Leiss, La svolta che il Pci e «l’Unità» non seppero fare negli anni Settanta
    • Marco Doria, Il lungo percorso di un intellettuale militante
    • Corrado Morgia, Nel solco del «secondo Berlinguer»
    • Antonio Di Meo, L’innovazione nella ricerca: la centralità della scienza
    • Vincenzo Vita, Una rivoluzione culturale gentile
    • Gloria Buffo e Marco Fumagalli, Una pedagogia pratica per i giovani degli anni Ottanta
    • Giorgio Mele, Dalla Bolognina ai comunisti democratici
    • Antonella Palumbo e Attilio Trezzini, Il rapporto con l’economia critica 
    Dopo il Pci
    • Guido Liguori, La nuova serie di «Critica Marxista»
    • Piero Di Siena, I primi anni di vita dell’Ars e la lotta al neoliberismo 
    • Alfiero Grandi, L’Ars e la stagione dei referendum 
    • Elvira Di Meo, L’importanza della passione 
  • Cos’è il lavoro povero? Come fronteggiarlo? Il volume presenta un’analisi del lavoro povero come fenomeno multifattoriale e delle pratiche necessarie per contrastarlo. In particolare, la ricerca ha analizzato il ruolo della contrattazione (nazionale, aziendale, territoriale) e le azioni di carattere sociale e istituzionale. Il lavoro povero è considerato come un fenomeno complesso che riguarda il modello di sviluppo ed è messo in relazione a un ampio spettro di fattori: la condizione occupazionale e famigliare dell’individuo; il contesto aziendale e produttivo; il contesto sociale e istituzionale. Questi ambiti di vita e di lavoro sono degli spazi di intervento, tra loro in relazione, nei quali gli attori sociali e politici dovrebbero operare per favorire l’aumento dei salari e, più in generale, il superamento degli elementi di vulnerabilità e precarietà del lavoro. La metodologia si basa su un approccio di ricerca-intervento, con diverse tecniche di indagine quantitative e qualitative. Il volume riporta una ricostruzione storica e teorica del rapporto tra lavoro e povertà, l’analisi degli assetti normativi e dei sistemi di relazioni industriali, l’evoluzione recente del fenomeno secondo i dati statistici, i risultati di cinque studi di caso condotti in differenti settori e territori ad alta vulnerabilità. Il progetto «Contrasto al lavoro povero e dialogo sociale» è stato coordinato dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio e condotto in collaborazione con il Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato con un gruppo di ricerca interdisciplinare.
  • RPS N. 1/2025

    22.00 
    Innovare è possibile. Percorsi per un Servizio sanitario nazionale all’altezza delle sfide in atto  
  • Il 4 aprile 2024 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’Accordo collettivo nazionale (Acn) per la medicina generale, relativo agli anni 2019-2021. Si tratta del quattordicesimo accordo dalla creazione della figura del Medico di medicina generale (Mmg) avvenuta con la legge n. 833/78 istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Il nuovo accordo tende a sottolineare l’innovazione nel profilo di tale professionista, sia in ambito organizzativo, sia nei rapporti con le nuove strutture territoriali (Case della comunità). In realtà, fin dalla sua prima istituzionalizzazione, la complessità del profilo giuridico ed economico dei Mmg ne costituisce un tratto distintivo e problematico. Il nodo, infatti, della regolazione di una professione «libero professionale convenzionata» è restato a lungo irrisolto ed oggi reso ancor più evidente dalla pandemia da Sars-Cov-2 e dalla emanazione del decreto ministeriale n. 77/22 che stabilisce i nuovi modelli e standard della territorialità. Nell’articolazione del presente contributo, dopo un paragrafo in cui verranno esplicitate le ipotesi e il metodo della ricerca, si analizzerà la configurazione lavorativa dei Mmg precedente e seguente la pandemia, attraverso un’ottica processuale che guarda ai nodi di una professione che potrebbe entrare oggi in una fase di ulteriore declino o, forse, di trasformazione innovativa.
