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A partire da un’analisi dei concetti di fondo e delle dinamiche socio-economiche ad essi collegati, questo lavoro prova a comprendere quali possano essere i nuovi strumenti che i sindacati dovrebbero mettere in campo per affrontare la sfida dei processi di ristrutturazione collegati alla cosiddetta rottura digitale (digital disruption). La rottura digitale è quel processo, indotto dall’innovazione digitale, di erosione di confini e approcci che in precedenza servivano da base per organizzare la produzione e l’acquisizione di valore (Karimi, Walter 2015; Weill, Rauch et al. 2016). La ristrutturazione continua indotta da tale impatto colpisce in modo sempre maggiore il settore dei servizi, a prescindere dal posizionamento all’interno della catena di valore globale di una determinata attività economica. Il lavoro si basa su oltre 50 interviste a dirigenti sindacali europei selezionati per la loro esperienza di ristrutturazioni digitali nel settore dei servizi. Sulla base di queste interviste abbiamo successivamente enucleato i fabbisogni formativi dei sindacalisti e le indicazioni di nuovi modelli di contrattazione sindacale sia nazionali che europei. Dalle interviste emerge infatti la necessità di aggiornare metodi e competenze per consentire ai rappresentanti dei diritti dei lavoratori di affrontare il carattere continuo della ristrutturazione digitale in una fase in cui, oltre alle tendenze di lungo periodo, occorrerà confrontarsi anche con l’accelerazione imposta ai processi di digitalizzazione dalle nuove modalità di approccio al lavoro che si stanno imponendo a seguito della pandemia di Sars-Cov-2.
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Il pubblico impiego rappresenta una caso di studio particolarmente interessante perché è uno dei pochi settori in cui i sindacati mantengono una forte membership e sono in grado di contrastare le politiche di riforma del settore. In questo lavoro, dopo un inquadramento teorico e qualche cenno ai tentativi di riforma del governo Renzi, si presentano una serie di evidenze empiriche sulle trasformazioni socio-demografiche del pubblico impiego negli anni duemila, sulla sindacalizzazione, sul consenso elettorale nelle elezioni dei delegati sindacali, nonostante l’adozione di strategie contrattuali di tipo moderato. Nella parte conclusiva si descrive lo specifico modello di offerta sindacale dell’Italia, osservando che l’assetto confederale, pluralistico e multitasking di Cgil, Cisl e Uil costituiscono i fattori principali che ne spiegano il (relativo) successo.
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Pubblichiamo lo scambio di riflessioni tra Adolfo Pepe e Iginio Ariemma sui Diari e sugli spunti in essi contenuti, non solo sul pensiero di Trentin, ma anche sulle importanti chiavi di lettura che, da questo suo sofferto testo, aprono un inedito e interessante squarcio su quel passaggio storico decisivo che si snoda a cavallo dei primi anni Novanta. Con questa occasione intendiamo rendere omaggio all’appassionato e criticamente ineccepibile lavoro che Iginio Ariemma ha dedicato alla figura e agli scritti di Bruno Trentin. Come è possibile leggere da questo scambio, che è tra le ultime occasioni di una lunga e comune riflessione sulla storia e sull’attualità del mondo del lavoro e della sinistra politica in Italia, emerge la lucidità del pensiero di Ariemma, un uomo e un dirigente politico che ha saputo mantenere viva l’attenzione per il movimento sindacale e per i problemi collegati alle trasformazioni del lavoro. Ed è da questa sintonia che è nata una comunanza di studio e di riflessione, animate dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, tra Iginio Ariemma, Adolfo Pepe, Carlo Ghezzi e in generale i giovani studiosi che hanno avuto la possibilità di arricchire il loro percorso intellettuale e di ricerca.
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Per un complesso di motivi, le relazioni interpersonali possono logorarsi o collassare. Causa frequente è l’aumento delle diseguaglianze. Nelle società disuguali gli individui hanno condizioni di lavoro, redditi, stili di vita, alloggi, gusti e consumi diversi. Anche la mobilità geografica e sociale impoverisce i legami di altruismo e solidarietà non consentendo alle persone di vivere l’una accanto all’altra il tempo necessario perché quelle disposizioni maturino. Così anche le trasformazioni del mondo del lavoro e dell’economia, che agiscono sia sulla «distanza dalle necessità» sia differenziando luoghi, tempi di vita, occasioni d’incontro, pratiche di consumo, opinioni politiche, che contribuiscono ad accrescere le disomogeneità e le «smagliature» del tessuto sociale. Altri due motivi sono causa di rarefazione e logoramento dei legami sociali: il problema delle generazioni e la crisi del mondo giovanile (crescita delle povertà materiali, prolungamento dell’accesso all’indipendenza economica, alle scelte di vita, alla riproduzione) e la crescita delle forme di solitudine e isolamento.
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La crisi del dispositivo della cittadinanza, in corso da alcune decadi, è indiscutibilmente connessa all’indebolimento dei legami sociali che si registra da tempo con preoccupazione, e ne costituisce anzi un fattore rilevante. D’altro canto, proprio a seguito di questa crisi sono in corso profondi, per quanto incerti, processi di trasformazione della cittadinanza stessa che hanno luogo in diverse dimensioni e contesti. Una di queste dimensioni è quella urbana, dove è anzitutto la residenza a costituire una base della sua ridefinizione e dove emergono pratiche di cittadinanza non previste, ma che concorrono a costruire o ricostruire legami sociali. Per approfondire la osservazione di queste trasformazioni e la loro connessione con il tema dei legami sociali vengono utilizzati gli articoli che la rubrica del quotidiano «la Repubblica» intitolata «La città che resiste» ha dedicato nel 2019 alle iniziative di reazione all’abbandono della città. L’analisi riguarda sia le iniziative dei cittadini che la loro rappresentazione da parte del quotidiano.
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Negli ultimi anni il tema della tutela ambientale è stato al centro nel dibattito politico nazionale e internazionale. Vi sono oggi regolamentazioni precise per fronteggiare i cambiamenti climatici, in un’ottica di trasformazione dei sistemi di produzione dell’energia, di salvaguardia del territorio e di sensibilizzazione della popolazione. Ed è in questo contesto che si osserva lo sviluppo di movimenti impegnati nella cura e protezione dell’ambiente: a livello locale, si tratta di associazioni e di comitati di quartiere sempre più attivi e sensibili a questa tematica. Un fenomeno interessante, perché si inserisce in un clima sociale e politico del tutto particolare, tra una società sempre più «individualizzata» (Bauman, 2001) e un sistema politico incapace di ridurre la distanza tra cittadini e istituzioni. Di qui l’emergere di un rinnovato senso comunitario, che cerca di opporsi al logoramento dei legami sociali attraverso nuove forme di impegno dei cittadini. Questo articolo si propone descrivere queste nuove forme di partecipazione orientate alla cura e alla protezione dell’ambiente; lo scopo è quello di riflettere sul loro modus operandi, di far emergere la loro capacità di promuovere la coesione sociale, nonché di ridisegnare il rapporto tra istituzioni e cittadini, compensando le carenze dell’intervento pubblico con la creazione di nuovi legami e reti di cooperazione a livello locale.