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Nuove forme organizzative del welfare locale. Nota introduttiva
I cambiamenti nella protezione sociale degli ultimi venticinque anni hanno ampliato il ruolo dei sistemi di welfare locale, con l’assegnazione ai livelli decentrati di maggiori e più complesse competenze, non sempre accompagnate da un corrispondente accesso alle risorse finanziarie necessarie per un’adeguata offerta di servizi. Diverse analisi hanno cercato di dare spiegazioni plausibili a questo processo. Negli approcci economici hanno prevalso le ragioni che sottostanno alle teorie del federalismo fiscale, mentre i sociologi hanno più insistito sull’adattabilità dell’offerta di servizi di welfare locale, pubblici e privati, come risposta a una domanda di protezione sociale più diversificata e frammentata che caratterizza il periodo post fordista. Alcune analisi politologiche, rilevando la crescente ibridazione degli originali modelli di welfare, sostengono che l’importanza dei livelli locali non è ascrivibile a un particolare modello, ma ha le sue radici in fenomeni culturali e nelle vicende storico politiche che hanno configurato le istituzioni della democrazia e le forme di partecipazione in ogni paese. La crisi di questi ultimi anni ha messo a dura prova i sistemi di welfare locale che si sono trovati nella morsa di una domanda di protezione crescente, in presenza di vincoli finanziari molto più stringenti. Di conseguenza, hanno dato avvio a una serie di sperimentazioni nelle forme di intervento, in cui si è andato ampliando il peso dei soggetti non pubblici, mentre la funzione dell’amministrazione locale si è andata trasformando da un ruolo di governo a un compito di governance. All’analisi di queste trasformazioni è dedicata la sezione monografica del fascicolo, che mette in luce una serie di aspetti particolarmente interessanti, riassunti nella seconda parte di questa nota introduttiva.
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All’Italia serve il Jobs Act?
A poco più di due anni dall’ultima «riforma» del mercato del lavoro, la legge 92/2012 più nota come Riforma Fornero, anziché prendere atto dell’esito del monitoraggio che la stessa legge 92/2012 prevedeva, l’attuale Governo ha ritenuto di intervenire nuovamente sul mercato del lavoro con un primo decreto, oggi legge 78/2014, e successivamente con un d.d.l. delega cosiddetto «Jobs Act», oggi legge 183/2014. L’articolo analizza le linee guida degli interventi del Governo sulla base della situazione reale del mercato del lavoro che si è determinata con la precedente riforma e sulle caratteristiche di precarietà dei contratti di lavoro. Analizzando gli effetti delle misure governative anche in termini di semplificazione e riorganizzazione dei meccanismi che sono alla base del mercato del lavoro, risultano illusori gli obiettivi di innovazione e creazione di nuovi posti, mentre si sta rendendo evidente una progressiva modificazione del modello di impresa e più in generale delle scelte imprenditoriali che si modellano sulla base delle norme di vantaggio introdotte. Infine vengono descritte le risposte della Cgil che si articoleranno su due piani: quello della contrattazione diretta e quello della battaglia politica generale per la conquista di nuovi diritti anche sotto forma di un nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori.
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Aspettando il Jobs Act: il mercato del lavoro italiano tra anomalie e decreti
L’obiettivo cognitivo del contributo è fornire un quadro aggiornato del mercato del lavoro italiano in chiave di comparazione europea e di constatazione dei possibili effetti dell’evoluzione del quadro normativo. Dall’analisi condotta sui dati delle Forze di lavoro vengono restituite le tradizionali anomalie del mercato in termini di bassi tassi di occupazione femminile ed elevate disparità territoriali, accanto alla elevata quota di lavoratori in proprio. Il dato che emerge dall’esame delle Comunicazioni Obbligatorie è l’elevatissimo numero (complessivamente, circa 20 milioni all’anno) di attivazioni e cessazioni, per la metà relative a rapporti di lavoro dalla durata non superiore ai tre mesi. Tale elemento coesiste con una quota non elevata, nel confronto europeo, del tempo determinato nell’occupazione dipendente.
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L’introduzione della Naspi: estensione delle tutele e criticità
Lo scopo di questo articolo è duplice: descrivere le principali novità stabilite dal decreto di riforma degli ammortizzatori sociali e, soprattutto, verificare, in termini qualitativi e con l’ausilio di alcune simulazioni su come cambiano in seguito alla riforma le tutele potenziali dei lavoratori dipendenti del settore privato, se la sostituzione di Aspi e Mini-Aspi con la Naspi aumenti le tutele a cui i lavoratori dipendenti avrebbero diritto in caso di licenziamento o se, al contrario, la riforma possa rivelarsi peggiorativa per alcuni lavoratori. A tal fine si guarderà a tutte le dimensioni attraverso cui si concreta uno schema di indennità di disoccupazione, ovvero, i requisiti di accesso, la durata di erogazione delle prestazioni e gli importi previsti come indennità e come contribuzione figurativa a fini pensionistici.