  • L’articolo ricostruisce il processo di creazione dell’Infermiere di famiglia e di comunità (Ifec) in Italia, adottando un approccio storico e di sociologia delle professioni, a partire dalla definizione Oms del 1998-2000, per giungere, attraverso le esperienze regionali, al d.m. n. 77/2022. L’analisi del ruolo degli attori, condotto mediante analisi documentaria e interviste semi-strutturate, ha evidenziato che esistono opportunità di sviluppo dell’Ifec, ma anche ambiguità relative alla loro giurisdizione professionale rispetto a infermieri territoriali e Adi, da un lato, medici di medicina generale e alcune figure tecniche, dall’altro. Se è vero che l’Ifec si configura come un’opportunità di rafforzamento della professione infermieristica, è altrettanto vero che i potenziali conflitti inter e intra professionali, sommati alle condizioni del mercato del lavoro, possono rallentare la sua affermazione.
  • Durante le prime e più aggressive ondate della pandemia di Covid-19, il governo italiano istituisce le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), unità mobili di personale sanitario con il compito di curare e assistere i malati di Covid-19 a domicilio, in coordinamento con i medici di medicina generale. L’articolo analizza le Usca come caso emblematico di organizzazione temporanea «effimera», evidenziandone le condizioni di efficacia ma anche le significative criticità e soffermandosi sull’eredità organizzativa di questa esperienza come modello di continuità assistenziale.
  • L’articolo affronta le sfide dello stress lavoro-correlato nel settore della salute mentale, sottolineando la necessità di una descrizione più approfondita delle prassi e delle culture organizzative dei servizi. In occasione del centenario di Franco Basaglia il dibattito ha rivelato un divario tra i princìpi della riforma del 1978 e le attuali esigenze della popolazione. Oltre alla carenza di risorse, risultano molto frammentarie le descrizioni delle prassi e delle organizzazioni dei servizi: nonostante la diffusione del modello biopsicosociale della recovery, la definizione delle pratiche e dei princìpi ad esso connessi rimane vaga, complicando la comprensione delle condizioni lavorative. L’analisi, basata sulla sociologia pubblica e dell’organizzazione, esplora come le culture e l’operatività sono rappresentate nel discorso pubblico sui servizi di salute mentale, con attenzione alle condizioni di lavoro del personale.
  • I mutamenti dello scenario epidemiologico, demografico e sociale, in particolare la diffusione delle malattie croniche e l’allungamento della vita, richiedono una ridefinizione dei contesti di cura, specialmente nell’approccio alle malattie inguaribili. Il ricorso al domicilio, come luogo di cura nella cronicità, comporta l’implicazione dei pazienti e dei familiari nei percorsi di assistenza, il che rende necessario ricomporre il rapporto fra i saperi scientifici e i saperi esperienziali, fra le cure formali e le cure informali. Il lavoro di cura nella cronicità ha bisogno di una presa in carico forte che tenga conto della dimensione biopsicosociale della malattia, mentre i modelli organizzativi in sanità rimangono ancora fortemente ancorati a modelli d’intervento ospedalocentrici a discapito delle cure primarie. Questo disallineamento fra bisogni e cure offerte mette in sofferenza anche i professionisti dei servizi sanitari. Nel presente contributo viene riportata la storia di un modello innovativo di educazione terapeutica, mirato a cogliere le nuove esigenze di presa in carico dei pazienti più fragili denominato Family learning sociosanitario, ideato e sperimentato nella realtà marchigiana.
  • La professione medica in Italia attraversa una fase di intensa ridefinizione, sospesa tra pressioni manageriali, riduzione di autonomia e spinte vocazionali ancora vive. Attraverso una survey rivolta agli studenti di Medicina dell’Università di Napoli Federico II, il presente contributo mira ad evidenziare sia la persistenza di ideali di «servizio», sia il disallineamento crescente verso aree specialistiche critiche come l’emergenza-urgenza. Tali dinamiche sottolineano la necessità di politiche formative integrate, in grado di orientare aspirazioni individuali e fabbisogni reali del Servizio sanitario nazionale. Da una prospettiva sociologica, ciò implica un ripensamento dell’orientamento professionale e del sostegno istituzionale lungo l’intero percorso formativo. L’insieme di questi fattori ridefinisce tanto l’identità quanto la funzione sociale del «medico del futuro», sollecitando un dibattito sul rapporto tra vocazione, sicurezza economica e responsabilità collettiva.
