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Ricostruire l’attività clandestina del gruppo di partigiani operante all’interno della società per azioni TIMO di Parma ha significato indagare quel vasto universo di donne e uomini lavoratori che operarono attivamente contro le forze d’occupazione e il governo fascista repubblicano. La storia che si è voluta raccontare, dunque, non è storia di eroici guerrieri fuori dal tempo e dallo spazio. È storia di giovani uomini che, in una società profondamente colpita dalla guerra totale, nella convivenza quotidiana con una pratica di soprusi e di morte, hanno saputo operare una scelta di campo e agire di conseguenza. Ragazzi che, con il loro bagaglio di esperienza e di errore, hanno accettato di mettersi in gioco, fino, in alcuni casi, al sacrificio della vita.
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«…Tutto può, e anzi deve, essere rimesso in discussione, ma con la convinzione che teoria e azione sono le due facce dello stesso processo, che la politica dunque è l’infinito movimento di congiunzione di questi due lati…» Il libro ripercorre la storia politica dell’ultimo trentennio, dal compromesso storico a oggi, con uno sguardo molto critico su come la sinistra ha saputo leggerne i diversi passaggi, lungo una traiettoria di progressiva rinuncia ad una propria autonoma interpretazione della realtà. Si tratta ora di ricostruire un’identità, un ancoraggio sociale, una capacità di rappresentanza, senza che sia più possibile avere una meta prestabilita, perché tutto è mutato e si può procedere solo per tentativi, lavorando sulle contraddizioni e sui conflitti di un mondo globalizzato ma non pacificato. La pazienza e l’ironia sono le virtù necessarie per intraprendere questo cammino.
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Vittorio Foa è l’uomo plurale che più di ogni altro ha ispirato i lavori e le iniziative prese dall’Associazione Biondi Bartolini nei suoi dieci anni di vita. È perciò stato naturale cogliere l’occasione del centenario della nascita di Foa per dar vita prima a un importante convegno, tenuto a Firenze nell’ottobre 2010, e poi a questo volume, che ne riprende parzialmente i contenuti, ma arricchendolo di materiale originale, elaborato e raccolto ad hoc per la pubblicazione. La prima parte presenta analisi e riflessioni di vari campi disciplinari –di Chiara Colombini, Andrea Ginzburg, Pietro Marcenaro, Stefano Musso, Emanuele Zinato –su questo grande intellettuale del Novecento, gettando luce su quei territori così diversi ai quali Foa rivolgeva il suo sguardo lungo sul tempo. La seconda parte raccoglie testimonianze e ricordi di tre protagonisti e compagni d’avventura e di vita di Vittorio Foa –Elio Giovannini, Andrea Ranieri e Vittorio Rieser –, raccolti e ordinati dai curatori del volume durante una libera e informale discussione. Ne viene fuori una fresca rappresentazione di Foa nella sua fase sindacale e in quella della sua «splendida vecchiaia», ricca di novità e capace di illuminare aspetti poco noti della sua vita. Chiudono il volume uno scritto di Foa sul Piano del Lavoro, del 1975, e due lettere più recenti, inedite, con brevi ma interessanti commenti alle vicende degli anni Novanta. Nel volume il DVD sulla vita di Foa «Per esempio Vittorio» del regista Pietro Medioli.
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In questo libro vengono raccolti alcuni scritti di Mario Tronti, che hanno come tema centrale il rapporto tra le nuove inquietudini giovanili (e, ancora una volta, operaie) e la politica. Muovendo dalla attuale congiuntura, dove la situazione giovanile e intellettuale è tornata ad essere esplosiva, questi scritti ripropongono il tema della politica come orizzonte necessario e ineludibile, per far durare questa irrequietezza e per non essere ancora una volta risucchiati dall’antipolitica, da quella personalizzazione della politica che rappresenta il cancro delle nostre società democratiche. Il volume si apre con una Conversazione con Pasquale Serra, e si chiude con una Autobiografia filosofica di Tronti, che fa il punto sul suo complesso percorso intellettuale e politico. «Il nuovo è da assumere solo quando, innestato sul vecchio, ti permette di avanzare con la tua parte e di imporre e conquistare un terreno più favorevole alla lotta per la realizzazione. Ecco i comunisti: né nichilisti né attivisti, per dirla con Musil, ma realisti. Nichilisti, o attivisti, sono gli anticomunisti, quelli di destra e quelli di sinistra, accomunati dalla grande paura novecentesca che, da qualche parte, in qualche momento, quel maledetto rapporto di forza possa essere rovesciato, che i privilegiati possano perdere posizioni di comando e i subordinati possano conquistare posizioni di potere» (M. Tronti)
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Roma è come sospesa tra un passato che non muore e una speranza di futuro che tarda a diventare realtà. La città è di fronte ad un bivio: interrompere e mettere fine ad un modello di sviluppo urbano estensivo che ha saccheggiato e impoverito le sue risorse ambientali, culturali ed ecologiche, prendendo con decisione la via della sostenibilità urbana, produttiva, ambientale, dell’innovazione energetica, oppure persistere nella logica del consumo di suolo, dell’edilizia speculativa, della valorizzazione della rendita fondiaria e immobiliare, di un turismo di massa mordi e fuggi, che impoverisce la città mentre arricchisce una minoranza di speculatori ed affaristi. Questo volume raccoglie le relazioni tenute alla Conferenza su Roma della CGIL di Roma e del Lazio nel febbraio 2010 e i contributi venuti da alcuni noti esponenti del mondo della cultura, dell’associazionismo e del volontariato, delle istituzioni e del mondo produttivo, nonché da comitati e da reti di cittadini in rappresentanza di una città che non ha smesso di interrogarsi sui suoi mali ed è spesso portatrice di proposte e di idee innovative non sempre tenute nella dovuta considerazione dai suoi governanti, di ieri e di oggi.
