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Nelle Forze armate italiane c’è stata una rivoluzione. Non più soldati di leva, ma professionisti della sicurezza, non più solo uomini, ma anche donne, non più militari ignoranti e inconsapevoli, ma ragazze e ragazzi addestrati, colti e curiosi, esperti di tecnologie, desiderosi di girare il mondo e di capirlo. Vincenzo Camporini, capo di stato maggiore della Difesa, racconta a due giornalisti, che non hanno mai nascosto la propria adesione ai valori del pacifismo, tutte le tappe di questo percorso che non è solo organizzativo, ma culturale e ideologico. In questa lunga intervista si affrontano i grandi temi del nostro presente, dal dibattito su guerrieri o «soldati di pace», alla stessa idea di pace, di guerra, di disciplina, di gerarchia, di comando. Ci sono molte domande scomode, ma anche molte verità finora mai svelate. Per la prima volta un militare a capo dello stato maggiore della Difesa affronta senza reticenze i problemi delle nostre missioni internazionali, gli interventi in Iraq e Afghanistan, la relazione non sempre facile con il Palazzo e con i media, la guerra e la pace, le vittime civili, i rapporti col mondo umanitario e gli altri Paesi, l’esercito europeo e il cosiddetto «approccio italiano» fuori dai patrii confini. Ne esce il racconto inedito di un mondo in gran parte sconosciuto e anche una sorprendente predisposizione al dialogo che prefigura un nuovo ruolo delle Forze armate nella società italiana. Di cui solo gli addetti ai lavori si erano finora, e solo in parte, accorti.
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Viviana conosce solo Vincenzo. E anche Carmela. Vincenzo conosce Carmela e Viviana ma non Daniele, che non conosce nessuno dei tre. Eppure Viviana, Carmela, Daniele e Vincenzo scrivono un libro figlio di un blog figlio di un libro che detto così sembra il remake di «Apelle figlio di Apollo fece una palla di pelle di pollo». Il tutto senza trucco e senza inganno. Come è possibile? E, anche, perché? Le risposte in Uno, doje, tre e quattro, la storia di quattro @mici che diventano amici raccontando se stessi, le loro idee, le loro esperienze e le loro differenze – età, politica, studi, città, passioni, modi di pensare e di scrivere – attraverso le pagine di un blog. Il risultato? Un libro avvolgente, scritto con il linguaggio delle passioni e delle ragioni, nella zona di confine tra il «toccare» e il «taggare», proprio lì, sul bordo, tra il virtuale e il reale.
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La crisi italiana di oggi, prima ancora di essere economica, sociale, morale, investe il significato stesso del valore unitario nazionale. In questa ottica il federalismo fiscale potrebbe rappresentare l’occasione per dare risposte ai gravi problemi derivanti dai sempre più acuti squilibri territoriali, per rilanciare l’Italia nello scenario geopolitico sempre più globalizzato e deregolato. Un federalismo fiscale fortemente ancorato ai principi della Costituzione e che sappia rimettere al centro dell’azione di ognuno di noi il valore della responsabilità pubblica, indispensabile per qualificare il senso di una partecipazione democratica tesa ad includere piuttosto che ad emarginare. Unire e non dividere, quindi, per ricomporre i tasselli di un mosaico evitando di perderne qualcuno: se riusciremo a trovare le ragioni dello «stare assieme» avremo reso un buon servizio alle nuove generazioni. Il volume raccoglie le opinioni di giuristi, economisti, sindacalisti e dei vertici della Commissione parlamentare bicamerale per il federalismo fiscale, per un approfondimento tecnico e politico animato da spirito di conoscenza, presupposto necessario per l’assunzione di decisioni responsabili e ragionate. Saggi e contributi di: Susanna Camusso, Marco Causi, Enrico La Loggia, Giorgio Macciotta, Mariella Maggio, Gianliborio Mazzola, Guido Rivosecchi, Gianfranco Viesti.
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Fin dall’antichità, l’amianto è stato usato per scopi «magici» e «rituali». Una credenza popolare diceva che l’amianto fosse la «lana della salamandra», l’animale che per questo poteva sfidare il fuoco senza danno. Dalla leggenda alla tragedia di Casale Monferrato passano le migliaia di morti per amianto e la lunga battaglia per la giustizia condotta da lavoratori e cittadini di questa piccola comunità e frutto di un lavoro minuzioso di raccolta dati svolto dall’Inca Cgil per il riconoscimento delle malattie professionali.
