• In tempi di crisi globale la Responsabilità sociale d’impresa, con cui molte aziende si sono confrontate negli anni passati, spesso mosse da un reale convincimento del ruolo che l’impresa può giocare nella società moderna, è ancora una tematica all’ordine del giorno, o finirà per essere derubricata a sofisticato strumento di marketing? Questo libro si propone di richiamare l’attenzione del lavoro organizzato, e in particolare dei rappresentanti dei quadri e dei lavoratori ad alta professionalità che operano quotidianamente in impresa – sia essa pubblica che privata – sull’importanza di stimolare le direzioni aziendali ad attuare comportamenti etici. La Rsi, come mostrano i casi analizzati nel libro, è spesso entrata negli accordi stipulati tra azienda e sindacati, migliorando la vita dei lavoratori e il benessere del territorio, e aumentando la competitività dell’azienda. Non vi è motivo per cui questo trend debba essere interrotto: per uscire dalla crisi bisogna attivare comportamenti nuovi, e i lavoratori devono spingere le imprese a prendere in considerazione, tra le varie opzioni manageriali, quelle socialmente responsabili.
  • La tutela della salute, come questione politica, è da tempo relegata ai margini del dibattito pubblico o emerge saltuariamente in occasione di qualche episodio di malasanità o di malaffare. Ma i quarant’anni del Servizio sanitario nazionale sono un’occasione importante per riflettere su una delle opere pubbliche più significative realizzate in Italia a partire dalla fine degli anni settanta e per motivare nuovamente cittadini e operatori rispetto al valore e all’attualità di quella scelta. C’è davvero bisogno di mobilitare una nuova alleanza culturale e politica per superare l’indifferenza e il disimpegno che rischiano di compromettere il futuro del diritto alla salute nel nostro paese. La sfiducia maturata in questi anni a causa delle disuguaglianze e delle carenze in molti aspetti del sistema va affrontata e superata con impegno. Un impegno che è anche una sfida a recuperare, senza timidezze, lo spirito e le finalità della legge 833.
  • Ora il racconto giusto c’è. Quello che manca è un paese capace di leggerlo, una politica in grado di tradurlo in soluzioni concrete, raccogliere la sfida di questi operai senza più classe e senza partito brutalizzati da un capitalismo selvaggio. Nicola, Michele, Giovanni, Nicolangelo, Antonio e Carlo. Sono gli operai dell’Isochimica di Avellino a cui Anselmo Botte dà voce in questo libro. Con loro ripercorriamo la storia dell’azienda di Elio Graziano che negli anni ottanta, in una terra da poco terremotata e con molti disoccupati, l’Irpinia, scoibentò circa tremila carrozze per conto delle Ferrovie dello Stato e realizzò la più grande bonifica da amianto in Europa. Come? Con una «stecca» per grattare e dell’acido per rimuovere il catrame, niente di più. Nessuna protezione, nessuna tutela. L’azienda colpevole, lo Stato silente. Oggi, a trent’anni di distanza, dopo aver lavorato soltanto con un fazzoletto sul naso «come i banditi del farwest», gli operai dell’Isochimica raccontano il proprio dramma. «Elio Graziano, condannato per l’affaire delle “lenzuola d’oro”, era solito dire agli operai che faceva male più la coca cola che l’amianto. L’imprenditore trattava direttamente con le maestranze, senza il sindacato, per imporre di più e meglio le sue regole, per aumentare i profitti senza preoccuparsi delle vite umane. Gli operai l’amianto lo toccavano e lo inalavano, finiva nei panini che mangiavano, tornava nelle loro case nelle polveri finite nelle tute, segnando per sempre il loro destino. Per quell’incuria, la colpevole e criminale negligenza, alcuni di loro sono già morti, altri si sono ammalati, altri ancora stanno incubando quella terribile malattia che si chiama mesotelioma, vivono quotidianamente nel terrore, insieme alla rabbia di essere stati ingannati allora e di non riuscire a trovare giustizia oggi» (dalla prefazione di Angelo Ferracuti) «Ti dico che quella polvere prendeva il volo. Hai presente la lanugine primaverile dei pioppi? Ecco, era così, poteva fare chilometri. Noi lo chiamavamo amianto blu. Ma l’abbiamo scoperto molto dopo. Quando è iniziata la bonifica, le carrozze erano alla stazione di Avellino, su due binari morti e venivano demolite a cielo aperto - in mezzo al popoloso Rione Ferrovia - con la fiamma ossidrica, tagliate a pezzi, e i pezzi erano pieni di amianto». (Antonio)
  • L’analisi di Travaglini si concentra sui fattori che assicurano nel tempo una buona occupazione congiuntamente a una alta produttività.
