• Il libro ripercorre i passaggi fondamentali della storia economica, politica e sociale di Terra di Lavoro del secolo scorso. Attraverso passaggi storici e trasformazioni sociali si svolgono le vicende di un nucleo di classe dirigente del Partito comunista e della Cgil che si forma in quel crogiuolo di umanesimo e di socialismo che è la scuola di una personalità suggestiva dell’antifascismo campano come Alberto Iannone. Il «professore», come lo chiamano a Capua, nonostante le persecuzioni del regime, insieme alla moglie Margherita tesse i rapporti con la rete clandestina del Pci, partecipa alla redazione e alla stampa dell’unico giornale di opposizione diffuso in tutta la Campania, «Il Proletario», tiene accesa la fiaccola delle idee di giustizia e di libertà tra i giovani e, attraverso le sue lezioni private, l’unico lavoro che gli è permesso, forma una parte importante della classe dirigente del dopoguerra della sinistra di Terra di Lavoro. Dopo la sua prematura e tragica morte i giovanissimi allievi ne raccolgono l’eredità culturale e politica e partecipano al processo di ricostruzione della democrazia e del paese. Tra questi tre futuri parlamentari della Repubblica: Enzo Raucci, deputato dal 1960 al 1976; Antonio Bellocchio, deputato dal 1976 al 1992; Pompeo Rendina, senatore dal 1963 al 1968. Attraverso la storia familiare e politica dei protagonisti emerge il filo rosso che lega le lotte per la democrazia del secolo scorso alle tendenze più avanzate della stagione risorgimentale. A fare da sfondo lo straordinario patrimonio storico e architettonico di Capua, uno dei più significativi del Mezzogiorno, e il territorio della provincia di Caserta, strategica cerniera tra Napoli e la Campania interna.
  • La contrattazione collettiva aziendale fa parte di una storia importante del movimento sindacale ma proprio lo svolgimento di questa storia ha rivelato l’incompiutezza della sua funzione negoziale e di rappresentanza. Difatti l’esercizio contrattuale di secondo livello ha oscillato tra la sua specificità rivendicativa, offuscata dalle limitazioni delle politiche generali, e le assegnazioni di ruolo che le relazioni industriali costantemente hanno stabilito. Il volume si sofferma sugli aspetti di questa caratterizzazione, valutando il restringimento della portata rivendicativa e la convenzionalità degli approfondimenti e dei contenuti. Questioni complesse, le cui manifestazioni sono esplicate nel presente studio per poter essere comprese e valutate eventualmente nelle attuali complessità sindacali.
  • Le lotte dei contadini, dei minatori, degli operai fanno parte di quella «storia dimenticata», lontana anni luce dalla realtà quotidiana dei nostri giorni. Molti giovani non conoscono gli avvenimenti che si sono succeduti appena pochi anni fa: le lotte sostenute dagli operai per l’affermazione dei propri diritti e di quelli di cui, oggi, tutti godiamo. Ma a ben guardare la nostra storia, quella dei nostri giorni, riaffiorano, con tutta la loro drammaticità, gli stessi problemi, le ansie e le speranze descritte in questo libro. Il lavoro, la crisi della società e la sua frammentazione, la necessità di dare nuova vitalità ai valori della fratellanza, della solidarietà e dell’impegno sociale hanno spinto l’autrice a mettere insieme i vari tasselli di una vita, quella di Luigi Infuso, vissuta con passione e determinazione tra i lavoratori, con la condivisione dell’intera famiglia. Perché non si può costruire il futuro se non si conoscono le proprie radici.
  • Collecchio, 19 dicembre 2003. Un comunicato battuto alle 7,50 informa che alla Bank of America di New York non esiste alcun conto di 4 miliardi di euro riconducibile alla Parmalat Spa. È la parola fine per la Parmalat di Calisto Tanzi. La favola della multinazionale nata 42 anni prima da un salumificio di provincia finisce così, con queste righe che ufficializzano la notizia del crac finanziario più catastrofico della storia d’Europa. Tanzi è arrestato, Parmalat è posta in amministrazione straordinaria, si appurano i falsi in bilancio e si conosce l’anima nera dell’azienda candida creata dal monsignore del latte Calisto, benefattore e uomo di Chiesa. Ma è proprio da quella fine che comincia una nuova storia perché sono gli operai e gli impiegati, con i sindacati e i pochi manager superstiti, a prendersi la fabbrica. È la storia del salvataggio della Parmalat e del paradosso dei paradossi del capitalismo italiano: un’azienda che secondo le leggi del mercato e della cultura liberista avrebbe dovuto fallire continua invece a fare latte e derivati e succhi di frutta. E in cima alla pila traballante dei 14 miliardi e passa di buco tiene in equilibrio migliaia di posti di lavoro, migliaia di famiglie e di vite, conserva inalterati gli accordi sindacali, e gli stipendi e i premi di produzione, non facendo ricorso a un’ora di sciopero, così supplendo all’etica di un gruppo imprenditoriale divorata dall’illecito e dal demone del profitto ad ogni costo.
