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La riflessione sviluppata nel contributo si concentra sulle macerie ideali e ideologiche che porta con sé la guerra per cercare di individuare quale sia stata la parte politica che ha capitalizzato dalla guerra in Ucraina; per chi questa guerra è stata una «distruzione creativa» e per chi, invece, è stata solo macerie.
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Il contributo evidenzia come al centro del conflitto ci sia oggi una questione identitaria e non più ideologica. Ciò implica che se in passato le ideologie potevano fungere da collante e tenere insieme popoli e nazioni molto diversi, fondare tutto sull’identità significa frammentare culturalmente, e poi geopoliticamente, lo spazio mondiale. Proprio le tre maggiori potenze – Stati Uniti, Cina e Russia – sono attraversate da profonde crisi interne che ne mettono in questione l’identità, le strutture e il senso di sé. Per quanto riguarda l’Italia, che con la guerra assume un ruolo strategicamente più rilevante in quanto centrali nel Mediterraneo, ha dinnanzi due priorità: dal punto di vista geopolitico, la sicurezza alle frontiere orientale e meridionale; dal punto di vista socio-economico e finanziario, la battaglia sul patto di stabilità, che sarà decisiva.
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Questo contributo approfondisce prevalentemente gli effetti della guerra in Ucraina sulla spesa militare e sulla corsa al riarmo. Questa dinamica viene analizzata insieme all’evo-luzione delle relazioni internazionali e in particolare del ruolo della Nato. Se le conse-guenze dirette della guerra nell’immediato sono rappresentate dalla crescita del bilancio della difesa, nel medio periodo l’aumento delle spese militari si connette con il possibile cambiamento delle relazioni internazionali verso una cornice segnata dalla contrapposi-zione o dalla tensione tra i paesi e le alleanze (Nato e Russia, Cina, India) che potrebbe sfociare in clima di rinnovata «guerra fredda». A questa cornice di contrapposizione e di tensione non sarebbe indifferente l’effetto della guerra sulle relazioni, gli scambi commerciali, il sistema finanziario e l’approvvigionamento delle materie prime. L’impatto non è solo sull’Europa, ma su tutte le aree geografiche con il rischio di guerre commerciali e di una rinazionalizzazione delle politiche economiche.
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Lo sviluppo diseguale che ha caratterizzato l’Unione europea ha determinato una vulnerabilità strutturale dell’intera Europa agli shock esterni che le crisi economiche innescate dalla pandemia di Covid-19 e dalla guerra hanno aggravato. La guerra segna anche un punto di svolta per l’ordine geopolitico globale. La globalizzazione, già colpita dal conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina e dalle perturbazioni seguite alla pandemia, sembra in ritirata e potremmo assistere alla polarizzazione dell’economia mondiale in due blocchi incentrati su Stati Uniti e Cina. In un mondo che sta frammentandosi, anteporre gli interessi nazionali a quelli comuni potrebbe rivelarsi suicida per l’Ue nel suo complesso e per i singoli paesi membri. Dopo aver ricordato brevemente i molteplici canali attraverso i quali il modello di crescita dell’Ue ha aumentato la dipendenza e alimentato la divergenza tra centro e periferia, si discute la probabilità che possano emergere nuove divisioni interne all’Ue nel nuovo contesto globale. Si conclude con un’analisi del ruolo che le politiche macroeconomiche e industriali possono svolgere per accelerare il processo di trasformazione strutturale e ridurre il divario tra i paesi membri e al loro interno.
