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Italia. Partecipazione femminile al lavoro: vincoli e strategie
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Italia. Progressi e ritardi verso gli obiettivi di Lisbona
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Italia. Ssn e servizi sanitari regionali: disavanzi ed equità
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Italia. Strategia di Lisbona e politiche di genere: sei casi regionali
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Italiani e popolazioni con background migratorio: caratteristiche demografiche e differenze nei livelli di istruzione
L’immigrazione straniera in Italia, iniziata almeno cinquant’anni fa, ha dato origine a una sedimentazione delle presenze che ha reso la popolazione di origine straniera sempre più complessa, composta da una pluralità di profili demografici e sociali la cui individua-zione necessita di criteri e strumenti informativi mirati. Con i dati del Censimento perma-nente del 2020 sono state analizzate le caratteristiche demografiche e le differenze in ter-mini di istruzione di sei specifici gruppi di popolazione, con o senza background migrato-rio. Si è cercato di comprendere in che misura essere stranieri, nuovi italiani o italiani da sempre, nati in Italia o all’estero, comporta delle differenze nei livelli di istruzione degli adulti e nei percorsi formativi dei giovani. Il divario con gli autoctoni si presenta molto ampio per gli stranieri immigrati ma anche per le seconde generazioni e abbastanza rile-vante pure per i nuovi italiani, a conferma che l’origine straniera influisce sulla buona riuscita del percorso formativo. Situazione che pone la necessità di superare nella raccolta dei dati, nell’analisi delle informazioni statistiche e nelle conseguenti scelte politiche ap-procci e letture inadeguati a descrivere e affrontare la complessità della realtà attuale.
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Italiano per stranieri immigrati
10.00
€
Per i migranti stranieri imparare l’italiano dovrebbe essere un diritto. La decisione del governo di fare della conoscenza certificata di un certo livello di apprendimento della lingua la condizione per ottenere il permesso di lunga durata o, per i nuovi ingressi, di avere la conferma del primo permesso di soggiorno, l’ha trasformato in un obbligo. Nel «permesso a punti» sono evidenti i segni di politiche securitarie ispirate più a ostacolare la regolarizzazione che a favorire l’integrazione. Lo Stato assicura i test, non lo sviluppo di un’offerta ampia, accessibile a tutti, gratuita e qualificata di corsi di formazione linguistica. Ma padroneggiare la lingua è importante, per i migranti e per la società che li accoglie. Lo sanno la scuola pubblica, le associazioni di volontariato, molte istituzioni locali, molte realtà sindacali. Una sfida essenziale per il futuro del paese, anche se complicata. In questo volume, quello che bisogna sapere per giocarla al meglio.
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Jeans da morire
13.00
€
Per chi li indossa sono segno di giovinezza. Se sono scoloriti e dall’aspetto consunto hanno un fascino in più. Per chi li produce sono diventati causa di malattia e di morte. Dal 2005 quarantasei operai turchi che lavoravano nelle fabbriche di jeans hanno perso la vita uccisi dalla silicosi. L’ennesima strage del lavoro ignorata dai media.
Jeans da morire
la racconta con una appassionante ma rigorosa ricostruzione di dati, fatti e responsabilità, rompendo il silenzio che avvolge questa vicenda. Il volume propone anche la traduzione in lingua inglese dell’intero testo.
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Job security, flexicurity o insecurity? Il mercato del lavoro in Italia fra dualismo e riforme
L’articolo presenta una panoramica delle riforme del mercato del lavoro che si sono susseguite in Italia a partire dalla fine degli anni Novanta, evidenziando una sostanziale linea di continuità, costituita dall’ampliamento del ricorso a tipologie contrattuali atipiche nei rapporti di lavoro. Se l’introduzione del Jobs Act lasciava presagire il passaggio a una tipologia contrattuale unica, il contratto a tutele crescenti, l’ampliamento della deregolamentazione dei contratti a termine ha disatteso questa aspettativa. Mentre nel 2015 lo sgravio contributivo concesso alle imprese sulle nuove assunzioni con il contratto a tutele crescenti sembra aver prodotto un effetto importante, già nei primi otto mesi del 2016, quando lo sgravio è stato ridotto al 40%, l’andamento dei flussi sembra tornato in linea con il trend degli anni precedenti. Inoltre, l’aumento del ricorso a forme contrattuali atipiche si è registrato in maniera più forte nei settori produttivi dove il livello di flessibilità era già alto. Se si guarda anche alla distribuzione territoriale, emerge che le regioni che presentano situazioni più critiche in termini di occupazione sono quelle che sperimentano una diminuzione più consistente nel ricorso a contratti a tempo indeterminato.
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Jobs act e nuovo diritto del lavoro: regressività dei diritti e qualità dei rapporti di lavoro
Serve il Jobs act? A due anni dalla riforma Fornero si interviene ancora una volta sulla flessibilità in uscita e non si affrontano i nodi veri che determinano dualismi e discriminazioni nel mercato del lavoro, slegandolo da una politica di sostegno all’occupazione strutturale. L’obiettivo del contributo è mettere in luce alcuni caratteri del mercato del lavoro italiano e la necessità di ricollegare le politiche di regolamentazione a un quadro che abbia a riferimento l’esigenza di rilanciare una politica per l’occupazione, una politica economica espansiva caratterizzata da investimenti nell’innovazione e nelle competenze dei lavoratori, una regolazione a supporto di nuove relazioni industriali e assetti contrattuali che vedano nella legislazione uno strumento di universalizzazione di tutele e di limitazione delle discriminazioni. In questi anni la crescita delle disuguaglianze sociali, la crisi dei settori produttivi e la crescita del lavoro debole contrattualmente e povero salarialmente hanno cambiato la funzione della legislazione del lavoro con una sempre maggiore invasività sull’autonomia collettiva, che con il Jobs act ribalta totalmente il paradigma: la legislazione non sostiene più il soggetto cedevole, cioè il lavoratore, bensì l’impresa; e la funzione della contrattazione e quella della rappresentanza sono direttamente condizionate da questo cambio di prospettiva. In questo scenario, contenzioso giudiziario, consolidamento del T.u. sulla Democrazia e rappresentanza e sua estensione a tutti i settori, Piano del lavoro sono le risposte utili a contrastare il declino, l’ulteriore svalutazione del lavoro e svalorizzazione della funzione della contrattazione collettiva.
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Karl Marx (in pillole)
10.00
€
Si avverte a sinistra un bisogno di ricostruzione. Per questo occorre innanzitutto riavvicinarsi a Marx e cogliere il contributo del suo pensiero ai movimenti di trasformazione sociale. Nella prima parte del volume, di carattere propriamente divulgativo, Mario Boyer espone i principi fondamentali del pensiero marxiano ed evidenzia le radicali differenze tra questo e le tesi dei neoclassici, che costituiscono ancora oggi il quadro concettuale di riferimento del pensiero economico dominante. Gianni Di Cesare approfondisce il concetto di «accumulazione primitiva», mediante il quale il pensatore tedesco decostruiva i miti fondativi della classe borghese capitalista e la sua immagine progressista. Nella seconda parte il saggio di Michele Citoni e Catia Papa offre uno spunto di carattere storiografico per valutare la fecondità della tradizione politica marxista italiana: il tema del rapporto tra marxismo ed ecologia è affrontato attraverso la ricostruzione delle relazioni, conflittuali ma ricche, tra la crescente sensibilità ambientale e i diversi soggetti della sinistra marxista nell’Italia degli anni Sessanta-Settanta. Se pure in Italia il pensiero marxiano è stato accantonato frettolosamente in favore dell’ideologia mercatista, le sfide innescate dalle crisi contemporanee, evocate nell’Appendice, mostrano la necessità di sperimentare nuove strade senza smarrire le fonti.
Con un saggio di Michele Citoni e Catia Papa.
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Karl Marx e il processo produttivo oggi
12.00
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I mutamenti in atto nei processi produttivi sono osservati da alcune categorie interpretative introdotte da Karl Marx sul macchinismo industriale. Tale metodologia mostra una differenza significativa tra il modo di produzione specificatamente capitalistico esaminato da Marx e le attuali particolarità del processo lavorativo. Dal «consumo della forza-lavoro acquistata» si passa al lavoratore come sostanza valorificante della produzione. Con l’esperienza e la conoscenza della persona/lavoratore s’inverte significativamente la relazione tra forza-lavoro e macchine, tra lavoro astratto e lavoro concreto, e il lavoro si rivela sempre di più come opera e azione. L’esame della personalizzazione si avvale prevalentemente del gioco elaborativo tra K. Marx, H. Arendt e M. Heidegger per giungere alla definizione di libertà nel lavoro come prima condizione rivendicativa del cambiamento. La persona nel lavoro è il paradigma da cui procedere per rappresentare il lavoratore di fronte ai mutamenti organizzativi e tecnologici, ed è esaminata in alcuni suoi aspetti sociologici e storici, tramite temi sindacali quali il salario professionale, gli orari, la formazione, la struttura contrattuale e gli investimenti aziendali sulle conoscenze.
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Keynes e la cultura economica della CGIL
8.00
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Il Piano del lavoro fu la risposta della CGIL all’isolamento imposto alla maggiore organizzazione dei lavoratori dal contesto politico italiano e internazionale nei primi durissimi anni della guerra fredda. Con questa proposta il sindacato seppe coniugare l’aspirazione al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di disoccupati con una visione innovativa dell’economia grazie alla collaborazione tra i suoi dirigenti, primi fra tutti Giuseppe Di Vittorio e Vittorio Foa, e alcuni tra i più brillanti economisti eterodossi che nei dieci anni successivi alla Liberazione rinnovarono profondamente il profilo degli studi italiani, soprattutto alla luce delle nuove teorie keynesiane. Il Piano fu accolto con ostilità sia dall’ambiente accademico, fortemente ancorato all’insegnamento liberista marginalista di Pareto, sia dalla maggioranza degasperiana, che nell’espansione del settore pubblico vedeva una minaccia alla stabilizzazione economica messa in atto negli anni precedenti con misure draconiane. Rigettato come impossibile da realizzare, il Piano ebbe comunque il merito di imporre nel dibattito pubblico nuovi temi di politica economica, sostenendo la necessità di un intervento dello Stato attraverso la creazione delle infrastrutture, sociali e materiali, indispensabili per sviluppare un’economia moderna e per superare i terribili squilibri che laceravano la giovane Repubblica italiana.
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