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Il titolo si riferisce a un dato: se le dita delle bambine dei Dugum Dani della Nuova Guinea si possono tagliare come donazione nelle cerimonie funebri – tranne il pollice e uno o due dita che basteranno loro per svolgere i lavori destinati alle donne – possiamo metaforicamente dire che tutte le donne hanno le dita tagliate? Sì, perché esiste ancora e largamente un gap tecnologico tra uomini e donne, un gap che appare chiaramente fin dalle società di caccia e raccolta, e che con l’evoluzione tecnica si è allargato a forbice e continua in varie forme nelle società industrializzate. Bisogna allora ricercare i fattori oggettivi, le costanti della divisione sessuale del lavoro e del rapporto di classe tra donne e uomini. Un rapporto di classe costitutivo nel cui ambito si pone lo scambio sessuo-economico che caratterizza l’insieme delle relazio ni sessuali tra uomini e donne. La transazione economica infatti non riguarda la sola prostituzione: la prostituzione non è un fenomeno separato, ma vi è un continuum di scambio sessuo-economico che va dai rapporti matrimoniali fino alle forme più comuni di prostituzione. E questo non solo nelle società africane o extraeuropee, ma anche in Europa e Nord America. Le attuali trasformazioni sociali nel rapporto tra i sessi rimettono in causa la dominazione maschile o piuttosto si tratta di una nuova configurazione di questa dominazione? Chi porta il peso di questa trasformazione e chi ne trae profitto? Paola Tabet ne discute nell’intervista (fattale da Mathieu Trachman) che conclude il libro: quale sarà la possibilità di una sessualità egualitaria, fuori cioè da ogni condizione di oppressione, senza costrizioni, una sessualità libera di esprimersi, di sperimentare, non legata alla divisione tra i sessi e alle relazioni di potere? Una possibilità difficile e complessa finché permane in qualche modo un dominio maschile.
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Le condizioni di vita della popolazione, sin dai primi anni della storia unitaria, sono state oggetto di indagini da parte dei governi. Inizialmente l’interesse era rivolto a mantenere l’ordine stabilito poiché indigenza e miseria erano considerate pericolosi focolai di instabilità politica; successivamente la povertà è stata riconosciuta come un’ingiustizia sociale da combattere. Il mutato interesse nei confronti della povertà è stato accompagnato dalla necessità di dotarsi di misure quantitative adeguate. Anche se nella letteratura di riferimento sembra affermarsi l’idea di seguire un approccio multidimensionale, la povertà è ancora rilevata prevalentemente seguendo un approccio unidimensionale basato su criteri economici. Tuttavia anche l’approccio unidimensionale presenta numerosi punti di criticità che rendono le stime poco robuste e non univoche. La povertà è un fenomeno multidimensionale e come tale deve essere rilevato.
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Le Relazioni del governo al Parlamento sulle droghe non hanno mai corrisposto al compito istituzionale di fornire un reale strumento di valutazione della politica sulla droga, a iniziare dalla legge antidroga. La Relazione 2018 testimonia inoltre il progressivo ritiro della politica da un tema «scomodo» come quello delle droghe. Ne derivano ritardi a valutare l’impatto penale e carcerario dell’applicazione della legge e a prendere atto di fenomeni attuali, quali la crescita di nuove sostanze psicoattive e l’emergere di nuovi modelli di consumo che si dispiegano lungo un continuum di differenti livelli di rischio e di danno (oltre la vecchia dicotomia uso ricreazionale/ dipendenza). La riduzione del danno, la strategia più in grado di rispondere alle odierne tendenze, è sottovalutata, con conseguente difficoltà ad adeguare la rete dei servizi. Alle carenze delle Relazioni ufficiali, supplisce la società civile: da oltre dieci anni, i Libri bianchi sulle droghe costituiscono Rapporti ombra, con una valutazione puntuale delle politiche penali, degli orientamenti nella ricerca, dei modelli operativi dei servizi, offrendo linee per l’innovazione. Il tema della valutazione delle politiche antidroga è centrale anche a livello internazionale
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Vincitore del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2014 La repressione dell’alterità religiosa ha accompagnato molta parte della nostra storia. L’avversione verso quanti hanno imboccato itinerari di fede diversi da quelli del gruppo maggioritario ha generato operazioni di censura, violente persecuzioni, guer re sanguinose. Questo libro offre uno sguardo d’insieme sulla storia delle eresie nell’Occidente medievale, lungo l’arco dei cinque secoli che seguirono l’anno 1000. Gli itinerari religiosi dei cosiddetti eretici e dei maggiori gruppi considerati ereticali vengono posti in relazione con lo sviluppo delle istituzioni preposte alla loro repressione, nel periodo compreso tra la riforma gregoriana e i primi processi per stregoneria nell’età moderna. «Eresie» ed «eretici» si profilano come categorie dai numerosi significati, entro le quali le autorità ecclesiastiche facevano confluire spinte ascetiche e rigoriste, proposte di radicalismo evangelico, espressioni di religiosità popolare non conforme o dissidente, ma soprattutto percorsi critici e manifestazioni di disobbedienza al papa e alla Chiesa di Roma.