  • Trieste, marzo 1989. Due giovani universitari si incontrano durante l’occupazione della facoltà. Si innamorano, si fidanzano, si sposano… ma lui si rivela autoritario, instabile e dedito alla droga. Un rapporto progressivamente sempre più difficile e claustrofobico, stretto fra l’ostinata convinzione di poter cambiare il destino ed un crescendo di menzogne, minacce e violenza, fino al tragico epilogo. Tratto dalla vicenda autobiografica di uno degli autori, il libro si presenta come una testimonianza «autentica» del distorsivo rapporto uomo/donna che, con agghiacciante frequenza ai giorni nostri, trova sbocco nel dramma del «femminicidio».
  • Out of stock
    Violenza contro le donne: cosa si sta facendo in Italia? Inasprire le norme repressive e isolare i comportamenti violenti maschili – che sono ormai arrivati ad un femminicidio ogni due giorni – facendone casi eccezionali, patologici, lascia inalterati i modelli culturali fondati su quegli equilibri patriarcali di potere contro i quali hanno lavorato fin dagli anni Ottanta i Centri antiviolenza e le Case per donne maltrattate, frutto delle lotte femminili e femministe. Comprendere invece che la violenza sulle donne è prima di tutto un problema degli uomini significa spostare l’attenzione dalle vittime agli autori, a quella «questione maschile» che tutta la violenza di genere sottende. Il volume coglie, nella parte iniziale, questo cambiamento di ottica attraverso una ricerca – la prima in Italia – che censisce le esperienze d’avanguardia rivolte agli uomini violenti nel nostro paese, nelle carceri e nei centri, in ambito privato e pubblico, e offre un quadro di programmi sviluppatisi a livello internazionale, cui le esperienze italiane fanno riferimento. Nella seconda parte sono presentate le riflessioni e le proposte di studiosi e studiose afferenti a molteplici discipline, e le esperienze di operatrici e operatori con ruoli professionali diversi. In appendice, un’analisi critica del recente decreto legge n. 93/2013 convertito nella legge del 15 ottobre 2013 n. 119. Le autrici e gli autori: Anna Costanza Baldry, Michela Bonora, Mar co Deriu, Monica Dotti, Fran cesca Garbarino, Paolo Giulini, Bruno Guazzaloca, Monica Mancini, Barbara Mapelli, Massimo Mery, Cristina Oddone, Alessandra Pauncz, Giorgio Penuti, Chantal Podio, Roberto Poggi, Michele Poli, Amalia Rodontini, Mario Sgambato, Claudio Vedovati, Maria (Milli) Virgilio.
  • Un Patto sociale tra produttori appare una chimera. Invocato da molti, per frenare il declino ventennale dell’economia italiana, trova nella politica nazionale e nei fautori dell’«austerità espansiva» in Europa i principali «sabotatori». Gli economisti avanzano varie proposte, le parti sociali sembrano almeno in parte disponibili al confronto, ma gli scenari possibili non sembrano prospettare soluzioni praticabili. Nel frattempo la quota del reddito da lavoro continua a diminuire: dal 1990 il lavoro ha perso circa 10 punti percentuali, la crescita della produttività è rallentata da metà anni ’90 e si è arrestata dal 2000, il gap tra produttività e salario reale è cresciuto; negli anni dell’euro ha prevalso la stazionarietà per salari e produttività, mentre è cresciuta l’occupazione precaria e mal retribuita. Ancora purtroppo si intende proseguire lungo una politica di flessibilità del mercato del lavoro. Occorre invece un cambiamento, in Italia e in Europa, ed investire su lavoro stabile, retribuzioni e innovazione,ntecnologica ed organizzativa, i principali fattori che possono far ripartire la crescita.
