• Il lavoro può essere ridotto al puro scambio tra prestazione e denaro? Se è vero che i lavoratori hanno questa idea, perché invece nelle indagini svolte tra i cittadini italiani ed europei questi indicano il lavoro come «fonte di espressione e di relazione sociale, cioè un luogo dove realizzare la propria personalità in mezzo a persone gradevoli»? Dalle indagini italiane esaminate emerge anche la presenza congiunta, nei posti di lavoro, di nuove e di vecchie forme di frustrazione e di disagio lavorativo (disagio basilare o fantasma, stress, burn-out, mobbing, e numerose altre sindromi), che appare in controtendenza con il moltiplicarsi delle dichiarazioni da parte di studiosi, responsabili aziendali e sindacalisti a favore di politiche di worker satisfaction, cioè di un diverso modo di lavorare, più attento al ruolo e al benessere complessivo dei lavoratori. Sarà possibile allora che il concetto di benessere organizzativo si affermi nelle aziende? E soprattutto si potrà agevolare questo processo e come?
  • A partire dagli anni settanta i paesi dell’Europa meridionale, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna cominciano a diventare paese di immigrazione pur continuando a essere paesi di emigrazione, sia pure con una significativa riduzione dei flussi e una sostanziale stabilizzazione delle comunità nazionali all’estero. La prima questione da affrontare è la seguente: come mai questi paesi cambiano ruolo sulla scena migratoria internazionale proprio negli stessi anni (gli anni settanta) e, quindi, quali sono gli elementi relativi al contesto generale – alla realtà economica e geopolitica –...
  • dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni delle periferie nel nostro paese fornisce l’opportunità di analizzare quello che è avvenuto e sta avvenendo nel territorio milanese. Milano ha di fronte a sé una grande sfida e una grande responsabilità: mettere in campo azioni, progettualità, politiche in grado di ridurre le disuguaglianze, creare opportunità e percorsi di inclusione per gli abitanti delle sue periferie. In questo quadro, dopo aver sinteticamente definito il contesto milanese da un punto di vista economico e sociale, obiettivo dell’articolo è, in primo luogo, descrivere i progetti e i percorsi messi in campo dagli attori istituzionali e sociali del territorio; in secondo luogo, mettere in evidenza i punti di forza e quelli di criticità di quello che può essere definito il «modello Milano». Infine, ultimo obiettivo è quello di proporre alcune azioni che possono rafforzarne gli aspetti positivi, contrastandone le debolezze.
  • L’articolo ripercorre alcune delle più importanti evoluzioni registrate nel modello sociale europeo, con particolare riguardo al Pilastro europeo dei diritti sociali. Quest’ultimo, riprendendo alcuni convincimenti originari del progetto europeo, è tornato a sottolineare la complementarità fra dimensione sociale e crescita nonché le ragioni intrinseche, in termini di giustizia, alla base delle politiche sociali. Il gap fra obiettivi fissati e risultati ottenuti rimane, tuttavia, elevato e nuove esigenze di intervento si profilano in presenza delle sfide poste dalla doppia transizione ecologica e tecnologica. Affrontare tale situazione richiede cambiamenti nella governance sociale dell’Unione europea nonché un’estensione delle politiche sociali sovra-nazionali europee.
  • Questo articolo focalizza l’attenzione sul modello sociale italiano alla luce del Piano nazionale di resilienza e ripresa. L’analisi proposta mira a esaminare se e quanto le innovazioni introdotte a livello europeo siano attrez-zate per rispondere alle nuove domande di protezione sociale sorte in seguito alla pandemia, riconsiderando le op-zioni percorribili per intervenire sui nodi critici del sistema di welfare italiano, sia quelli di lungo periodo (l’infrastrutturazione sociale e la carenza di servizi di welfare), sia quelli che si sono manifestati più di recente con l’ultima tornata di riforme che hanno riguardato in particolare le politiche di contrasto alla povertà e l’inserimento attivo nel mercato del lavoro.
  • Un'ampia rivisitazione in chiave storico-politica dell'ascesa e del declino del modello svedese della democrazia industriale.
  • Un'ampia rivisitazione in chiave storico-politica dell'ascesa e del declino del modello svedese della democrazia industriale.
  • L’articolo analizza un caso di innovazione organizzativa che ha suscitato ampie e accese discussioni: il modello WCM alla Fiat Auto. Nel saggio si sostiene che si tratta di una variante del modello produttivo giapponese, applicato in Fiat a partire dall’inizio degli anni Novanta con l’etichetta “fabbrica integrata”. Rispetto all’impostazione originaria il modello presenta però molteplici novità, che l’autore esamina in modo puntuale; con una particolare attenzione ai meccanismi sociali per il governo delle relazioni di lavoro.
  • L’articolo riflette sulle trasformazioni dei rapporti di lavoro che il nuovo ordine postindustriale esige. In particolare mette a fuoco il lavoro autonomo professionale di nuova generazione, partendo dalla duplice considerazione che è l’unica categoria occupazionale in crescita e che sta smascherando i limiti della regolazione del lavoro affermatasi fino ad oggi in Europa. Attraverso i risultati di una ricerca comparativa europea, si indaga sulle condizioni di lavoro e di reddito dei professionisti indipendenti, sull’accesso alle tutele sociali e sulla rappresentanza collettiva. Ne emerge un quadro composito dove, accanto all’affermazione di valori soggettivi intrinseci al lavoro autonomo come mezzo di autorealizzazione, si affiancano chiari elementi di precarietà economica, svalutazione delle competenze e vulnerabilità sociali. Redditi da lavoro mediamente bassi o molto bassi, frammentazione e accumulo delle prestazioni professionali, uniti all’individualizzazione dei rapporti di lavoro e all’isolamento dei prestatori d’opera, sono caratteri tipici dell’economia dei servizi. L’articolo fa luce anche sulle disuguaglianze di status tra lavoro autonomo e lavoro dipendente negli ordinamenti europei ed esplora l’esistenza di nuove forme associative neo-mutualistiche da parte di attori non tradizionali che aspirano a ridurle.
  • A partire dal quadro analitico proposto da Tiziano Distefano e dai successivi saggi di Sandra Burchi e di Caterina Satta che mettono a fuoco il tema del lavoro di ‘badante’, il testo propone una riflessione su questa particolare attività dei nostri tempi. Non solo numeri e flussi migratori, ma anche storie di donne che si intrecciano con lo sguardo dei loro datori di lavoro e della rete di solidarietà che esiste nella città di Livorno e che, sostituendo il ruolo dello Stato, cerca di fare incontrare la domanda con l’offerta. Questo volume è il primo passo verso un’analisi più approfondita di questa tematica, realizzato mediante il contributo dello SPI CGIL livornese e grazie all’attenzione e alla cura degli autori. Saggi di Sandra Burchi, Tiziano Distefano, Caterina Satta Sandra Burchi lavora come ricercatrice e docente a contratto nel Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Ha sviluppato ricerche sul lavoro flessibile e precario e sulle strategie di work-life balance delle nuove professioniste. Tiziano Distefano è un ricercatore post-doc nel Dipartimento di Economia e Ma nagement dell’Università di Pisa. Attualmente sta lavorando a un progetto relativo allo sviluppo di un modello macro-economico che includa temi ambientali, sociali e politici. Caterina Satta, PhD in «Sociologia: processi comunicativi e interculturali», svolge attività di ricerca e formazione nell’ambito della so ciologia dell’infanzia, della famiglia e della vita quotidiana nel Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna.