• Un Di Ruscio scatenato, furibondamente vitale, comico e caustico allo stesso tempo, irriverente al massimo, torna nelle pagine di questo libro con una lingua graffiante ed eversiva che, come scrisse Italo Calvino: «Ricorda Céline, per la volontà di scaricare nel flusso delle parole una cupa aggressività». Attuale e potente come pochi per la forte capacità di testimonianza, oltre che per l’indiscusso valore stilistico, La neve nera di Oslo cresce lungo una narrazione fluviale in prima persona, e in presa diretta, che lo scrittore fa avanzare tra bizzarre considerazioni politiche e filosofiche, intrecciate al vivere sociale e quotidiano, alle aspirazioni e ai sogni di un emigrato italiano. Argomenti della narrazione so no la privata quotidianità, l’odissea della vita di fabbrica e l’orgoglio di far parte di una classe operaia che va oltre l’ap partenenza diventando condizione uma na universale. Intorno il ma linconico ed esistenzialissimo pae saggio lunare di Oslo, che il nostro attraversa in bicicletta o a piedi, una metropoli tra i ghiacci che sentirà per sempre straniera. Ottantenne, molto amato da Franco Fortini, Paolo Volponi, Salvatore Quasimodo – che lo definì «uomo d’avanguardia nel senso positivo, cioè della fede nell’attualità e per la violenza del discorso» –con questo nuovo libro,forse tra i suoi il più bello e lirico, Luigi Di Ruscio sembra chiudere un’esperienza letteraria durata oltre mezzo secolo dove vita e scrittura s’incontrano per diventare una cosa sola, mostrandoci qui cosa significa per uno scrittore emigrare in Scandinavia e vivere in un isolamento linguistico e sociale che è da sempre quello di tutti i migranti.
  • Oltre trentacinque anni fa ebbe inizio la mobilitazione di lavoratori e cittadini per eliminare da ogni lavorazione l’amianto per i suoi effetti altamente nocivi. Le lotte portarono alla sottoscrizione di accordi sindacali che prevedevano l’istituzione dei «libretti sanitari individuali», il registro dei dati ambientali di reparto nelle fabbriche, i controlli delle aziende sanitarie locali sugli ambienti di lavoro. Questi accordi furono poi recepiti da leggi regionali e successivamente da leggi nazionali. Dopo oltre venti anni di processi civili e penali, fu approvata la legge 27 marzo 1992, n. 257, «Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto», che vietava l’estrazione, la lavorazione, l’utilizzo e la commercializzazione dell’amianto, e disponeva la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori già esposti all’amianto, nonché il risarcimento di quanti fossero affetti da asbestosi, mesotelioma, cancro polmonare, placche pleuriche, riconosciute come malattie professionali con conseguente danno biologico. Il volume fornisce le informazioni essenziali per comprendere quali siano i meccanismi di tutela già presenti in Italia e quali invece dovrebbero essere.
  • La presenza delle differenze, che esiste da sempre, si è oggi arricchita di nuovi volti e di saperi «altri» ed è caratterizzata dalla volontà di esprimersi ma anche dalla necessità di essere elaborata ed accompagnata. Una società interculturale non è l’evoluzione spontanea e naturale della realtà, ma è il risultato di un impegno intenzionale e condiviso che va pensato, progettato e organizzato. Donne per le donne è un libro che comunica uno stile di integrazione ed una capacità operativa al femminile: contenuti, valori e realizzazioni di un gruppo di donne che hanno dato vita ormai da più di dieci anni ad un laboratorio di cucito e stireria per il riscatto e la dignità di donne socialmente emarginate, specialmente se donne rom, e come prezioso servizio alla cittadinanza. È la testimonianza che l’assunzione di responsabilità, il coinvolgimento personale e la condivisione di parole e prassi lasciano orme profonde nella trasformazione sociale e contribuiscono a «costruire la storia».
  • Queste sedici storie, raccontate da alcuni tra i più significativi scrittori migranti che scrivono in lingua italiana, tutti residenti nel nostro paese, vogliono essere uno sguardo a più occhi e a più voci sull’Italia di oggi. Ne scaturisce uno scenario spietato, a volte molto amaro, dove gli «italiani brava gente» spesso ne escono con le ossa rotte. Gli autori vengono da Romania, Argentina, India, Cina, Egitto, Palestina, Algeria, Eritrea, Senegal, Congo, Togo, praticamente da ogni parte del mondo. Come scrive Enrico Panini nella prefazione, con intento fortemente politico: «In attesa di una piena e definitiva cittadinanza la scrittura diventa un luogo di accoglienza e integrazione fondamentale. Tanto più che in questo volume gli stranieri sono i soggetti e non solo l’oggetto del racconto, affermano cioè un protagonismo, nella scrittura, che non sempre la nostra società riconosce loro. Non è neanche da sottovalutare il fatto che essi scrivono in italiano: vorrà pure dire qualcosa, questo, se l’uso e il possesso di una lingua sono elementi d’integrazione fondamentale». I temi sono i più diversi, si va dalla condizione di sradicamento sociale e culturale, al lavoro assoggettato e sfruttato, fino a tematiche più private, oppure simboliche legate alle culture di riferimento. Ai racconti degli scrittori stranieri che scrivono in lingua italiana fa da «controcanto» una sequenza di immagini del fotografo Mario Dondero, che ritrae gli emigrati nostri, italiani, degli anni cinquanta e sessanta. Sono ad Eboli, da dove partivano, poveri e affamati, o in marcia durante uno sciopero alla Renault in pieno sessantotto francese, oppure a Marcinelle, nella miniera dove nel 1956 ne morirono 136, braccati dalle fiamme, soffocati dall’ossido di carbonio. E così il cerchio si chiude. La letteratura, le letterature, sono le vere ambasciate nelle nazioni più diverse. Poco diplomatiche, ma estremamente vere, sensibili, e sempre politicamente scorrette.