  • È il mondo delle voci e dei suoni, con al centro la radio, l’oggetto di questo libro eccentrico quanto può esserlo la prospettiva dell’ascolto. Una cronaca in due tempi dove convergono elementi diversi per raccontare trasformazioni e possibilità di uno strumento alleato della complessità e delle domande dell’uomo, capace di formare comunità, inventarle, distruggerle, consolarle. Un primo movimento in studio, negli ambienti fantasmatici delle sale di registrazione, riflette sul senso dell’ascolto, oggi, in Occidente, a partire dall’esplorazione sonora del paesaggio italiano a opera dei maggiori scrittori delle ultime generazioni, per approdare alle scene di un radiodramma vivente incontrato negli scompartimenti di un treno o nell’istallazione sonora di un albergo dove rivive lo splendore acustico del passato. La seconda parte in viaggio, quando dalla provincia italiana l’autore allarga la sua esplorazione fino alle strade della Bosnia, agli slum di Nairobi, all’India dei musicisti itineranti. Come se allontanandosi, ci avverte, andando in luoghi dove l’ascolto è meno corrotto, tutto diventi più evidente e possa venire a depositarsi sui fondali del nostro desiderio di capire in maniera permanente. La scrittura di Pavolini, concentrata sulla ritmica discreta dell’ascolto, trae sostanza e forma proprio nello smarcarsi dall’autocompiacimento, tenendo però fermo il punto di partenza autobiografico e interiore. Questo è avvenuto per Accanto alla tigre, poi nel memoir Tre fratelli magri, e ora in questo nuovo libro dove ricuce intorno ad alcune esperienze del suo lavoro quotidiano ai programmi di Radio3 il destino più ampio dei mestieri intellettuali: «Un impasto in cui sembrano fondersi senza sforzo la finezza dei vecchi letterati con l’acribia dell’analisi e della documentazione» come scrive Goffredo Fofi nella postfazione.
  • Il viaggiatore affascinato torna più volte in un luogo facendone una seconda patria. È ciò che è successo all’autore di Alfabeto brasileiro, storico e saggista di fama, di ritorno da un viaggio di studi in Brasile. Così Angelo d’Orsi, non nuovo ai modi di una scrittura non accademica, senza rinunciare agli strumenti di una riflessione storica, politica, linguistica e di costume, affida la complessità dell’esplorazione di questo paese a un alfabeto discorsivo ed eccentrico che cresce per voci, incrocia luoghi, personaggi e tradizioni della cultura brasiliana, tra vecchi e nuovi immaginari. In queste 26 parole chiave (da água a futebol, da jovens a universidade…), disposte rigidamente dalla A alla Z, la scrittura mescola, con grazia, arguzia e ironia, informazioni e suggestioni, notazioni e racconto orale e, naturalmente, fonti documentarie preziose. In questo modo quel grande paese diventa il concentrato di tutte le contraddizioni del mondo: grande e ricco, povero e desolato, sulla via della crescita e immobile, industriale e rurale, il paese della bellezza, non solo femminile, ma anche dell’obesità all’americana; il luogo dell’«uomo cordiale» che ti chiede «tudo bem?», ma anche della ferocia di una criminalità diffusa e della violenza delle forze di polizia. È America, ma è Africa, Europa, ed è pure la «terza nazione», delle comunità indigene sterminate dalla «conquista», ancora oggi sotto attacco, spesso da parte delle stes se autorità o delle grandi multinazionali che devastano le loro terre. La metafora «Brasile» serve quindi a una riflessione sui mali e i pericoli delle società contemporanee, per ridare un senso alla nostra esistenza, nella compassione per i deboli, nel rispetto dell’altro e in quella lotta capace di cancellare le ingiustizie sociali e salvare nella natura il futuro nostro, quello delle terre che abitiamo. Arricchiscono il volume le suggestive immagini scattate da Eloisa, figlia di Angelo, fotoreporter e viaggiatrice, e un suo personale reportage.
  • Dai giornali mazziniani, internazionalisti e anarchici ai volantini diffusi nel 1890 allorché ebbe inizio la tradizione del Primo maggio; dalle vecchie e rare tessere socialiste e sindacali ai preziosi manoscritti di Andrea Costa, Enrico Ferri, Argentina Altobelli, Ugo Ojetti e Gaetano Salvemini; dai verbali delle riunioni in Cgil nelle calde giornate del 1948, quando si consumò la scissione sindacale, al telegramma di solidarietà inviato da Italo Calvino a Giuseppe Di Vittorio per la posizione assunta sui fatti d’Ungheria. Inediti, rarità e pezzi unici, custoditi da tre importanti archivi storici della Cgil, arricchiscono le pagine di questo volume che offre una suggestiva rappresentazione visuale della vicenda del mondo del lavoro in Italia dalla fine del diciannovesimo secolo agli anni Ottanta del secolo successivo. Con la collaborazione di Ilaria Romeo.
