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Imprenditori immigrati e attivismo sociale a Napoli
Attraverso metodologie di ricerca empirica qualitativa, l’articolo descrive una parte della realtà imprenditoriale a trazione migrante nella città di Napoli, riportando il caso di due imprese di origine africana che nascono da una precedente esperienza di impegno sociale dei loro imprenditori. Lo studio intende evidenziare il passaggio dall’attivismo sociale a forme di imprenditoria immigrata giudicate significative per l’impatto che esse generano nelle comunità immigrate e nella società napoletana. I risultati suggeriscono l’esistenza di dinamiche trasformative nel tessuto imprenditoriale straniero a Napoli. Man mano che il processo di integrazione si compie e diviene più profondo, al crescere del capitale sociale che i migranti africani costruiscono a Napoli, essi sembrano affrancarsi da un mercato del lavoro che richiede prevalentemente manodopera a basso costo, spesso sommerso nell’economia informale, per divenire imprenditori di se stessi, attori di sviluppo, protagonisti di una trasformazione personale e sociale al tempo stesso, dimostrando la propria agency e chiedendone il riconoscimento da parte della società e delle istituzioni cittadine.
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Archivio dei bambini perduti: genealogia, migrazione e servizi per la tutela del minore
L’analisi dei legami familiari nella migrazione rivela che cosa stia diventando oggi la genitorialità in Europa. L’intrusione dello sguardo burocratico e assistenziale in questi legami familiari mostra la sua magia socio-politica (l’espressione è di Abdelmalek Sayad): una magia mediata il più delle volte dall’uso di un lessico medicalizzante e patologizzante, attraverso cui si «disfano» dei rapporti per «farne» altri inediti. L’adozione è per i bambini figli di immigrati uno strumento giuridico di rapido accesso alla cittadinanza italiana e rischia di diventare (o di essere già) un inquietante dispositivo di rimozione sociale rispetto alle genealogie della genitorialità immigrata, in una perturbante continuità con quanto già accaduto nelle colonie e, ancor prima, durante la nascita stessa degli Stati moderni e nel corso del loro consolidamento. A partire da queste premesse, il lavoro diventa anche un’opportunità per tornare a riflettere sulle politiche dell’infanzia e su come la «questione culturale» venga oggi posta in quei servizi sociosanitari preposti alla tutela e al sostegno di nuclei familiari immigrati in difficoltà.
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Famiglie migranti e servizi: rappresentazioni e pratiche
Attraverso le prospettive dell’investimento sociale e delle culture sulla «buona» genitorialità l’articolo esplora barriere e sfide professionali del rapporto tra genitori migranti e operatrici di nidi d’infanzia e Centri famiglie. Attingendo a questionari somministrati ai Centri famiglie del Piemonte, a interviste a testimoni qualificati e a padri e madri da Marocco, Tunisia, Perù e Romania, l’articolo analizza in particolare quali siano le rappresentazioni e le pratiche di conciliazione di famiglie migranti con figli in età prescolare. In un contesto di carenza di investimenti sociali, i genitori migranti incontrano numerosi ostacoli nell’usufruire dei servizi considerati, perché con posizioni e condizioni nel mercato del lavoro difficili e perché a confronto con rappresentazioni di (non) adeguatezza genitoriale da parte dei servizi. Le operatrici evidenziano altresì diverse aree di criticità legate alla complessità dei bisogni di queste famiglie, al lavoro di rete con altri enti pubblici o privati, e alle esigenze formative.
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Diversità famigliari e diritti dei bambini. Famiglie omogenitoriali e migranti nei nidi d’infanzia e nella scuola
L’articolo si concentra sulle disuguaglianze che in Italia incontrano le famiglie omogenitoriali e migranti nell’accesso e nel coinvolgimento nei nidi e nelle scuole per l’infanzia e primarie, dando voce a bambini e adulti. I risultati mostrano, da un lato, come modelli normativi di famiglia, genitorialità e infanzia prevalenti nelle istituzioni educative influenzino la relazione tra famiglie e servizi e l’inclusione dei bambini e, dall’altro, quali condizioni istituzionali favoriscano cambiamenti volti al riconoscimento delle diversità famigliari. L’approccio centrato sui bambini invita a focalizzare l’attenzione sulla qualità dei servizi e non solo su copertura e diffusione dei medesimi.