  • Nel novembre 2008 l’amministratore delegato di Mariella Burani Fashion Group, Giovanni Burani, riceve un prestigioso premio a Milano come manager finanziario dell’anno per «aver fatto un uso strategico e raffinato della leva finanziaria». Nell’agosto 2009 il titolo MBFGviene sospeso in Borsa. Nel febbraio 2010 BDH, la società a monte della catena di controllo di MBFG, è dichiarata fallita. Pochi giorni dopo MBFGè dichiarata insolvente. Come è avvenuto che l’impero della moda dei Burani, simbolo dell’Emilia Felix, che dava lavoro ad alcune migliaia di persone, si sia dissolto nel giro di pochi mesi? Come è possibile, dopo il crac Parmalat, che nessuno (banche, organi di controllo, mezzi di informazione, associazioni imprenditoriali, istituzioni) si sia accorto per tempo che il gruppo si andava sgretolando sotto il peso di una montagna di debiti? Perché nell’OPA dell’autunno 2008 i Burani hanno investito decine di milioni di euro in azioni Mariella Burani per acquistare a 17 euro un titolo che meno di un anno dopo sarebbe crollato a poco più di 2 euro? Chi pagherà per questo epilogo?
  • Dal «Programma di Lisbona» e dalla «Carta di Nizza» del 2000, alla conclusione della presidenza Sarkozy del Consiglio europeo a dicembre del 2008, passando attraverso l’adozione dell’euro, l’allargamento della UE del 1° gennaio 2004, il faticoso compromesso realizzato dalla Convenzione con il progetto di Trattato costituzionale della UE a giugno del 2004, poi clamorosamente bocciato dai referendum di Francia e d’Irlanda nel 2005, l’apertura del negoziato per la partecipazione della Turchia, sullo sfondo delle guerre e delle crisi monetarie, economiche, diplomatiche, che in Europa e nel mondo hanno chiamato a nuove responsabilità un’Unione intanto passata, con l’entrata di Romania e Bulgaria, dal 1° gennaio 2007, a 27 paesi: è questo lo scenario che si dispiega nelle pagine del volume. Attraverso le cronache scritte dall’autore per il Piccolo di Trieste e raccolte nel volume, si rincorrono così tutti i momenti importanti vissuti dall’Europa in questo inizio di terzo millennio, che Olivi, seguendoli passo dopo passo nella loro successione, commenta con la sapiente intelligenza del profondo conoscitore non solo dei problemi, ma anche degli ambienti e delle persone che ne rappresentano il teatro e gli attori.
  • Angelo Airoldi

    10.00 
    Se potessi dire, e qui c’è un giudizio mio personale, che cosa di Angelo resta come lezione politica e anche civile per la nostra organizzazione, direi alcune cose molto semplici: il grande rispetto che portava agli altri, il fatto di aver sempre aborrito, dentro e fuori del sindacato, la coppia amico/nemico, l’attenzione che prestava all’uso delle parole, al significato delle parole, l’attenzione che aveva dato, nel momento in cui imperversava il leghismo della prima ora, al fatto che, cambiando le parole, cambiavano in profondità anche gli umori del nostro paese e della nostra società. E infine, forse la cosa più preziosa, […] il rifiuto di semplificare i processi e la complessità della realtà, il non dividere mai il buono dal cattivo, il non considerare mai una ragione data per sempre, il bisogno di ritrovare le motivazioni e di comprendere – prima di formulare una decisione, un giudizio, una politica – il punto di vista dell’altro. Dalla prefazione di Guglielmo Epifani
  • Graziemila

    10.00 
    Con lo sgombero del ghetto di San Nicola Varco di Eboli, dove da anni erano costretti a vivere, in un assoluto degrado, più di ottocento braccianti marocchini impiegati nell’agricoltura della Piana del Sele, si scrive un’altra pagina nera della storia dei migranti nel nostro paese. Le ragioni che mi spingono ad esporre quegli eventi derivano dal profondo dolore che ho avvertito quel giorno. Sarà solo quello a guidare la penna nel racconto tormentato di chi l’ha subito, attingendo alle sensazioni che ho vissuto. Quel giorno, tra i più tristi della mia vita, ho sentito un peso che mi ha travolto interamente e sotto il quale gemevo impotente. Oggi, mentre percorro pensieroso le strade della Piana, li rivedo ancora tutti, i ragazzi di San Nicola Varco. Stanno ancora qui, non si sono mossi. Vivono in baracche, ruderi rurali, stalle, qualcuno ha trovato casa nei centri urbani, qualcuno dorme sotto le serre e sotto gli alberi. Tutti sono più deboli, spremuti e sfruttati nel lavoro dei campi, come e più di prima, dai caporali. Cosa possono aspettarsi dalla vita questi girovaghi instancabili a cui nessuno presta aiuto? Porte chiuse in faccia e malasorte. Il peso di una vita che vita non è, e ad ogni passo lo spirito maligno che mostra la via della salvezza nella fuga da volti duri e gente ostile. (brano tratto dal libro).