  • Il libro tende a strutturare una Guida alla consapevolezza dei doveri e diritti delle parti nel rapporto di lavoro. Mario Meucci - già docente di Diritto del lavoro e di Relazioni industriali, e con personali esperienze direttive aziendali - ha scelto quale tecnica di trattazione delle più ricorrenti questioni controverse quella di offrire al lettore, non già un tradizionale manuale di diritto del lavoro e sindacale di stampo accademico-istituzionale, bensì aggiornatissimi ed agili saggi sui principali istituti giuridici, che hanno spesso preso spunto dalla loro soluzione giurisprudenziale. Ne è sortito un manuale di diritto del lavoro e sindacale di fatto, diverso solo formalmente da quelli utilizzati nelle aule universitarie ma di pari livello qualitativo dal lato scientifico, con il vantaggio di essere agile e di uso concreto, idoneo alla prospettazione degli aspetti più salienti del rapporto di lavoro nell’impresa e all’auto-soluzione degli interrogativi che esso induce. I cinquanta capitoli dibattono, esemplificativamente, il tema delle corrette modalità di collaborazione in azienda, della libertà di opinione e di critica individuale e sindacale, delle mansioni (equivalenza statica e dinamica), del cd. «assorbimento dei superminimi», degli usi aziendali e dei cd. «diritti quesiti», della successione tra contratti anche in peius, delle ferie, del controllo di malattia, della sorveglianza sull’attività lavorativa, del divieto di indagini sulle opinioni, della prescrizione dei crediti, delle rinunzie e transazioni, della esternalizzazione di rami d’azienda, della violenza e delle molestie sul lavoro, della risoluzione del rapporto del dirigente, dei licenziamenti collettivi e altro ancora.
  • Gli studi sulla relazione tra padri e figli dopo la separazione suggeriscono che le caratteristiche delle madri, in particolare l’istruzione, siano fattori chiave. Infatti, l’istruzione è un indicatore sia di valori e credenze «moderne» sia di maggiore autonomia economica femminile che tendono a ridurre le tensioni e il maternal gatekeeping dopo la separazione. Utilizzando i dati dell’indagine Famiglia e soggetti sociali condotta dall’Istat nel 2009, viene esplorato quanto frequentemente i padri separati vedano i loro figli minori e quale sia il ruolo del livello di istruzione della madre. L’Italia è un contesto interessante poiché, rispetto ad altri paesi europei, mostra ancora come sia il titolo di studio a guidare comportamenti e atteggiamenti «innovativi» e, inoltre, la legge sulla custodia condivisa è stata introdotta solo nel 2006. I risultati indicano che, controllando per status occupazionale, percezione delle proprie condizioni economiche, età dei figli, presenza di un nuovo partner e vicinanza con ex partner e con i nonni materni, il titolo di studio della madre ha un impatto significativo. Tuttavia, contrariamente alle aspettative, le donne con un livello di istruzione terziaria e secondaria mostrano lo stesso tasso di visite padre-figlio, mentre sono quelle con solo la licenza media ad avere figli con scarsi contati coi padri dopo la separazione.