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Il libro, basato sui risultati di un’indagine capillare svoltasi in tutta Italia e realizzata con il contributo del Ministero delle Pari Opportunità, racconta con forza e concretezza le storie di centinaia di ragazze nigeriane rese schiave e costrette con l’inganno a prostituirsi dall’alleanza fra mafia nigeriana e criminalità italiana. Sono tante le ragazze africane, soprattutto nigeriane, scomparse o uccise, ma questo non ferma il flusso illegale e ininterrotto di arrivi di migliaia di giovanissime, spesso minorenni, che da quasi vent’anni vengono condotte nel nostro paese. A tutte viene imposto un debito altissimo, fino a 80 mila euro, cui debbono far fronte nel tempo sotto la stretta e violenta sorveglianza della rete delle maman, diffuse capillarmente in tutto il territorio nazionale. Eppure sta crescendo il numero delle ragazze che, come l’autrice del libro, si ribellano al ricatto della mafia e, attraverso percorsi diversi, riescono a liberarsi dal suo dominio. Contributi significativi affiancano nel libro la denuncia della tratta: quelli dello scrittore Roberto Saviano, dei musicisti inglesi Michael Nyman e David McAlmont, dell’artista americana Martha Rosler, cui si accompagnano le riflessioni di Claudio Magnabosco e Gianguido Palumbo, due uomini italiani impegnati nelle reti e nelle associazioni contro la tratta per un cambiamento delle responsabilità maschili.
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In occasione del cinquantesimo anniversario degli avvenimenti del giugno-luglio 1960, quando il Governo Tambroni, retto dai voti decisivi del MSI, fu costretto alle dimissioni da imponenti manifestazioni di piazza, il volume rilegge la successione di quegli eventi e ne esamina le ragioni. Si trattò di una svolta drammatica nella storia repubblicana, segnata dal sangue di dieci cittadini innocenti. La ricostruzione degli eventi è affidata ad un ampio saggio storico di Fabrizio Loreto, che analizza la crisi politica e istituzionale del 1960 ed esamina il ruolo dei diversi attori politici e sociali in campo, offrendo un’originale interpretazione anche sulla base delle acquisizioni storiografiche più recenti e di un ricco patrimonio documentario. Il volume raccoglie inoltre relazioni e contributi dei convegni realizzati nel 2010 dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio a Genova, Roma, Catania, Palermo e Reggio Emilia, cioè nelle città dove più alta si levò allora la protesta popolare in difesa della democrazia e della Repubblica. Fra i contributi, molti sono quelli di protagonisti diretti di quella stagione, di intellettuali e di studiosi come Pietro Ingrao, Guido Bodrato, Armando Cossutta, Alfredo Reichlin, Aldo Tortorella, Fulvio Cerofolini, Guglielmo Epifani, Marco Revelli, Adolfo Pepe, Curzio Maltese, Moni Ovadia, Fernanda Contri. Con un saggio di Fabrizio Loreto Nel volume è anche contenuto in omaggio un Dvd del film documentario di Mimmo Calopresti «1960 I Ribelli»..
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Giuseppe Trulli nasce a Bari il 19 agosto 1942. Dopo un’intensa esperienza, prima nella FGSI e quindi nella Federazione giovanile del PSIUP, di cui diviene segretario nazionale, con lo scioglimento del PSIUP aderisce al PCI. Nel 1973, all’indomani dell’VIII Congresso della CGIL, tenuto a Bari, entra nella Confederazione. Fa parte prima della segreteria provinciale della Federbraccianti di Bari e quindi di quella regionale, di cui diviene segretario generale nel 1979 e conduce una dura azione di lotta al caporalato. Nel 1981 entra nella segreteria regionale della CGIL Puglia, di cui sarà eletto segretario generale nel 1984. Nel 1988 è segretario generale aggiunto della FILIS e successivamente Trentin lo chiama a dirigere il costituendo SMILE, pensato come rete di riferimento nazionale della formazione per tutte le strutture della CGIL. Quest’ultimo incarico lo assorbe completamente, fino alla morte prematura che lo coglie il 30 agosto 2000. Costante di tutto il suo impegno sindacale è stata l’individuazione del nesso inscindibile che si deve stabilire tra progresso economico, innovazione tecnologica e produttiva e crescita culturale. Nella sua impostazione il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e della qualità del lavoro è legato indissolubilmente allo sviluppo della democrazia e si può realizzare solo con il controllo democratico dei processi economici e del mercato del lavoro.