  • Entrare in quel gran cantiere mai chiuso che è la vita di Pietro Ingrao è atto temerario, ma pure necessario, se si vuol cogliere il senso di molte cose italiane. Ricorro alla parola «vita», e non «scritti» o «opera», perché davvero vi è un tutt’uno di azione politica e di riflessione teorica, di curiosità intellettuale e di introspezione poetica. Per esperienza diretta, posso aggiungere che proprio questo sfaccettarsi, questo arricchire ininterrottamente esperienza e presenza pubblica, ha indotto più d’uno, nelle occasioni più diverse, a costruirsi un «suo» Ingrao. Cosa che, per un verso, può divenire o apparire come una incapacità di fare i conti con una figura complessa; ma, al tempo stesso, esprime pure un bisogno di identificazione, al di là di quelli che possono essere dissensi o distanze. Questo libro propone un Ingrao che non s’interroga soltanto sul lavoro, ma da qui parte per riconoscere e ricostruire un insieme di nessi che, indicati appunto dalla dimensione del lavoro, impongono poi di guardare alla collocazione sociale della persona, e alla sua stessa vita. Il lessico è rivelatore, non abituale negli anni in cui questi scritti comparvero: basta l’insistito riferirsi alla dignità. (dal saggio di Stefano Rodotà) C’era un tempo nel quale a sinistra il lavoro veniva sempre prima di tutto senza che ciò suscitasse clamore o divisione. Anzi, il lavoro è sempre stato un valore specifico e unitario di tutta la sinistra, una sua ragion d’essere. In Italia, a partire dal dopoguerra, il lavoro e i lavoratori hanno visto crescere il loro peso grazie all’aumento dei salari, dei diritti, del welfare, della democrazia sostanziale. Con l’affermarsi del neoliberismo, però, dalla fine degli anni Settanta, il lavoro, con tutte le sue implicazioni, viene pesantemente sconfitto. Questo volume raccoglie le riflessioni di Pietro Ingrao sul tema del lavoro proprio in quest’epoca. A partire dal famoso discorso pronunciato da Presidente della Camera alle Acciaierie di Terni, per i trent’anni della Costituzione, fino alle trasformazioni che hanno caratterizzato il lavoro a fine secolo, passando per lo sciopero della FIAT nel 1980 e gli anni del riflusso, l’insieme di scritti e discorsi di Pietro Ingrao qui presentati, a distanza di anni, mostra ancora tutta la sua valenza analitica e anche profetica.
  • Uomini e navi

    12.00 
    Questo libro a più voci sulla storia del porto di Genova intreccia diverse componenti di racconto: il cantiere, i suoi uomini e le sue navi, le politiche governative e la legislazione, le scelte imprenditoriali, ma anche le tante trasformazioni dell’Italia nell’arco di un secolo. Scritto con lucidità e passione documentaria e civile, Uomini e navi aggrega più registri: cronaca giornalistica, notazione politico-economica, reportage, racconto sociale, dando voce ai lavoratori portuali che sono stati i veri protagonisti di queste vicende, sin dai tempi dei fondatori del cantiere Taylor e Prandi a metà Ottocento. Con un’ampia partitura composta dalle testimonianze dei protagonisti, ognuno dei quali narra e fotografa un’epoca – da Amleto Valenti, assunto negli anni trenta e delegato sindacale della Fiom, al beatnik Pietro Apostoli, diventato comunista alla Fincantieri, fino a Eugenio Restani, cassaintegrato che racconta la crisi e il declino industriale –, Alessandra Fava ricostruisce un pezzo di storia della cantieristica italiana, tra epica novecentesca, memorialistica operaia e disincanto del presente. «Quando la “Costa Magica” si è scostata dal bacino ho provato, per la prima volta nella mia vita lavorativa, una punta di orgoglio e mi sono sentito accomunato a tut te le generazioni di costruttori di navi che mi avevano preceduto. Io appartengono al secolo scorso, la mia speranza è per i più giovani, per i loro sogni e perché possano costruire le navi più belle del mondo». (Eugenio)