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La Costituzione italiana ripudia la guerra. Eppure nell’ultimo decennio i conflitti bellici, ai quali l’Italia ha preso parte, sono aumentati con ritmo crescente. Fino alla recente missione militare in Afghanistan. Quali sono le ragioni dell’eclissi del dettato costituzionale? Come vengono prese le decisioni che hanno consentito in questi anni la partecipazione italiana alle nuove guerre? I bombardamenti americani possono essere considerati un’azione di legittima difesa? Quale sarà la sorte dei diritti costituzionali, oggi messi duramente alla prova dalle politiche di emergenza adottate in molti paesi occidentali? Che cosa è avvenuto a Guantanamo? Perché l’Onu è in crisi? Riproponendo i principali percorsi di riflessione del pensiero giuridico, il libro ricostruisce i vincoli posti dal diritto costituzionale interno e internazionale all’uso della forza, per poi affrontare alcuni nodi di carattere teorico indispensabili per comprendere la controversa natura delle nuove guerre: il richiamo alla guerra giusta, il rapporto tra guerra e diritti, il concetto di impero, il confronto tra la civitas maxima di Kelsen e il mondo pluriverso di Schmitt.
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Attraverso la tecnica degli interrogativi e delle risposte, il libro fornisce una informazione compiuta della"questione kurda", rintracciandone le radici storiche, politiche, culturali, e correggendo le molte distorsioni che anche il difficile reperimento di fonti affidabili è venuto via via producendo. La ricostruzione della storia politica del Kurdistan - assieme alla disamina della sua geografia, della sua economia, dell’origine del popolo kurdo, della sua lingua e della sua cultura - conduce così al bivio oggi più che mai aperto per la questione kurda: la realizzazione dell’indipendenza nazionale o, in alternativa, la continuazione del dominio turco, persiano e arabo su quel popolo e sul suo territorio diviso. Eppure dalla soluzione della questione kurda passa anche la realizzazione di molte delle condizioni necessarie per restituire stabilità e pace all’intero Medio Oriente, e per dare risposta a grandi problemi concreti dell’intera regione, come quelli relativi al crescente contrasto sulle fonti idriche rispetto al quale il Kurdistan, da dove scaturiscono i principali corsi d’acqua, ha un’importanza strategica. Questa esigenza appare oggi più avvertita in primo luogo fra le forze politiche dell’Europa, e molti sono anche i fattori nuovi, interni alla regione kurda e internazionali, che premono - com’è negli auspici dell’autore - per il rispetto dell’identità nazionale del popolo kurdo e del suo diritto all’autodeterminazione, per la realizzazione di un sistema politico democratico e pluralista di base e garanzia alla costituzione di uno Stato kurdo sovrano e indipendente.
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Poche discipline hanno avuto uno sviluppo rapido come quello della biologia contemporanea. La conseguenza è che si è compresa in pochi anni la natura del materiale genetico che determina l’essenza di tutti gli organismi viventi: il Dna. Ne conosciamo, quasi all’improvviso, la struttura, l’organizzazione, i meccanismi di autoriproduzione. Ne abbiamo compresa la qualità essenziale: quella di essere allo stesso tempo materia chimica inerte e materia vivente (il Dna si riproduce, si accresce, muore). La rapidità di queste scoperte ci ha impedito di acquisire fino in fondo consapevolezza che la natura degli organismi (e quella dell’organismo che ci interessa di più, l’Homo sapiens) è natura autocodificata, autogenita, autoreplicante. La lezione di libertà esistenziale che ne deriva, lungi dall’essere diventata patrimonio della cultura comune, non è ancora filtrata attraverso le coscienze. Entrambi i fatti (la autocodificazione e la mancanza di coscienza di questa autocodificazione) meritano una riflessione. Merita anche attenzione il fatto che, una volta decifrato il codice e capito come questo codice è fisicamente organizzato, l’Homo sapiens ha immediatamente iniziato a manipolarlo. Guardandoli con un minimo di prospettiva, suggerisce il libro, i dubbi, le moratorie, le proibizioni sembrano destinati a durare poco.