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La lotta alle mafie è una narrazione collettiva, perché la cultura mafiosa isola e colpisce i suoi avversari lasciati soli, come ricorda Giovanni Falcone. È narrazione perché la stessa cultura mafiosa prospera negli anfratti dell’omertà. Narrazione collettiva, dunque, come doppia sfida alla cultura mafiosa, prima ancora che alle mafie stesse, quella cultura che è, ancora Falcone, «contiguità morale» tra mafia e non-mafia, più insidiosa, se possibile, dell’adesione aperta. Il lavoro di Pasquale Iorio offre tre chiavi di lettura, distinte e connesse. La prima è il contenuto stesso del libro. La seconda è la sua narrazione itinerante. La terza è la narrazione sulla narrazione. La costruzione a più voci di questo volume, la pluriformità degli spaccati d’osservazione, la ricchezza del dibattito generato e delle intelligenze mobilitate, la varietà dei luoghi delle discussioni e delle generazioni coinvolte, la fatica del narratore itinerante, la mobilitazione delle istituzioni ospitanti, la buona disposizione al confronto rendono l’esperienza del Sud che resiste visto dagli altri una «buona pratica», sia come contributo alla resistenza contro la cultura mafiosa, sia come restituzione della dignità ad un popolo oppresso, sia come, infine, metodologia efficace di produzione collettiva di conoscenza. Tre motivi, questi, che fanno del lavoro di Pasquale Iorio uno strumento fondamentale.
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Ventuno donne migranti, giunte a Roma in tempi diversi, raccontano la loro storia. Poche volte hanno avuto modo di parlare, raramente hanno trovato ascolto. «Abbiamo qualcosa dentro il cuore, però non sappiamo come dirlo, come spiegare a voi per far capire quello che sentiamo». Questo libro ha dato loro voce. Una voce che racconta di fughe dalla guerra e dalla miseria, di sacrifici e stenti, ma anche di quotidianità e conquiste. Il tema della maternità, vissuta lontano dagli affetti e dalle tradizioni, è stato il filo rosso che ha guidato questa raccolta di storie, ma anche un pretesto per narrare altro: identità perdute, aspettative e delusioni, coraggio, forza, riscatto sociale. Storie di donne che si sentono cittadine del mondo. Alcune ricordano la vita, gli usi e costumi del paese d’origine, tutte parlano della loro realtà quotidiana, con le fatiche e le speranze di donne e di madri. Le curatrici si sono avvalse della metodologia autobiografica per «tradurre» in forma scritta queste voci di donne migranti, proponendo così un panorama di testimonianze sul mondo dell’immigrazione femminile in Italia e in particolare a Roma. Il volume contiene inoltre un dialogo a distanza con i racconti delle donne migranti attraverso le riflessioni di Maura Cossutta, Cecilia Bartoli e Mercedes Frias e il saggio di Antonella Martini.
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Siamo in Sardegna, a Oristano. Qui, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, nasce un nuovo impianto industriale, la Sardit, che tratta l’amianto, proprio mentre a Casale Monferrato e in altri stabilimenti della penisola si moltiplicano i casi di asbestosi tra i lavoratori e si verificano le prime morti sospette o direttamente correlate all’esposizione alla pericolosa fibra. Giampaolo Lilliu, il giovane protagonista di questa vicenda, dopo avere a lungo sognato il lavoro in fabbrica, viene a conoscenza della conclamata nocività dei materiali prodotti alla Sardit e ne diviene l’anima critica. Sposa la causa sindacale e diventa il punto di riferimento di una lunga e difficile battaglia condotta all’interno della sua fabbrica, combattendo contro l’iniziale diffidenza degli stessi colleghi di lavoro e superando complesse difficoltà. Dopo la chiusura dello stabilimento, Lilliu, attuale segretario generale della Camera del lavoro di Oristano, costituisce il Coordinamento amianto della Cgil, impegnandosi con passione nella nuova battaglia per ottenere maggiori tutele sanitarie per gli ex esposti, denunciando la presenza dell’amianto in numerose discariche abusive, sollecitandone la bonifica e chiedendo interventi per la riconversione di edifici pubblici costruiti con il pericoloso materiale.
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Per chi li indossa sono segno di giovinezza. Se sono scoloriti e dall’aspetto consunto hanno un fascino in più. Per chi li produce sono diventati causa di malattia e di morte. Dal 2005 quarantasei operai turchi che lavoravano nelle fabbriche di jeans hanno perso la vita uccisi dalla silicosi. L’ennesima strage del lavoro ignorata dai media. Jeans da morire la racconta con una appassionante ma rigorosa ricostruzione di dati, fatti e responsabilità, rompendo il silenzio che avvolge questa vicenda. Il volume propone anche la traduzione in lingua inglese dell’intero testo.