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L’articolo esamina come sono cambiate le risorse di potere, i compiti e le politiche delle Federazioni sindacali europee (Etuf) nel corso della crisi finanziaria iniziata nel 2007/2008. L’analisi dimostra che nessuno dei due scenari estremi ipotizzabili si è concretizzato: le tendenze alla ri-nazionalizzazione non hanno bloccato la cooperazione sindacale transnazionale o eroso la capacità d’azione degli Etuf; né le maggiori esigenze di solidarietà transnazionale hanno portato a un’intensificazione della cooperazione transnazionale sotto l’ombrello degli Etuf. Ciò che possiamo osservare, invece, sono solo cambiamenti graduali che si verificano nel tempo e che variano a seconda dei settori politici; di conseguenza, rispetto al periodo precedente la crisi, lo stato attuale dell’Etuf può essere definito complessivamente come statu quo ante. L’articolo, tuttavia, mostra anche che l’indebolimento parziale delle risorse di potere nazionale e la tendenza ad una maggiore eterogeneità degli interessi sindacali nazionali hanno oggi reso la formulazione di strategie europee comuni ancora più difficile che in passato.
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La complessità che emerge nell’esplorazione delle figure professionali e delle situazioni di precariato che connotano il settore artistico e dello spettacolo musicale è la chiave di lettura per comprendere gli ambiti entro cui si muovono i musicisti, fluttuanti tra la libertà creativa – condizione essenziale per l’artista – e la difficoltà lavorativa che spesso la limita. L’instabilità occupazionale, conseguenza di politiche culturali non sintonizzate e dell’assenza di percorsi di formazione specifica, viene sentita dagli artisti intervistati in modi diversi, al confine tra opportunità e limite.
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Da oltre trent’anni la criminalità organizzata rappresenta in Italia un argomento molto discusso e approfondito, sia dai policy makers che dagli studiosi. Si è sviluppata anche una produzione mediatica, che spazia dalla letteratura popolare alla realizzazione di specifici format televisivi. Infine, nella società civile, si sono sviluppate vere e proprie forme di professionalità legate al contrasto delle organizzazioni criminali. La mafia e l’antimafia sono così diventate due campi attraversati da conflitti politici e culturali, all’in-terno dei quali il contrasto del fenomeno si sovrappone alla costruzione e alla riproduzione di rendite di posizione, che chiamano in causa il sistema politico, i rapporti di produzione, il sistema giudiziario e le garanzie del sistema penale. Vincenzo Scalia, da anni attivo nello studio dei fenomeni mafiosi, ci propone una lettura delle mafie e delle antimafie basata su due cardini: il primo riguarda la trama costitutiva delle organizzazioni mafiose, che l’au-tore vede speculare alle trasformazioni produttive; il secondo riguarda la necessità di osservare i fenomeni mafiosi senza tralasciare l’aspetto della tutela dei diritti individuali e collettivi. Se si vuole contrastare le mafie, suggerisce l’autore, si tratta piuttosto di ripartire proprio da una società attenta alle garanzie individuali e al-l’emancipazione sociale.
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A distanza di vent’anni dall’istituzione della cittadinanza europea (Maastricht, 1992), questo volume si propone di riflettere sulla natura e sul contenuto di tale istituto che, come affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, è destinato ad essere lo «status fondamentale dei cittadini degli Stati membri». L’indagine sul tema presenta evidenti elementi di peculiarità, considerato che l’idea di cittadinanza è tradizionalmente connessa all’appartenenza allo Stato/comunità politica nazionale. La cittadinanza europea, al contrario, rende necessario immaginare una diversa forma di appartenenza propria dello spazio politico europeo, non più esclusivamente dipendente dalla cittadinanza nazionale ma legata all’effettiva residenza nel territorio dell’Unione. La dimensione di appartenenza così definita non può non riguardare anche i cittadini di paesi terzi che vivono stabilmente nel territorio dell’Unione. La costruzione dello «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» costituisce il contesto nel quale è possibile declinare questo nuovo modello di appartenenza. Tuttavia, alla luce delle conseguenze prodotte dalla crisi economica e dalle esigenze di rafforzamento della sicurezza, le aperture che si erano manifestate agli inizi del nuovo secolo sembrano oggi ridimensionate. Con la collaborazione di Laura Montanari
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Questo libro di storia scritto da un sociologo combina, inevitabilmente, una visione retrospettiva con un’analisi più dettagliata dell’epoca recente e qualche sguardo arditamente rivolto al futuro. Ma non pretendo che questo racconto serva a individuare le tendenze che consentano di prevedere il futuro. Tendenze di questo tipo non esistono: esse sembrano esistere solo dopo essersi verificate, ma tutto avrebbe potuto succedere in un altro modo. Questo è particolarmente vero per l’Argentina, che diverse volte nella sua storia ha avuto bruschi cambi di direzione, non sempre felici e senza che necessariamente qualcuno se lo fosse proposto. Ma allora, perché studiare il nostro passato, a parte il fatto che per qualcuno ciò possa essere piacevole? Perché questo passato è una grande raccolta di avvenimenti, di situazioni, di memorabili partite di scacchi. Semplicemente, conoscere molte di queste partite consente di giocare meglio quelle che si dovranno giocare… Dalla introduzione dell’autore
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L’articolo presenta i risultati di una ricerca sulle esperienze di innovazione sindacale promosse dalla Cgil in contesti caratterizzati dalla frammentazione del lavoro, dal lavoro disperso e precario. L’analisi prende in considerazione gli ostacoli, i limiti e i fattori che hanno favorito lo sviluppo di queste esperienze. In conclusione l’articolo presenta alcune riflessioni sull’impatto di queste esperienze sul modello organizzativo del sindacato, in particolare considerando il rapporto con la democrazia.