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La revisione delle mansioni nel Jobs Act e nelle norme attuative: sotto-inquadramento e diritti inviolabili
L’articolo esamina le recenti modifiche che lo schema di decreto legislativo emanato dal Governo il 20 febbraio 2015 in attuazione della legge n. 183/2014 (Jobs Act), intende apportare alla disciplina delle mansioni del lavoratore. Partendo dall’analisi legislativa e giurisprudenziale in materia, le autrici affrontano da un punto di vista di diritto costituzionale le implicazioni che le nuove norme sul demansionamento, abbinate a quelle sui licenziamenti, potrebbero avere sulla garanzia di diritti fondamentali dei lavoratori, quali il diritto alla salvaguardia della professionalità e alla conservazione del posto di lavoro, che sembrano destinati dalle nuove norme ad una tensione inconciliabile.
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La disciplina dei licenziamenti per i nuovi assunti: impianto ed effetti di sistema del d.lgs. n. 23/2015
L’articolo analizza la disciplina dei licenziamenti introdotta, soltanto per i lavoratori nuovi assunti, dal decreto legislativo n. 23 del 2015, nell’ambito del cd. Jobs Act del Governo Renzi. Il saggio ricostruisce le linee di fondo del provvedimento e ne valuta l’impatto sulle relazioni di lavoro e sull’azione delle organizzazioni sindacali. Vengono anche evidenziati i possibili effetti critici del provvedimento, quali l’effetto sulle condizioni di concorrenza tra le imprese, soprattutto in alcuni settori economici, e sulla spinta delle imprese a sostituire il personale già in servizio con lavoratori più giovani e meno costosi. L’autore delinea infine i terreni sui quali la contrattazione collettiva potrebbe temperare gli aspetti socialmente ed economicamente negativi della nuova disciplina legale.
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Gli sgravi contributivi sulle nuove assunzioni: convenienze per le imprese ed effetti sul bilancio pubblico
Lo scopo di questo articolo è descrivere i contenuti della norma che ha previsto la fiscalizzazione per un triennio dei contributi a carico del lavoro sui contratti a tempo indeterminato stipulati nel corso del 2015 e valutare, da un lato, i possibili effetti di tale norma sulle convenienze delle imprese a sostituire contratti a termine con contratti a tutele crescenti e, dall’altro, i possibili oneri per il bilancio pubblico derivanti dalla concessione degli sgravi contributivi.
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Riforme senza politica industriale: l’Italia negli ultimi venti anni
L’Italia soffre da ormai due decenni di mancanza di crescita. Il deterioramento della sua economia si è accentuato drammaticamente dal 2008 con lo scoppio della crisi finanziaria internazionale, divenuta nei paesi europei una crisi di domanda aggregata. La dinamica negativa degli investimenti, della produttività, del progresso tecnologico alimenta la trappola della produttività, che né ulteriori riforme del mercato del lavoro né tagli del cuneo fiscale sul costo del lavoro possono interrompere. La via di uscita piuttosto potrà trovarsi solo nel ribaltamento dell’attuale modello di sviluppo, che riporti al centro del processo produttivo la conoscenza, gli investimenti e il lavoro, di qualità e duraturo. Ma ciò non può avvenire che nel coordinato consesso europeo di una rinnovata politica industriale.
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Qualità dell’occupazione e ruolo dell’istruzione nelle imprese: imprenditori e lavoratori a confronto
L’articolo analizza il ruolo giocato dall’istruzione di lavoratori e imprenditori nel condizionare (promuovere) diverse dimensioni della qualità del lavoro. Le analisi empiriche sono sviluppate sulla base dei dati della Rilevazione sulle imprese e sui lavoratori (Ril) condotta dall’Isfol per il 2010 e permettono di evidenziare i seguenti risultati. Primo, il livello di istruzione degli imprenditori è un fattore fondamentale per favorire gli investimenti in formazione professionale, l’adozione della contrattazione integrativa sui salari e l’occupazione con contratti a tempo indeterminato. Secondo, il livello di istruzione dei lavoratori è positivamente correlato alla propensione delle imprese a effettuare investimenti formativi, ma non costituisce un freno all’uso dei contratti a temine né agevola l’adozione della contrattazione integrativa sui salari. Tali risultati mettono in luce come il capitale umano dei datori di lavoro costituisca un elemento critico per aumentare la qualità del lavoro e, quindi, per la crescita economica e sociale del paese.
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I problemi di una nuova governance nei servizi di interesse generale
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Il «problema» dei ricchi in una prospettiva sociologica
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