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Con il II Rapporto, l’Ires conferma l’impegno di procedere al costante monitoraggio sugli scenari e le dinamiche del lavoro e dell’impresa nel Mezzogiorno. Quest’area, pur sperimentando nel corso della seconda metà degli anni novanta una spinta propulsiva in grado di innescare una favorevole dinamica del Pil, non è riuscita a eliminare i fattori di debolezza strutturale che la caratterizzano (gravi carenze infrastrutturali, un insufficiente assetto produttivo, un minor grado di apertura al commercio internazionale e interno, una significativa presenza della criminalità organizzata e così via). La ripresa risulta oggi frenata sia da una congiuntura economica sfavorevole, sia dall’incapacità da parte dell’attuale governo di attuare una strategia in grado di produrre una svolta di qualità nel governo dell’economia. Nel realizzare il presente Rapporto l’autore si è posto due differenti obiettivi: da un lato, fornire un quadro sintetico delle principali tendenze economiche che hanno interessato il Mezzogiorno nel corso degli ultimi anni; dall’altro, fotografare - con l’ausilio dei principali dati statistici disponibili - l’assetto economico-produttivo attraverso il quale il Sud si dispone ad affrontare la sfida dell’ampliamento dell’Unione europea.
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La più ampia e rappresentativa raccolta d’arte spagnola degli anni sessanta presente in Italia si trova nella collezione d’arte della Cgil. All’inizio degli anni sessanta, infatti, il movimento sindacale italiano rilancia con grande forza la propria azione di solidarietà con le lotte dei lavoratori spagnoli contro il franchismo e per la democrazia nel loro paese. Ed è in quel clima, fervido di impegni e di iniziative, che insieme a Rafael Alberti, Pablo Picasso e Josè Ortega, Cgil Cisl e Uil organizzano a Milano e Bologna una grande mostra d’arte di solidarietà, Amnistìa - Que trata de Espana, realizzata con le opere donate dai maggiori artisti spagnoli. In occasione di quell’iniziativa si crea anche la raccolta d’arte spagnola della Cgil e delle Camere del lavoro di Milano e Bologna, presentata ora nella mostra Que trata de Espana, promossa dalla Cgil e dall’Ambasciata spagnola, presso l’Accademia di Spagna in Roma. Il catalogo della mostra riproduce in quarantotto pagine a colori tutte le opere della collezione Cgil, fra cui quelle di Juan Genovès, Equipo Crònica, Eduardo Urculo, Pablo Serrano, Vaquero Turcios, Amalia Avia, Carlos Mensa e Luis Gordillo. Presentato da Josè de Carvajal, ambasciatore di Spagna, da Sergio Cofferati, segretario generale della Cgil, e da Felipe V. Garìn Llombart, direttore dell'Accademia di Spagna in Roma, è arricchito da un testo critico di Felipe Garin e Facundo Tomàs. Completano l'opera la ricostruzione, curata da Luigi Martini, della formazione della raccolta d'arte spagnola della Cgil e le schede dei quarantotto artisti presenti in mostra.
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Lavoro e conflitto sociale sono stati i terreni su cui, a partire dalla propria condizione, le lavoratrici e i lavoratori hanno costruito percorsi di affermazione di diritti e poteri degli uomini e delle donne all’interno del lavoro e fuori di esso, e hanno messo in campo un punto di vista autonomo sulla società fondato sulla solidarietà e l’uguaglianza. Questo è stato, a fronte della crisi del liberalismo ottocentesco, il passaggio decisivo, su cui si è venuto storicamente misurando il tema della democrazia di massa e dei diritti in una società di diseguali. La nascita, l’affermazione e il ruolo del sindacato costituiscono parte fondamentale di questo percorso storico. Il territorio di Reggio Emilia, attraverso i suoi lavoratori e lavoratrici, mediante l’azione del movimento sindacale, ha preso parte a questa storia con particolare rilievo e continuità (dalle origini alle lotte del primo dopoguerra, dalla Resistenza al secondo dopoguerra, dal 7 luglio 1960 alla fase di lotte tra la fine degli anni sessanta e gli anni settanta). Rivisitarne gli svolgimenti con particolare attenzione al lavoro, alle lotte sociali e al ruolo del sindacato vuole essere un contributo a una rilettura storica più generale, che sappia favorire la riflessione sul presente e sul futuro. Sono oggi infatti in atto processi e orientamenti che, nel tentare di ridurre il lavoro a pura merce e nel negargli quindi valore autonomo quale base di un’identità collettiva e solidale, mettono in discussione il fondamento decisivo degli stessi processi democratici.