  • Dietro l’acronimo Rsa, Residenze sanitarie assistite, si cela un mondo fatto di bisogni e professionalità che merita di essere correttamente inquadrato, sia sotto il profilo dell’utenza che sotto il profilo del lavoro. Sono state raccolte numerose testimonianze di chi opera all’interno delle Rsa, ma più in generale nell’ambito del settore socio-sanitario, in centri di riabilitazione o di chi è impegnato in attività socio-sanitario assistenziale educativo di tipo domiciliare, da cui emergono spaccati di realtà e vita quotidiana che fanno ben comprendere come a fronte di blocchi nei rinnovi contrattuali, diritti normativi non riconosciuti, i lavoratori continuino a portare avanti la loro «missione» con grande spirito di sacrificio. Come Funzione pubblica Cgil abbiamo rilevato la necessità di avviare una riflessione seria e strutturata che porti ad un cambiamento dell’attuale sistema di gestione delle Residenze sanitarie assistite e, conseguentemente, dell’organizzazione del lavoro. A stesso lavoro, pubblico o privato che sia, devono corrispondere lo stesso salario e gli stessi diritti.
  • La legge di bilancio 2021 ha individuato un livello essenziale delle prestazioni di un assistente sociale ogni 5.000 abitanti ed ha previsto un contributo di 40mila euro annui per ogni assistente sociale assunto a tempo indeterminato dagli enti locali oltre il rapporto di 1:6500, fino al rapporto di 1:5000. La misura rafforza i servizi sociali territoriali, ma la previsione della soglia minima di 1:6500 potrebbe penalizzare le aree più arretrate. Tuttavia, le risorse disponibili sono sufficienti per finanziare tutti i territori ed i Comuni possono reclutare assistenti sociali in deroga ai correnti vincoli assunzionali ed utilizzare il Fondo di solidarietà comunale per raggiungere la soglia. I dati mostrano una crescente reattività all’incentivo anche da parte dei territori più arretrati. Aumentano le risorse attribuite, i concorsi banditi e gli assistenti sociali assunti, mentre si riduce il divario fra le Regioni del Nord e quelle del Centro e del Mezzogiorno.
  • A più di un anno dall’entrata in vigore delle nuove misure di contrasto alla povertà questo saggio si propone di «fare il punto» sul fenomeno della povertà lavorativa in Italia e sullo stato delle politiche di contrasto. Ricostruendo il tortuoso iter delle riforme, l’articolo individua elementi di continuità e discontinuità tra le misure che si sono susseguite nei recenti cambi di governo. Dopo aver discusso limiti e benefici del Reddito di cittadinanza, prende in esame le nuove misure introdotte con la riforma del governo Meloni – l’Assegno di inclusione (Adi) e il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), focalizzando l’attenzione sul fenomeno della in-work poverty in Italia in prospettiva comparata. Nella parte conclusiva, l’analisi empirica viene problematizzata alla luce delle tendenze correnti nelle politiche sociali e del lavoro e di possibili alternative che iniziano a essere testate nel dibattito internazionale.
