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Se non ci fossero state le donne, in questa nostra Repubblica, se non ci fossero state le loro tenaci battaglie di emancipazione e liberazione – condotte attraverso un intreccio fecondo di iniziative delle associazioni, dei movimenti, dei partiti, delle istituzioni –, l’Italia sarebbe oggi un Paese molto più arretrato e molti articoli della Costituzione non sarebbero stati applicati. Questo debito che l’Italia ha nei confronti delle donne lo racconta in modo inedito questo libro scritto e curato dalle volontarie della Fondazione Nilde Iotti. Lo fa illustrando in modo rigoroso e semplice le tappe ed i contenuti delle conquiste legislative dall’inizio della Repubblica alla conclusione dell’ultima legislatura, che hanno cambiato la vita delle donne e l’assetto economico, sociale e culturale del nostro Paese. Il libro rammenta la battaglia per il diritto di voto e le «madri della nostra Repubblica», le donne elette nell’Assemblea Costituente, che diedero un contributo rilevante alla stesura della Costituzione. Sono citati gli articoli che più hanno favorito il cambiamento nella vita delle donne. Segue poi il racconto delle leggi con uno schema che ne indica la scansione in ordine cronologico dal 1950 al 2012, a cui si connettono le schede che ne illustrano i contenuti. Lo sguardo della battaglia delle donne è oggi e sempre più sarà quello europeo. Per questo il libro si conclude con una rassegna delle tappe e dei provvedimenti più significativi adottati dall’Unione Europea. Le autrici Daniela Carlà, Tiziana Casareggio, Eleonora Cicconi, Marina Costa, Silvia Costa, Paola Gaiotti De Biase, Vanda Giuliano, Donata Gottardi, Rosa Jervolino Russo, Grazia Labate, Marisa Malagoli Togliatti, Claudia Mancina, Francesca Marinaro, Elena Marinucci, Vaifra Palanca, Rita Palanza, Daniela Piccione, Francesca Russo, Alessandra Tazza, Livia Turco.
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Il libro è risultato tra i finalisti del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2014 Il libro affronta un aspetto poco indagato del fenomeno migratorio: la gestione e il funzionamento, in Italia e in Europa, dei Centri di detenzione amministrativa per migranti irregolari in attesa di espulsione. Vengono presentate le motivazioni originarie dell’istituzione dei Centri di trattenimento per stranieri come strumento di contrasto all’immigrazione irregolare, facendo riferimento alle politiche migratorie europee, nonché al dibattito creatosi intorno agli accordi di Schengen e al rapporto tra libertà e sicurezza nella costruzione dell’Unione Europea. Le ragioni della creazione dei Centri e il loro scopo sono sostanzialmente comuni ai diversi Stati europei, ma le modalità di realizzazione e di organizzazione sono specifiche di ogni contesto nazionale. L’analisi si concentra poi sul caso italiano per cogliere le caratteristiche strutturali del complesso dei CIE, soffermandosi sulle modalità del loro funzionamento, sulle condizioni di vivibilità interne, sulle principali criticità del fenomeno e sull’efficacia dello strumento di detenzione amministrativa a fini espulsivi. Su questi aspetti si procede ad una comparazione con alcuni paesi europei, in particolare la Francia e la Gran Bretagna. Il libro si chiude affrontando la questione dell’utilità dei Centri nel rendere effettiva la politica che ha portato alla loro istituzione. Ci si chiede cioè se servano davvero a disincentivare gli stranieri irregolari dal permanere sul territorio nazionale, se, in termini di costi economici e umani, convengano allo Stato e se esistano alternative al loro utilizzo.