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Lavoro e conflitto sociale sono stati i terreni su cui, a partire dalla propria condizione, le lavoratrici e i lavoratori hanno costruito percorsi di affermazione di diritti e poteri degli uomini e delle donne all’interno del lavoro e fuori di esso, e hanno messo in campo un punto di vista autonomo sulla società fondato sulla solidarietà e l’uguaglianza. Questo è stato, a fronte della crisi del liberalismo ottocentesco, il passaggio decisivo, su cui si è venuto storicamente misurando il tema della democrazia di massa e dei diritti in una società di diseguali. La nascita, l’affermazione e il ruolo del sindacato costituiscono parte fondamentale di questo percorso storico. Il territorio di Reggio Emilia, attraverso i suoi lavoratori e lavoratrici, mediante l’azione del movimento sindacale, ha preso parte a questa storia con particolare rilievo e continuità (dalle origini alle lotte del primo dopoguerra, dalla Resistenza al secondo dopoguerra, dal 7 luglio 1960 alla fase di lotte tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70). Rivisitarne gli svolgimenti con particolare attenzione al lavoro, alle lotte sociali e al ruolo del sindacato vuole essere un contributo ad una rilettura storica più generale, che sappia favorire la riflessione sul presente e sul futuro. Sono oggi infatti in atto processi e orientamenti che, nel tentare di ridurre il lavoro a pura merce e nel negargli quindi valore autonomo quale base di un’identità collettiva e solidale, mettono in discussione il fondamento decisivo degli stessi processi democratici. Contributi di: Baldissara, Bergamaschi, Canovi, De Bernardi, Pepe.
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La vicenda ormai più che secolare delle Camere del lavoro si muove tra due poli di riferimento costanti: la difesa delle condizioni economiche e normative dei lavoratori e la tensione politica verso un rinnovamento radicale del mondo del lavoro e della società. Il rapporto che lega le due componenti costituisce probabilmente il motivo più profondo per cui si radica e sopravvive con tanta vitalità nella società italiana l’istituzione camerale, della quale neppure l’esperienza totalitaria del fascismo riuscì a cancellare l’impronta e il ricordo di massa. Sul territorio modenese la presenza della Camera del lavoro ha accompagnato, con la sua capacità di guidare il conflitto e di promuovere la mediazione, una vicenda complessa ed esemplare: dal mondo rurale della fine dell’Ottocento all’odierna realtà, che vede sulla scena un sistema industriale considerato per molti aspetti un modello originale e vitale. Trasformazioni graduali e rotture traumatiche hanno sollecitato i sindacati, i loro iscritti e i quadri dirigenti a elaborare interpretazioni e strategie politiche variate e complesse, su cui è necessario riflettere per comprendere una componente essenziale del mondo contemporaneo.
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La disoccupazione in Italia è più alta rispetto ad altri paesi europei e agli Stati Uniti. Ma non è tanto questo a caratterizzare il mercato del lavoro italiano, quanto le caratteristiche strutturali della disoccupazione che fanno emergere alcune specificità nazionali. Gli uomini di mezza età, coniugati, con figli, con medio livello di istruzione e residenti nel Centro-Nord costituiscono nel loro insieme una categoria sociale senza problemi di occupazione, poiché i disoccupati in Italia sono soprattutto giovani, donne e residenti nel Mezzogiorno. Quali politiche attive è dunque opportuno sviluppare per aumentare il livello di occupazione delle donne, dei giovani e nelSud, e in quali settori produttivi? E fino a che punto è possibile aumentare l’occupabilità in tali settori, tenuto conto del costo del lavoro? La questione dell’occupazione non può essere separata, secondo l’autore, dagli assetti del welfare state in quanto entrambi investono due bisogni sociali fondamentali, il lavoro e la qualità della vita. Questi sono i principali temi affrontati nel saggio e nei contributi presenti nel testo. Contributi di Giuseppe Casadio, Luigi De Vittorio, Gabriella Poli, Gianni Principe.