  • Il contributo evidenzia la necessità di approfondire e rendere evidente la relazione tra povertà lavorativa e bassa qualità dell’occupazione in Italia, focalizzandosi su salari e tipologie contrattuali di lavoro. Negli ultimi decenni, l’Italia ha visto un calo dei salari reali rispetto a Germania e Francia. Nonostante si lavori più ore, la quota del Pil destinata ai salari è tra le più basse d’Europa. La qualità occupazionale, per intensità e durata dei rapporti di lavoro, influenza fortemente i salari: chi lavora con contratti a termine, a part-time e in modo discontinuo ha una retribuzione in media di meno di 10.000 euro l’anno, mentre i lavoratori con contratti a tempo indeterminato, a tempo pieno e con continuità hanno una retribuzione di oltre 37.000 euro, ma riguarda solo il 38,7% degli occupati del settore privato. Inoltre, il 58% di chi lavora part-time lo fa «involontariamente». L’incidenza del rischio di bassi salari e della povertà lavorativa è più alta per le donne e per i giovani, in ragione del maggiore ricorso di contratti discontinui e a tempo parziale. La povertà lavorativa è aumentata dal 9,5% nel 2010 all’11,5% nel 2022. Per contrastarla, occorre agire su più ambiti d’inter vento: specializzazione dei settori produttivi, sostegno alla contrattazione collettiva, regolazione del mercato del lavoro e rafforzamento delle competenze, puntando su politiche che riducano la precarietà e favoriscano l’occupazione stabile e qualificata.
  • In quel che segue procederemo ad una rassegna ragionata delle argomentazioni svolte in tre libri, che in qualche misura si integrano e i cui meriti e limiti si bilanciano, sui temi della crisi ambientale: di Ardeni e Gallegati (La trappola dell’efficienza), di Saitō Kōhei (Il capitale nell’Antropocene) e di Carl Cassegård (Toward a Critical Theory of Nature: Capital, Ecology, and Dialectics). Il nostro scopo non è tanto una mera critica quanto aprire un dialogo. E questo proprio quando l’impellenza di un intervento che prenda di petto quella che Claudio Napoleoni, più che crisi ambientale, preferiva chiamare «la questione della natura» – una natura intesa come alterità essenziale che si riconosce e rispetta, senza con ciò rinunciare romanticamente alla sua trasformazione – e che si fa ogni giorno più drammatica. Da questi testi c’è senz’altro molto da imparare. C’è però anche molto da interrogare.
  • Il contributo propone una rilettura critica del paradigma dell’invecchiamento attivo, esplorandone le genealogie teoriche, le modalità di implementazione e le implicazioni sociali. Attraverso una narrative literature review, il lavoro muove da una critica all’approccio prescrittivo che tende a normare l’invecchiamento attraverso metriche rigide e obiettivi uniformi, per chiedersi se – e in quali contesti – il paradigma dell’Active aging possa invece sostenere percorsi differenziati di autonomia e autodeterminazione nella tarda età. Il lavoro mette in discussione l’idea di attivazione come fine e propone, al contrario, di considerare l’autonomia come prerequisito per un invecchiamento attivo autentico. Adottando la prospettiva del life course approach, si sottolinea l’importanza di affrontare le disuguaglianze accumulate lungo l’intero arco della vita. Particolare attenzione è dedicata al livello meso, come spazio privilegiato per tradurre il paradigma in pratiche coerenti con le soggettività anziane.
  • QRS N. 1/2025

    22.00 
    Tempi moderni e orari antichi
    • Il tempo di lavoro in una prospettiva di genere
    • Le tutele nelle economie delle piattaforme
    • Aspirazioni e lavoro
  • L’orario di lavoro è aspetto fondamentale del rapporto di lavoro, in quanto incide profondamente sulla vita dei lavoratori e sulla strutturazione della società stessa. Si offre qui una sintesi, basata sulla storiografia in tema, di come si sono strutturati nella storia orari, ritmi, organizzazione del lavoro, rivendicazioni, contrattazione, conflitti, tutele, occupazione, pluriattività, tempo libero strategie individuali e collettive. A partire dal dibattito intorno agli effetti della rivoluzione industriale sulle condizioni di lavoro e di vita degli operai, si ricostruiranno le conquiste successive analizzando i corsi e i ricorsi storici nelle le politiche messe in atto da istituzioni, organizzazioni sindacati e imprenditoriali, nonché i comportamenti sociali connessi all’uso del tempo.