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Il libro raccoglie oltre 100 annunci di lavoro in vignette umoristiche e ironiche. Le protagoniste sono donne in cerca di lavoro. Cuoche e dirigenti, suore e filosofe, avvocate e rapinatrici, tutte desiderano qualcosa che c’è e non c’è, e che nel frattempo contribuiscono a creare: una musica nuova, una vita a loro misura, un’imprevista libertà. Questa è la loro lotta. Annunci di lavoro riprende il filo di La Bella Addormentata fa il turno di notte. Il libro è accompagnato da un dvd con tre videodi vignette e musica, utili come intervallo divertente anche per riunioni e convegni.
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Il 7 febbraio 2007 il Parlamento italiano ha dato attuazione alla direttiva 2002/14/CE in materia di diritti di informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese con più di 50 dipendenti, che stabilisce regole chiare ed uniformi per il sistema di relazioni industriali. Nel volume si effettua una dettagliata disamina giuridica della nuova disciplina, contestualizzandola nell’articolato sistema partecipativo elaborato dal diritto sociale comunitario. Un’occasione per ripensare il tema della democrazia industriale, da sempre al centro delle analisi e delle rivendicazioni del movimento sindacale. Ma in che misura il diritto della UE offre oggi una strumentazione adeguata per far fronte alle nuove sfide imposte dalla competizione globale? E in Italia abbiamo recepito adeguatamente le nuove opportunità disposte dal legislatore europeo o siamo in presenza di un’altra occasione mancata di sviluppare un sistema forte di relazioni industriali, incentrate sul valore e sulla prassi della democrazia industriale? È di questo che trattano i contributi contenuti nel volume, curati da giuristi del lavoro e delle relazioni industriali. Un libro utile per studiosi di queste materie e per quanti – nel loro lavoro di rappresentanza e negoziazione – sperimentano la valenza dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori nell’impresa. Il volume è completato dalle normative comunitarie e da una rassegna della giurisprudenza europea in materia.
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Il PIL, che per ottant’anni ha influenzato le scelte di organi e governi mondiali, e quindi la vita quotidiana di ogni singolo cittadino, è sempre più lontano dal costituire un buon misuratore del benessere. Ma come sostituirlo? Con un altro indicatore tuttofare? Con una batteria di indicatori? E come si può fare questa scelta se non si definisce cos’è il benessere nella società di oggi? E ancora, si può far uscire il dibattito dalla cerchia degli addetti ai lavori facendovi partecipare anche i comuni cittadini? Non si tratta soltanto di scegliere nuovi indicatori, ma di decidere quale modello di sviluppo si vuole per il futuro e, di conseguenza, come orientare e misurare tale mutazione. Il libro si cimenta con questo problema, anche esaminando le diverse sperimentazioni in corso nel mondo, e conclude con la necessità di migliorare il calcolo del PIL come «indicatore della quantità e della qualità della produzione», affiancando ad esso altri due macroindicatori, uno della «qualità ambientale» e uno della «qualità sociale». Tutto viene esposto in un linguaggio semplice e scorrevole, con testi accessibili e snelli, con illustrazioni che rendono la lettura piacevole e divertente senza nulla togliere al rigore dell’analisi e delle proposte.
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Si avverte a sinistra un bisogno di ricostruzione. Per questo occorre innanzitutto riavvicinarsi a Marx e cogliere il contributo del suo pensiero ai movimenti di trasformazione sociale. Nella prima parte del volume, di carattere propriamente divulgativo, Mario Boyer espone i principi fondamentali del pensiero marxiano ed evidenzia le radicali differenze tra questo e le tesi dei neoclassici, che costituiscono ancora oggi il quadro concettuale di riferimento del pensiero economico dominante. Gianni Di Cesare approfondisce il concetto di «accumulazione primitiva», mediante il quale il pensatore tedesco decostruiva i miti fondativi della classe borghese capitalista e la sua immagine progressista. Nella seconda parte il saggio di Michele Citoni e Catia Papa offre uno spunto di carattere storiografico per valutare la fecondità della tradizione politica marxista italiana: il tema del rapporto tra marxismo ed ecologia è affrontato attraverso la ricostruzione delle relazioni, conflittuali ma ricche, tra la crescente sensibilità ambientale e i diversi soggetti della sinistra marxista nell’Italia degli anni Sessanta-Settanta. Se pure in Italia il pensiero marxiano è stato accantonato frettolosamente in favore dell’ideologia mercatista, le sfide innescate dalle crisi contemporanee, evocate nell’Appendice, mostrano la necessità di sperimentare nuove strade senza smarrire le fonti. Con un saggio di Michele Citoni e Catia Papa.