  • Con il II Rapporto, l’Ires conferma l’impegno di procedere al costante monitoraggio sugli scenari e le dinamiche del lavoro e dell’impresa nel Mezzogiorno. Quest’area, pur sperimentando nel corso della seconda metà degli anni novanta una spinta propulsiva in grado di innescare una favorevole dinamica del Pil, non è riuscita a eliminare i fattori di debolezza strutturale che la caratterizzano (gravi carenze infrastrutturali, un insufficiente assetto produttivo, un minor grado di apertura al commercio internazionale e interno, una significativa presenza della criminalità organizzata e così via). La ripresa risulta oggi frenata sia da una congiuntura economica sfavorevole, sia dall’incapacità da parte dell’attuale governo di attuare una strategia in grado di produrre una svolta di qualità nel governo dell’economia. Nel realizzare il presente Rapporto l’autore si è posto due differenti obiettivi: da un lato, fornire un quadro sintetico delle principali tendenze economiche che hanno interessato il Mezzogiorno nel corso degli ultimi anni; dall’altro, fotografare - con l’ausilio dei principali dati statistici disponibili - l’assetto economico-produttivo attraverso il quale il Sud si dispone ad affrontare la sfida dell’ampliamento dell’Unione europea.
  • Con la pandemia abbiamo tutti rivalutato l’importanza dei servizi pubblici e ci siamo resi conto degli altissimi costi, in termini economici, sociali e di vite umane, generati dallo smantellamento del welfare territoriale. Abbiamo anche realizzato quanto sia alto il numero di lavoratori privi di qualsiasi forma di tutela e di ammortizzatori sociali. Eppure, a meno di due anni dal primo lockdown, tutti questi apprendimenti sembrano già quasi dimenticati. Per questo, oggi più che mai, è necessario mantenere vivo e acceso il dibattito su questi temi. Nell’ambito di questo dibattito arrivano spunti importanti, sia in termini di analisi che di possibili proposte di politiche, dal Rapporto annuale dell’ASviS. Alcune di queste proposte sono presentate nella sezione 2 di questo articolo. La sezione 3 sottolinea che, affinché tali proposte diventino praticabili, è necessario un ribaltamento di prospettiva e di approccio della politica su tali tematiche; vengono quindi evidenziati alcuni ambiti, dall’istruzione, al welfare al contrasto alla povertà, in cui serve un cambiamento culturale nel modo in cui pensiamo alle politiche.
  • Fin dall’inizio dei processi migratori il rapporto sindacati e immigrati si è mostrato solido. I sindacati attraverso la loro attività di rappresentanza hanno svolto una funzione di difesa dei diritti degli immigrati e ne hanno rivendicato l’estensione. Allo stesso tempo, attraverso l’erogazione di servizi specifici, i sindacati hanno facilitato i percorsi di integrazione di milioni di immigrati. In altri termini i sindacati hanno immediatamente riconosciuto gli immigrati come una risorsa di potere e hanno investito strategicamente su di loro e non è un caso che il tasso di sindacalizzazione degli immigrati in Italia abbia sempre registrato livelli elevati. L’esperienza italiana in questo senso rappresenta un caso eccezionale nel panorama europeo. Negli ultimi anni, tuttavia, il rapporto tra sindacati e immigrati sembra essere soggetto a crescenti criticità. Il presente articolo ricostruisce l’evoluzione del rapporto che i sindacati e gli immigrati hanno instaurato negli ultimi trentacinque anni. L’obiettivo è cogliere e riflettere sulle linee di continuità/discontinuità del rapporto tra sindacati e immigrati e comprendere se e come è cambiato l’investimento strategico delle organizzazioni sindacali sulla questione immigrazione.