  • Il saggio esamina il contributo che la direttiva sull’orario di lavoro del 1993, pur elaborata secondo una filosofia regolativa favorevole alla flessibilità delle regole, ha offerto alla costruzione di un insieme di tutele e garanzie per i cittadini-lavoratori dell’Unione europea. Nel corso degli anni le sue prescrizioni, soprattutto dopo l’entrata in vigore della Carta di Nizza, sono state interpretate dalla Corte di Giustizia in modo più stringente e più estensivo atte-nuandone la derogabilità. La direttiva del 2019 sulla trasparenza nelle condizioni di lavoro e quella sul work on platform del 2024 hanno ulteriormente rafforzato l’impatto dei limiti d’orario, del diritto ai riposi ed alle ferie negli stati nazionali. Il saggio esamina infine la ripresa di un dibattito europeo – a fronte della transizione digitale e dell’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi lavorativi – su come ripartire equamente gli effetti della rivoluzione tecnologica in atto, con una nuova discussione, ancora molto aperta, sulla riduzione ex lege dell’orario di lavoro e sulla tutela dei bisogni primari attraverso un reddito garantito come forma, anche indiretta di contrasto allo sfruttamento.
  • L’intensificazione del lavoro è ormai ben documentata dalle scienze umane e sociali: nelle sue forme su diverse scale temporali – dall’immediato al percorso di carriera – e nelle sue conseguenze sulla salute – dai disturbi minori alle malattie professionali. Tuttavia, comprendere per agire richiede una lettura attenta di questa progressione, il più possibile vicina alle situazioni lavorative, con l’obiettivo di evitare una lettura binaria – avere tempo o non avere tempo – che può portare molti lavoratori a sentirsi impotenti di fronte a un modello dominante di fretta presentato come inesorabile. In quest’ottica, l’articolo propone un approccio qualitativo al tempo, esaminando il tempo trascorso al lavoro che costituisce l’orario di lavoro. Questo approccio rivela due meccanismi che strutturano l’azione. Per prima cosa, nonostante i forti vincoli temporali, ognuno di noi cerca di mettere in atto un «tempo che conta», un tempo che trasmette valori positivi per la salute: tempo per trasmettere informazioni, per costruire collettivamente, per essere creativi, ecc. Secondariamente, questa ingegnerizzazione del tempo è ciò che potenzialmente dà alle persone il potere di agire sul loro lavoro. Questa attività, spesso clandestina, anche se non ignora i problemi di prestazione e di salute, è la base su cui si possono strutturare le azioni trasformative.
  • L’articolo pone in luce i dilemmi del bilanciamento vita-lavoro e le sfide poste alla contrattazione. Dapprima, si presenta una riflessione sul significato socialmente attribuito al lavoro e la necessità di decostruire gli stereotipi di genere ad esso associati. Questa prima riflessione è funzionale a ragionare sul rapporto tra lavoro retribuito, svolto principalmente fuori casa, e il lavoro non retribuito, domestico e di cura. È infatti questo rapporto – e l’asimmetria (e la diseguaglianza) di genere che lo connota – a definire le modalità della partecipazione di donne e uomini al lavoro retribuito. Senza questa necessaria decostruzione degli stereotipi associati al lavoro e della divisione di genere che ne deriva, l’attività di contrattazione non può che riprodurre le presenti diseguaglianze. Viene poi esaminato l’uso del rapporto a tempo parziale, le distorsioni presenti con particolare riferimento al caso italiano, e le problema-tiche che esso pone al bilanciamento vita-lavoro e alla contrattazione.
  • Occupazione e condizioni di lavoro sono caratterizzate da due aspetti strutturali. Il primo è connesso con l’uso delle nuove tecnologie e dei nuovi sistemi di organizzazione del lavoro allo scopo di risparmiare lavoro per unità di prodotto. Il secondo aspetto riguarda le condizioni di incertezza e di precarietà per una fetta consistente degli occupati e degli occupabili. Il saggio discute le condizioni socioeconomiche alle quali una riduzione dell’orario di lavoro può migliorare le condizioni nelle quali versa il lavoro in Italia e aumentarne gli spazi di libertà.