  • In una società in rapida trasformazione è importante che il sindacato rafforzi la propria conoscenza della condizione giovanile per poter orientare politiche, interventi e forme della partecipazione e dell’agire sociale. A questo scopo il volume analizza, attraverso un rigoroso percorso di ricerca sul campo, un ampio campione di giovani della provincia di Taranto. Quale cultura del lavoro possiedono? Quale ruolo assegnano al lavoro nella loro vita? Che importanza attribuiscono, per entrare nel mercato del lavoro, ai servizi, al sistema educativo, alla famiglia? Ha ancora senso parlare di identità sociale del lavoro? Il quadro che ne esce non è esaltante: i giovani tarantini sembrano immersi in un groviglio di problemi antichi a cui si sommano le nuove fragilità delle società post-industriali. Al lavoro conducono le vie di sempre, la raccomandazione e le amicizie giuste; il welfare appare inesistente. A questi atavici problemi si sommano i nuovi: la precarietà del lavoro e il basso livello salariale della «generazione mille euro», la difficoltà a «mettere su famiglia» e la perdita di valori collettivi.
  • Due pacifisti e un generale

    Fascia di prezzo: da 3.99 € a 10.00 €
    Nelle Forze armate italiane c’è stata una rivoluzione. Non più soldati di leva, ma professionisti della sicurezza, non più solo uomini, ma anche donne, non più militari ignoranti e inconsapevoli, ma ragazze e ragazzi addestrati, colti e curiosi, esperti di tecnologie, desiderosi di girare il mondo e di capirlo. Vincenzo Camporini, capo di stato maggiore della Difesa, racconta a due giornalisti, che non hanno mai nascosto la propria adesione ai valori del pacifismo, tutte le tappe di questo percorso che non è solo organizzativo, ma culturale e ideologico. In questa lunga intervista si affrontano i grandi temi del nostro presente, dal dibattito su guerrieri o «soldati di pace», alla stessa idea di pace, di guerra, di disciplina, di gerarchia, di comando. Ci sono molte domande scomode, ma anche molte verità finora mai svelate. Per la prima volta un militare a capo dello stato maggiore della Difesa affronta senza reticenze i problemi delle nostre missioni internazionali, gli interventi in Iraq e Afghanistan, la relazione non sempre facile con il Palazzo e con i media, la guerra e la pace, le vittime civili, i rapporti col mondo umanitario e gli altri Paesi, l’esercito europeo e il cosiddetto «approccio italiano» fuori dai patrii confini. Ne esce il racconto inedito di un mondo in gran parte sconosciuto e anche una sorprendente predisposizione al dialogo che prefigura un nuovo ruolo delle Forze armate nella società italiana. Di cui solo gli addetti ai lavori si erano finora, e solo in parte, accorti.
  • Uno, doje, tre e quattro

    Fascia di prezzo: da 3.99 € a 10.00 €
    Viviana conosce solo Vincenzo. E anche Carmela. Vincenzo conosce Carmela e Viviana ma non Daniele, che non conosce nessuno dei tre. Eppure Viviana, Carmela, Daniele e Vincenzo scrivono un libro figlio di un blog figlio di un libro che detto così sembra il remake di «Apelle figlio di Apollo fece una palla di pelle di pollo». Il tutto senza trucco e senza inganno. Come è possibile? E, anche, perché? Le risposte in Uno, doje, tre e quattro, la storia di quattro @mici che diventano amici raccontando se stessi, le loro idee, le loro esperienze e le loro differenze – età, politica, studi, città, passioni, modi di pensare e di scrivere – attraverso le pagine di un blog. Il risultato? Un libro avvolgente, scritto con il linguaggio delle passioni e delle ragioni, nella zona di confine tra il «toccare» e il «taggare», proprio lì, sul bordo, tra il virtuale e il reale.
  • Fin dall’antichità, l’amianto è stato usato per scopi «magici» e «rituali». Una credenza popolare diceva che l’amianto fosse la «lana della salamandra», l’animale che per questo poteva sfidare il fuoco senza danno. Dalla leggenda alla tragedia di Casale Monferrato passano le migliaia di morti per amianto e la lunga battaglia per la giustizia condotta da lavoratori e cittadini di questa piccola comunità e frutto di un lavoro minuzioso di raccolta dati svolto dall’Inca Cgil per il riconoscimento delle malattie professionali.