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Entrare in quel gran cantiere mai chiuso che è la vita di Pietro Ingrao è atto temerario, ma pure necessario, se si vuol cogliere il senso di molte cose italiane. Ricorro alla parola «vita», e non «scritti» o «opera», perché davvero vi è un tutt’uno di azione politica e di riflessione teorica, di curiosità intellettuale e di introspezione poetica. Per esperienza diretta, posso aggiungere che proprio questo sfaccettarsi, questo arricchire ininterrottamente esperienza e presenza pubblica, ha indotto più d’uno, nelle occasioni più diverse, a costruirsi un «suo» Ingrao. Cosa che, per un verso, può divenire o apparire come una incapacità di fare i conti con una figura complessa; ma, al tempo stesso, esprime pure un bisogno di identificazione, al di là di quelli che possono essere dissensi o distanze. Questo libro propone un Ingrao che non s’interroga soltanto sul lavoro, ma da qui parte per riconoscere e ricostruire un insieme di nessi che, indicati appunto dalla dimensione del lavoro, impongono poi di guardare alla collocazione sociale della persona, e alla sua stessa vita. Il lessico è rivelatore, non abituale negli anni in cui questi scritti comparvero: basta l’insistito riferirsi alla dignità. (dal saggio di Stefano Rodotà) C’era un tempo nel quale a sinistra il lavoro veniva sempre prima di tutto senza che ciò suscitasse clamore o divisione. Anzi, il lavoro è sempre stato un valore specifico e unitario di tutta la sinistra, una sua ragion d’essere. In Italia, a partire dal dopoguerra, il lavoro e i lavoratori hanno visto crescere il loro peso grazie all’aumento dei salari, dei diritti, del welfare, della democrazia sostanziale. Con l’affermarsi del neoliberismo, però, dalla fine degli anni Settanta, il lavoro, con tutte le sue implicazioni, viene pesantemente sconfitto. Questo volume raccoglie le riflessioni di Pietro Ingrao sul tema del lavoro proprio in quest’epoca. A partire dal famoso discorso pronunciato da Presidente della Camera alle Acciaierie di Terni, per i trent’anni della Costituzione, fino alle trasformazioni che hanno caratterizzato il lavoro a fine secolo, passando per lo sciopero della FIAT nel 1980 e gli anni del riflusso, l’insieme di scritti e discorsi di Pietro Ingrao qui presentati, a distanza di anni, mostra ancora tutta la sua valenza analitica e anche profetica.
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Arvedo Forni, nato nel 1919 a San Giovanni in Persiceto, è stato per cinquanta anni militante e dirigente della CGIL; segretario della Federterra e poi della Camera del lavoro di Bologna, segretario della FILLEA-CGIL, membro della segreteria confederale, vicepresidente dell’INPS e infine segretario generale dello SPI. Nel raccontare la propria storia, Forni ha scelto deliberatamente di soffermarsi su alcune vicende esemplari compiendo una selezione severa degli avvenimenti vissuti da protagonista. Lo ha fatto ad oltre novanta anni lasciando emergere la sua caratteristica più peculiare: quella di uomo completamente immerso nel lavoro sindacale e politico. Accanto alla storia del militante vi sono solo i ricordi delle origini contadine e della fatica dei primi lavori, degli anni del fascismo e della guerra. L’esperienza nella CGIL e nel PCI iniziata all’indomani della Liberazione – e proseguita nel sindacato lungo tutta la storia dell’Italia repubblicana sino agli anni novanta – viene raccontata pensando esclusivamente alla storia collettiva e ai grandi problemi nazionali senza tralasciare i riferimenti alle singole personalità che hanno segnato la sua formazione: da Arturo Colombi ad Agostino Novella, da Giuseppe Dozza a Giuseppe Di Vittorio. Con la collaborazione di Giaime Moser.
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Il collegamento tra il mondo dell’istruzione e il mondo del lavoro è sempre stato tanto importante quanto problematico. Ne è testimonianza il recente tentativo di svilire il sistema universitario e, più in generale, di istruzione legandolo unicamente ai paradigmi dell’attuale sistema di sviluppo. Non è sufficiente però combattere questo tentativo ma occorre invece proporre una nuova visione che possa realmente valorizzare le conoscenze come punto centrale dei modelli di sviluppo del paese e quindi del mondo del lavoro. Il sindacato può aprire uno sbocco positivo, motivare le persone e lottare insieme per un futuro più degno, ma per farlo deve avanzare proposte credibili e realizzabili sia in termini di contrasto agli abusi, sia di revisione dell’impianto legislativo e, soprattutto, deve coinvolgere gli studenti, i giovani e i professionisti in percorsi concreti di conquista di nuove condizioni durante il periodo formativo, nonché di contrattazione collettiva nella fase d’ingresso nel lavoro perseguendo l’obbiettivo di allargare il campo dei diritti e delle tutele a tutti i lavoratori e le lavoratrici. Per questo la CGIL, assieme all’UDU e alla Rete degli Studenti, propone questa guida per dare un’idea del mondo del lavoro professionale che consenta di leggerne anche i limiti e le contraddizioni oltre che, naturalmente, per dare informazioni utili, suggerimenti di tutela e proposte di azione comune per cambiare ciò che non va. Il libro è a cura di: Area Contrattazione CGIL, Unione degli Universitari e Rete degli Studenti.