  • Il contributo esamina la questione della riduzione dell’orario di lavoro nel settore metalmeccanico, con l’obiettivo di incrementare l’occupazione e migliorare le condizioni lavorative. Per ragioni di spazio, non verrà trattato il tema della distribuzione del reddito, sebbene esso sia connesso alla regolazione dell’orario di lavoro. Si sottolinea l’impor-tanza per le organizzazioni dei lavoratori di sostenere una riduzione dell’orario di lavoro non solo a parità di salario, ma anche di produttività. Qualora, infatti, la riduzione dell’orario fosse subordinata a un aumento della produtti-vità, il duplice obiettivo di creare occupazione e migliorare le condizioni lavorative rischierebbe di non essere raggiunto.
  • L’articolo analizza le condizioni lavorative, caratterizzate da un’elevata richiesta fisica, pressione psicologica, retri-buzioni modeste ed elevata precarietà, presenti nel settore della grande distribuzione organizzata (Gdo). L’analisi si concentra sul rapporto tra condizioni lavorative gravose e tipologie di contratti di lavoro, spesso imposte dall’im-prenditore, come il part-time, che di fatto accrescono lo stress lavorativo e determinano l’aumento di molteplici pato-logie tra gli occupati. In risposta al progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro, sono esaminate alcune strategie sindacali finalizzate a contrastare la dinamica in atto.
  • Il presente lavoro dopo una analisi in chiave quantitativa dell’orario di lavoro in agricoltura in Italia basata su alcune informazioni statistiche fornite da Eurostat ricorda le peculiarità biologiche che riguardano i processi produt-tivi agricoli descrivendo come queste specificità condizionano i modelli di organizzazione del lavoro. Su questa base dopo una descrizione del precipuo ruolo e della funzione che l’attuale modello contrattuale assegna al Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) e ai Contratti provinciali di lavoro (Cpl) in materia di organizzazione del lavoro vengono presentati alcuni casi studio che analizzano gli orientamenti in materia di orario di lavoro nella contrattazione territoriale di alcune province italiane. Il lavoro si chiude proponendo una riflessione che vuole provare a delineare alcune linee prioritarie di lavoro sindacale in materia di orario di lavoro.
  • Il fenomeno delle dimissioni volontarie, esploso in Italia e negli Stati Uniti, in particolar modo durante la pandemia, è stato interpretato maggiormente dalla letteratura e reportistica ufficiale come fuga dal lavoro o come effetto di un’aumen-tata mobilità del mercato del lavoro, avvenuta subito dopo il primo lockdown. In questo contributo si proverà ad analizzarlo come manifestazione di un profondo processo di risignificazione del lavoro, seppur non strutturato. In questo ambizioso compito si farà ricorso alle categorie classiche di Karl Polanyi, che già nella prima metà del Novecento ha riflettuto su quanto l’azione sociale sia mossa non soltanto dall’astratto calcolo costi-benefici, ma anche da credenze, valori e significati sociali, a partire dalle quali l’interesse prende forma. A partire da questa importante lezione si proverà a ritematizzare il ruolo del lavoro come strumento privilegiato di promozione dell’interesse collettivo.
  • L’evoluzione recente dell’economia delle piattaforme ha generato un’attenzione crescente nei confronti del contenzioso strategico e del suo potenziale contributo alla tutela dei diritti dei lavoratori. Tradizionalmente, l’azione in giudizio è percepita come in tensione con le modalità e gli obiettivi della contrattazione collettiva: tende a generare un clima di contrapposizione e sottrae la risoluzione del conflitto alle parti. Tuttavia, il contenzioso sui diritti dei rider mostra una relazione più sfumata, in cui la via giudiziale risulta complementare alla contrattazione collettiva, sostenendone e rafforzandone gli obiettivi. Per esplorare questa dinamica, l’articolo si avvale di un’analisi qualitativa che intende identificare e classificare i vari modi in cui azione in giudizio e contrattazione collettiva interagiscono nel caso in esame. Lo scopo è di offrire una nuova prospettiva sul ruolo della strategic litigation nell’ambito delle relazioni sindacali e sul suo potenziale come strumento per rispondere alle sfide poste dalle transizioni in corso.