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Il luglio ’60 rappresentò un momento di grave crisi della democrazia italiana in cui si rivelarono le contraddizioni e i conflitti di un paese che si stava tumultuosamente modernizzando. L’esaurimento del centrismo come formula politica e il difficile approdo al centro-sinistra produssero una situazione di impasse che si risolse solo con l’appoggio missino al governo Tambroni. La decisione di autorizzare il congresso del MSI a Genova e la dura repressione delle manifestazioni antifasciste che si ebbero nel paese portarono a uno stato di guerra civile strisciante. Furono dieci i morti e uno di questi, Salvatore Novembre, venne ucciso a Catania: la morte di un edile da poco immigrato nel centro urbano dalla provincia fu la drammatica rappresentazione di una città che si stava espandendo caoticamente, ma che frustrava, nelle sue periferie degradate, le aspettative diffuse di benessere. Questo breve saggio ricostruisce quelle vicende riflettendo sui limiti di un sistema politico bloccato dalle dinamiche della guerra fredda e sui nuovi linguaggi della politica che da Sud a Nord si manifestarono in quelle settimane.
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Un ragazzo di Hong Kong che studia belle arti a Milano, una giovane ciclista lituana alle prese con l’umorismo toscano, una bambina cilena sbarcata nella Roma degli anni ottanta, un uomo camerunense che realizza il sogno di costruirsi una casa in patria: sono alcune delle storie riunite in questa breve raccolta, raccontate con stili diversi e unite dal filo rosso dell’ironia. Quattordici giornalisti di origine straniera firmano questo omaggio collettivo all’autore delle Lettere persiane. Alcuni, i più giovani, sono nati o cresciuti qui, altri sono arrivati già adulti. Come Montesquieu, hanno immaginato dei personaggi, più o meno autobiografici, che raccontano le loro impressioni sull’Italia ad amici o parenti. E ci ricordano l’importanza di aprirsi a nuovi sguardi sul mondo in cui viviamo. Gli autori: Farid Adly, Ejaz Ahmad, Ismail Ali Farah, Lubna Ammoune, Mayela Barragan, Paula Baudet Vivanco, Domenica Canchano, Alen Custovic, Raymon Dassi, Darien Levani, Gabriela Pentelescu, Edita Pucinskaite, Sun Wen-Long, Akio Takemoto. Illustrazioni di Zerocalcare.
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Il Piano del lavoro fu la risposta della CGIL all’isolamento imposto alla maggiore organizzazione dei lavoratori dal contesto politico italiano e internazionale nei primi durissimi anni della guerra fredda. Con questa proposta il sindacato seppe coniugare l’aspirazione al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di disoccupati con una visione innovativa dell’economia grazie alla collaborazione tra i suoi dirigenti, primi fra tutti Giuseppe Di Vittorio e Vittorio Foa, e alcuni tra i più brillanti economisti eterodossi che nei dieci anni successivi alla Liberazione rinnovarono profondamente il profilo degli studi italiani, soprattutto alla luce delle nuove teorie keynesiane. Il Piano fu accolto con ostilità sia dall’ambiente accademico, fortemente ancorato all’insegnamento liberista marginalista di Pareto, sia dalla maggioranza degasperiana, che nell’espansione del settore pubblico vedeva una minaccia alla stabilizzazione economica messa in atto negli anni precedenti con misure draconiane. Rigettato come impossibile da realizzare, il Piano ebbe comunque il merito di imporre nel dibattito pubblico nuovi temi di politica economica, sostenendo la necessità di un intervento dello Stato attraverso la creazione delle infrastrutture, sociali e materiali, indispensabili per sviluppare un’economia moderna e per superare i terribili squilibri che laceravano la giovane Repubblica italiana.