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In questo volume, corredato di numerose tavole esplicative a colori, viene illustrato il «Manifesto per la buona finanza» elaborato dalla FISAC, il sindacato dei lavoratori del credito della CGIL, e con la collaborazione dall’Area sviluppo della CGIL nazionale. Il Manifesto si articola in sette proposte fondamentali per riportare le banche al servizio del paese dando la priorità assoluta agli obiettivi della crescita, del lavoro e dell’uguaglianza. Discriminante per l’elaborazione delle sette proposte del Manifesto è stata la scelta compiuta dalla CGIL di una terapia anticrisi centrata sul Piano del lavoro, all’insegna di un progetto per la ricostruzione del paese che rappresenta la via maestra per indurre l’indispensabile cambiamento della politica economica in Europa e in Italia. Una delle condizioni per dare concretezza al Piano del lavoro, insieme agli investimenti pubblici, consiste nel riavviare il motore del credito e della finanza per fare ripartire gli investimenti privati nell’industria, nel turismo, nell’ambiente e nei servizi, grazie a un’innovazione capace di rendere competitivo il sistema produttivo italiano e creare lavoro stabile. Va sempre ricordato che, come ha spiegato Amartya Sen, la finanza non è buona o cattiva in sé, ma dipende da come la si fa e al servizio di chi. Contrastare la finanza degli speculatori e degli «stregoni», come fa il Manifesto, vuol dire misurarsi con il fatto che la finanza agisce quotidianamente in modo determinante sull’intero tessuto sociale composto da lavoratori, giovani, pensionati. Per questa ragione non si può immaginare un valido progetto di politica economica che non includa un sistema del credito in cui le banche siano al servizio del paese.
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Il libro ripercorre i passaggi fondamentali della storia economica, politica e sociale di Terra di Lavoro del secolo scorso. Attraverso passaggi storici e trasformazioni sociali si svolgono le vicende di un nucleo di classe dirigente del Partito comunista e della Cgil che si forma in quel crogiuolo di umanesimo e di socialismo che è la scuola di una personalità suggestiva dell’antifascismo campano come Alberto Iannone. Il «professore», come lo chiamano a Capua, nonostante le persecuzioni del regime, insieme alla moglie Margherita tesse i rapporti con la rete clandestina del Pci, partecipa alla redazione e alla stampa dell’unico giornale di opposizione diffuso in tutta la Campania, «Il Proletario», tiene accesa la fiaccola delle idee di giustizia e di libertà tra i giovani e, attraverso le sue lezioni private, l’unico lavoro che gli è permesso, forma una parte importante della classe dirigente del dopoguerra della sinistra di Terra di Lavoro. Dopo la sua prematura e tragica morte i giovanissimi allievi ne raccolgono l’eredità culturale e politica e partecipano al processo di ricostruzione della democrazia e del paese. Tra questi tre futuri parlamentari della Repubblica: Enzo Raucci, deputato dal 1960 al 1976; Antonio Bellocchio, deputato dal 1976 al 1992; Pompeo Rendina, senatore dal 1963 al 1968. Attraverso la storia familiare e politica dei protagonisti emerge il filo rosso che lega le lotte per la democrazia del secolo scorso alle tendenze più avanzate della stagione risorgimentale. A fare da sfondo lo straordinario patrimonio storico e architettonico di Capua, uno dei più significativi del Mezzogiorno, e il territorio della provincia di Caserta, strategica cerniera tra Napoli e la Campania interna.
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Dagli anni ottanta ad oggi l’Italia ha visto crollare il ritmo di crescita del Pil, della produttività del lavoro, degli investimenti e del progresso tecnologico. Si è ridotta la sua capacità produttiva in settori industriali nei quali era stata fra i primi al mondo. È assente in quelli nuovi tecnologicamente avanzati. Le sperequazioni nella distribuzione del reddito e della ricchezza nazionale si sono ampliate. All’origine della complessa crisi italiana sta il mutamento del suo «modello di sviluppo», con, da una parte, le riforme del lavoro, dall’altra quelle del sistema dell’euro. Il volume riflette sulle cause e le conseguenze di questa grande trasformazione; una trasformazione, però, in negativo, che alimenta da almeno vent’anni il perdurante riflusso dell’economia italiana e che fa oggi temere per un ripiegamento definitivo delle sue capacità di crescita. I tre saggi che compongono il volume forniscono un quadro organico che invita ad una riconsiderazione critica delle politiche economiche e del lavoro che sono sullo sfondo di questo epocale mutamento, indicando alcune vie d’uscita.