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Professioni educative, sanitarie e sociali di fronte alle famiglie omogenitoriali: dai modelli ideali alle pratiche
In Italia, non vi è ancora il pieno riconoscimento giuridico e sociale dei genitori omosessuali e dei loro figli e le competenze degli operatori e la configurazione dei servizi possono costituire una risorsa importante per sostenere la genitorialità di donne lesbiche e uomini gay e il benessere di adulti e bambini/e. A partire da una ricerca qualitativa esplorativa nell’ambito del progetto europeo Doing Right(s), l’articolo indaga le rappresentazioni della genitorialità omosessuale di operatori e operatrici in ambito sanitario, sociale ed educativo, e analizza come e in che misura queste rappresentazioni danno forma all’incontro tra professionisti/e e famiglie aprendo spazi più o meno efficaci di inclusione e riconoscimento. I dati presentati permettono anche di delineare degli elementi utili per ridisegnare le condizioni istituzionali per l’inclusione dei genitori omosessuali e dei loro figli nei servizi.
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Introduzione. Cambiano le famiglie, cambiano le istituzioni?
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Il rapporto padri e figli dopo la separazione: l’istruzione della madre conta?
Gli studi sulla relazione tra padri e figli dopo la separazione suggeriscono che le caratteristiche delle madri, in particolare l’istruzione, siano fattori chiave. Infatti, l’istruzione è un indicatore sia di valori e credenze «moderne» sia di maggiore autonomia economica femminile che tendono a ridurre le tensioni e il maternal gatekeeping dopo la separazione. Utilizzando i dati dell’indagine Famiglia e soggetti sociali condotta dall’Istat nel 2009, viene esplorato quanto frequentemente i padri separati vedano i loro figli minori e quale sia il ruolo del livello di istruzione della madre. L’Italia è un contesto interessante poiché, rispetto ad altri paesi europei, mostra ancora come sia il titolo di studio a guidare comportamenti e atteggiamenti «innovativi» e, inoltre, la legge sulla custodia condivisa è stata introdotta solo nel 2006. I risultati indicano che, controllando per status occupazionale, percezione delle proprie condizioni economiche, età dei figli, presenza di un nuovo partner e vicinanza con ex partner e con i nonni materni, il titolo di studio della madre ha un impatto significativo. Tuttavia, contrariamente alle aspettative, le donne con un livello di istruzione terziaria e secondaria mostrano lo stesso tasso di visite padre-figlio, mentre sono quelle con solo la licenza media ad avere figli con scarsi contati coi padri dopo la separazione.
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Genitori e figli dopo la separazione: il ruolo dei servizi per le famiglie
L’articolo intende dare un contributo sul tema della genitorialità e della sua «condivisione» dopo la separazione, attraverso l’analisi del rapporto tra servizi e famiglie. L’attenzione è rivolta alle attività fornite dai servizi che sono più direttamente preposti a offrire supporto nei casi di crisi familiare, come i centri famiglia e più in generale i servizi sociali territoriali. Adottando un approccio multi-attore e attraverso le prospettive della Street level bureaucracy e del Discursive institutionalism, e attingendo a interviste e focus group condotti sia con le famiglie che con gli/le operatori/trici, l’articolo ricostruisce i «discorsi» e le pratiche di «buona» genitorialità che i servizi e i genitori separati co-producono. In particolare, nel rapporto fra servizi e famiglie sembra consolidarsi un discorso sul good divorce nel quale il conflitto è fortemente stigmatizzato e solo il benessere dei figli è posto al centro.
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RPS N. 1/2020
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La lunga marcia delle 150 ore
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3. L’esperienza dei Consigli di gestione all’Olivetti
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Fecondità delle italiane e immigrazione straniera in Italia: due leve alternative o complementari per il riequilibrio demografico?
La popolazione italiana ha strutture e comportamenti demografici che richiedono rapidi e consistenti riequilibri: può un’immigrazione controllata contribuire a risolverli, oppure può bastare una sensibile ripresa della fecondità delle donne italiane? Attraverso esercizi di simulazione, estesi da qui a 50 anni, si sono cercate le combinazioni più efficaci tra flussi annui d’immigrazione straniera e livelli di fecondità delle italiane per mantenere il più possibile stabili nel tempo alcuni aggregati demografici significativi o la struttura della popolazione. I risultati mostrano come sia necessario utilizzare la doppia leva della ripresa della fecondità e della gestione di un’immigrazione annua numericamente significativa. Nel paragrafo conclusivo si sottolinea come ciò non sia affatto semplice, richiedendo l’adozione di una molteplicità di regole, dispositivi e azioni complesse, che è però necessario mettere in campo se si vuole garantire un futuro alle nuove generazioni e alla società italiana.
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