  • Quattro crisi che si intrecciano e si rafforzano l’un l’altra, in un vortice che rischia di spazzare via il modello europeo di welfare state e di tutela dei diritti dei lavoratori, punto di arrivo di un percorso avviato dai movimenti politici e sindacali di sinistra nell’Ottocento. Un modello che la sinistra europea non riesce più a difendere. Un modello che l’Europa, costruita finora su un progetto economico più che politico, guarda con crescente insofferenza, come fosse un peso nella sfrenata competizione globale. Il dumping sociale sta deindustrializzando l’Occidente, privandolo di milioni di posti di lavoro ed erodendo le conquiste sociali di due secoli di lotte. Allo stesso tempo, impedisce che le nuove economie «emergano» anche dal punto di vista di uno sviluppo sociale sostenibile, a causa di quella che è stata definita la «corsa al ribasso». I cittadini europei, impauriti e in cerca di un’effettiva rappresentanza, cedono sempre più alle sirene dei populismi, della xenofobia e delle demagogie anti-europeiste, contestando la stessa idea di un’Europa unita sotto l’insegna dell’integrazione. Eppure una risposta alternativa ci sarebbe. La promozione di una clausola sociale nell’ordinamento del commercio internazionale potrebbe rappresentare la prima battaglia veramente politica dell’Europa Unita. Sarebbe una bandiera della sinistra europea del III millennio. Sarebbe una risposta all’altezza delle quattro crisi che stiamo vivendo.
  • Il razzismo

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    È impensabile fare la storia del razzismo senza elaborare un modello teorico che ne delinei concetti e nozioni adeguate, ma ogni modello deve sapersi misurare ed arricchire nel confronto serrato con l’analisi storica. A partire da questa duplice esigenza, il volume ripercorre a maglie larghe le vicende storiche dei due grandi filoni del razzismo moderno, quello antisemita e quello coloniale, culminate ad Auschwitz e nelle società segregate degli Stati Uniti e del Sudafrica, provando quindi a formulare un’ipotesi teorica in grado di descrivere il dispositivo logico sotteso alle ideologie razziste operanti negli eventi narrati. Pur nella diversità dei contesti storici, infatti, risulta possibile riconoscere una configurazione unitaria del discorso razzista: una logica comune alla base dell’invenzione delle «razze umane», individuando la quale la critica teorica e pratica del razzismo (e la sua stessa storia) appaiono sotto una luce diversa. Sulla scorta di questa ipotesi, viene così ripreso il filo della narrazione storica del XIX e del XX secolo, mettendo il dispositivo logico individuato alla prova dei più recenti processi di esclusione: la «razzizzazione» dei cosiddetti «marginali» («zingari» e «devianti», delinquenti e proletari), il razzismo sessista, il controverso tema del razzismo italiano. Infine, lo sguardo si spinge sull’ultimo trentennio, un’epoca in cui il razzismo sembra riemergere con virulenza immutata, ma con caratteristiche in parte inedite.
  • È impensabile fare la storia del razzismo senza elaborare un modello teorico che ne delinei concetti e nozioni adeguate, ma ogni modello deve sapersi misurare ed arricchire nel confronto serrato con l’analisi storica. A partire da questa duplice esigenza, il volume ripercorre a maglie larghe le vicende storiche dei due grandi filoni del razzismo moderno, quello antisemita e quello coloniale, culminate ad Auschwitz e nelle società segregate degli Stati Uniti e del Sudafrica, provando quindi a formulare un’ipotesi teorica in grado di descrivere il dispositivo logico sotteso alle ideologie razziste operanti negli eventi narrati. Pur nella diversità dei contesti storici, infatti, risulta possibile riconoscere una configurazione unitaria del discorso razzista: una logica comune alla base dell’invenzione delle «razze umane», individuando la quale la critica teorica e pratica del razzismo (e la sua stessa storia) appaiono sotto una luce diversa. Sulla scorta di questa ipotesi, viene così ripreso il filo della narrazione storica del XIX e del XX secolo, mettendo il dispositivo logico individuato alla prova dei più recenti processi di esclusione: la «razzizzazione» dei cosiddetti «marginali» («zingari» e «devianti», delinquenti e proletari), il razzismo sessista, il controverso tema del razzismo italiano. Infine, lo sguardo si spinge sull’ultimo trentennio, un’epoca in cui il razzismo sembra riemergere con virulenza immutata, ma con caratteristiche in parte inedite.