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Il contributo esplora le implicazioni della guerra in Ucraina riguardo all’organizzazione geo-politica e allo sviluppo di tecnologie ambientalmente sostenibili. Si sostiene che il conflitto ucraino possa essere una guerra epocale, un conflitto di lunga durata riguardante le strutture politiche ed economiche, che segnerà una divisione tra ere storiche. Gli esiti di guerre di questo tipo sono spesso radicalmente incerti, con conseguenze del tutto inaspettate per chi le ha iniziate. Il conflitto militare in senso stretto in Ucraina potrà essere lungo o potrà esserne negoziata una soluzione. Ma la guerra economica fatta di embarghi, confische e boicottaggi probabilmente continuerà all’infinito, e avrà l’effetto di riconfigurare il sistema mondiale. Né la Russia né la Cina è presumibile che soccombano a causa delle sanzioni, dato che i loro popoli sono altamente formati, possiedono livelli di risorse basilari di grade ampiezza e settori industriali e agricoli di larghe dimensioni. Questo porta a ipotizzare che ci sarà una nuova struttura geopolitica basata su una forte separazione tra due grandi blocchi di potere, con competizione per l’in-fluenza sulle altre economie e soggetti politici. Ma questa configurazione geopolitica si genera nell’ambito di una crisi geofisica di degradazione ambientale e del cambiamento climatico. A fronte del retroterra geofisico, il problema globale più grande è il venir meno della necessaria collaborazione multilaterale per individuare soluzioni possibili per le tecnologie energetiche. Gli attuali obiettivi di limitazione delle emissioni sono morti e il quadro di azione collettiva asso-ciato al processo Onu sul clima è probabilmente morto anch’esso. Soluzioni a più lungo ter-mine, quali lo sviluppo cooperativo di nuove tecnologie energetiche, sono ora difficili da imma-ginare. E ciononostante è molto probabile che le incerte dinamiche della guerra economica e della crisi geofisica determineranno sfide radicali per il nuovo ordine geopolitico. La sfida decisiva per il futuro è trovare e costruire, nell’ambito di questa struttura riconfigurata ma turbolenta, una nuova base per la collaborazione multilaterale per tecnologie energetiche sostenibili.
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Questo contributo non tratta delle conseguenze economiche e sociali della guerra, ma delle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, decisa dalle mire espansionistiche di Putin. Qualcosa su cui una rilettura di Marx qualche insegnamento lo darebbe. Fatta questa premessa, la guerra di invasione e le sue conseguenze si collocano all’interno delle crisi multiple che il capitalismo del nuovo millennio sta attraversando. Ciò che l’invasione del-l’Ucraina ha accelerato è di far risaltare quanto sia impossibile, nei paesi avanzati, af-frontare le contraddizioni dal lato della distribuzione e dell’occupazione, senza un inter-vento che sia finanziario e strutturale. La risposta richiede di calibrare una politica eco-nomica dal lato della domanda con un intervento settoriale dal lato dell’offerta, con alti investimenti all’insegna di una loro «socializzazione», a un intervento dall’alto sui con-sumi privati. È certamente troppo presto per ragionare sulle conseguenze dell’invasione russa. È, invece, urgente interrogarsi sulla transizione che si è aperta con le molteplici crisi del mondo neoliberista.
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La guerra in Ucraina ha esacerbato le tensioni inflazionistiche che erano iniziate in seguito alla pandemia, comportando un aumento vertiginoso dei prezzi dei beni e servizi energetici. Le caratteristiche dell’ondata inflazionistica possono però avere effetti distributivi rilevanti, dato che l’aumento dei prezzi energetici impatta diversamente su famiglie con diverso tenore d’acquisto. Facendo uso di un database che registra redditi e consumi delle famiglie ita-liane, in questo contributo si stima l’impatto della crescita dei prezzi energetici su disuguaglianza e povertà in Italia, tenendo anche conto delle misure di contrasto ai rincari introdotte dal governo nel corso del 2022.
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Gli ultimi dieci anni hanno riportato a galla una verità troppo a lungo dimenticata dall’analisi macroeconomica: gli sviluppi macroeconomici e le scelte dei policy makers sono raramente neutrali dal punto di vista distributivo. Negli scorsi anni, la tendenza secolare all’aumento della disuguaglianza è stata esacerbata dalle (pur sacrosante) politiche monetarie a contrasto della stagnazione secolare e, più recentemente, dalla fiammata in-flazionistica causata dalla crisi energetica e dalla guerra in Ucraina. Dopo aver ripercorso gli sviluppi macroeconomici degli ultimi due lustri, l’articolo si conclude auspicando che politiche macroeconomiche e politiche strutturali (in particolare di politica fiscale e redistri-butiva) siano in futuro meglio coordinate per garantire la sostenibilità sociale delle nostre economie a fronte delle sfide dei prossimi decenni.
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L’articolo propone una riflessione sulle implicazioni sociali generate dall’invasione russa dell’Ucraina e dal conflitto energetico che ne è scaturito. Quantità e qualità del lavoro, cioè «piena e buona occupazione», si ripropongono come assi dirimenti. Invece, Stati già molto provati dirottano ora gran parte delle loro risorse verso gli armamenti e gli sforzi bellici, la precarietà e le difficoltà occupazionali si accrescono, i servizi sociali vengono ristretti, la povertà torna ad aumentare, l’esclusione sociale si incrudelisce, si allargano le disuguaglianze, si rafforzano le mafie, la corruzione, la zona grigia intorno alla criminalità organizzata. Ed è proprio in questo tempo drammatico che diviene urgente immaginare soluzioni avanzate di «democrazia economica» finalizzate alla costruzione di un «nuovo modello di sviluppo» con il quale porre mano profondamente a «cosa, per chi, come» produrre e in cui l’Europa ha un ruolo fondamentale da svolgere.
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Out of stockL’invasione russa dell’Ucraina: implicazioni socio-economiche e conflitto energetico
- Salute e sicurezza sul lavoro: una questione anche di genere
- Stato, mercato e società civile di fronte alle sfide della sostenibilità sociale
- Pnrr e invecchiamento attivo
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La Fiom ha compiuto 121 anni di vita. Nata a Livorno il 16 giugno del 1901, ha attraversato tutto il Novecento, le sue conquiste e le sue tragedie. Dopo due guerre mondiali e il fascismo i metalmeccanici hanno contribuito, a partire dagli scioperi del marzo 1943, alla cacciata del regime fascista e alla conquista della democrazia e, successivamente, all’affermazione dei diritti nel e del lavoro, con la straordinaria stagione dell’unità sindacale e dei Consigli di fabbrica. A partire dagli anni Ottanta si è confrontata poi con la globalizzazione e le ristrutturazioni capitalistiche, per affacciarsi alle soglie del nuovo millennio con nuove sfide: la democrazia, l’autonomia, l’indipendenza, lo spazio europeo. La Fiom ha indissolubilmente legato la propria storia a quella del Paese, ne ha interpretato i sentimenti, la voglia di giustizia sociale e di crescita collettiva dentro e fuori le fabbriche. Questo volume ricostruisce la storia della Fiom dalle origini ai giorni nostri, focalizzandosi in particolare sugli ultimi quarant’anni, quelli che, dalla sconfitta operaia alla Fiat nel 1980, hanno segnato un nuovo paradigma politico, sociale ed economico: la fine delle grandi ideologie politiche di massa, la precarizzazione e il neoliberismo. Sfide a cui la Fiom ha voluto e saputo reagire. Lo fa sia con uno sguardo storico, attraverso la vita dell’organizzazione e dei suoi dirigenti, sia con uno sguardo sociologico, analizzando la contrattazione e le strutture della rappresentanza a partire dai luoghi di lavoro. Il volume contiene inoltre interviste con i segretari generali degli ultimi vent’anni e approfondimenti tematici su questione di genere, precarietà, ambiente e salute.
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Il volume raccoglie gli articoli scritti, nel corso degli ultimi decenni, dal premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi (per lo più per il manifesto). Dal nucleare all’Aids, dall’affidabilità dell’omeopatia alla morte di Nicola Cabibbo, passando per i deficit della politica italiana in materia di ricerca e i tagli della Gelmini. Con un tratto comune: la scienza e la ricerca non sono mai neutrali, ma, poiché svolgono un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la crescita civile di una società, implicano sempre un discorso politico. Lo studioso che emerge da queste pagine, dunque, non è mai super partes e per questo è chiamato a esprimersi e a rendere pubblica la propria opinione sui temi che di volta in volta risultano vitali per quella collettività di cui lui stesso fa parte.