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Il salario è certo uno strumento di riconoscimento del lavoro, ma ha anche un valore equitativo e redistributivo, per cui una di seguale distribuzione dei redditi e della ricchezza costituisce, oltre che una inaccettabile ingiustizia, anche un freno per lo sviluppo. Per questi motivi nel libro si analizza, a partire dai primi anni duemila fino ad oggi, la dinamica delle retribuzioni lorde e nette in rapporto all’inflazione, alla produttività e più in generale ai principali aggregati economici che caratterizzano il sistema economico-produttivo italiano. Tale arco temporale evidenzia le debolezze strutturali del sistema Italia, a causa delle quali la crisi globale ha esercitato effetti pesantemente negativi sulla crescita, l’occupazione, la produttività, i salari e l’avanzo primario accumulati negli anni precedenti. Le radici della crisi globale affondano infatti nelle scelte compiute negli anni passati dai paesi più industrializzati e nell’impostazione teorica alla base di quelle scelte. È da lì dunque che occorre ripartire per riequilibrare e riformare il modello di sviluppo. Ma benché le cause siano chiare, le contromisure strutturali volte a regolare la finanza, sanare gli squilibri globali e favorire l’uguaglianza attraverso il salario per rilanciare una solida ripresa e un nuovo sviluppo non sono ancora state intraprese. In Italia come nel resto dei paesi europei il ritorno alla crescita, allo sviluppo responsabile, ad una più forte democrazia, per una società più equa, può venire solo dal lavoro a partire dalle giovani generazioni.
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L’Italia del 1985, quando venivano pubblicati i saggi qui raccolti, era molto diversa dall’Italia di oggi. Ingrao aveva da pochi anni cessato le funzioni di presidente della Camera e le sue riflessioni vertevano sulla crisi del Parlamento. Prima degli anni ottanta il Parlamento fu davvero la sede di un confronto alto tra le forze politiche e, come spiega Ferrajoli nel suo saggio introduttivo, “lo fu perché le battaglie parlamentari erano tutte sorrette da grandi mobilitazioni popolari, quali espressioni politiche di altrettante lotte sociali”. Successivamente inizia invece un processo di trasformazione che abbiamo ancora sotto gli occhi e che Ingrao lucidamente avverte e denuncia: crisi della rappresentanza, crisi dei partiti, crisi della funzione legislativa del Parlamento, sempre più all’ombra dell’esecutivo. Cosa propone Ingrao? Una seria riforma della macchina dello Stato e delle sue strutture ottocentesche attraverso monocameralismo, riduzione drastica del numero dei parlamentari, rafforzamento qualitativo dei poteri del Parlamento mediante l’espansione delle sue funzioni ispettive e di controllo, maggior collegamento delle istituzioni parlamentari con le istituzioni europee e con quelle regionali. Come allora gli obiettò Norberto Bobbio, le sue proposte si muovevano in direzione esattamente opposta alla logica della governabilità che già cominciava a informare il dibattito politico. Ma rileggere Ingrao ora è importante non solo perché i problemi che individuava trent’anni fa sono ancora sul tavolo, ma perché ci ricorda che prima ancora di affrontare riforme elettorali o istituzionali, per difendere la democrazia bisogna riabilitare in primo luogo la politica come azione collettiva e rifondare la rappresentanza sulla base di rinnovati tessuti sociali.
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L’edilizia costituisce oggi un drammatico problema di sicurezza nelle scuole. Assumerla come priorità, per i passati governi ed in particolare per l’ultimo governo Berlusconi, avrebbe comportato la realizzazione di interventi importanti anche per la crescita del Paese. Oggi, con il governo Renzi, questo tema viene ricollocato al centro dell’iniziativa politica e parlamentare. Il Presidente del Consiglio ha indicato un concreto metodo di lavoro. «Il 2014 – ha affermato – deve segnare l’investimento più significativo mai fatto da un governo centrale sull’edilizia scolastica». La richiesta di scegliere all’interno di ogni Comune «un edificio scolastico e di inviare l’indicazione della scuola, il valore dell’intervento, le modalità del finanziamento previsto e la tempistica di realizzazione» viene così ad aggiungersi al fatto che in realtà il recupero e la cantierizzazione rapida delle risorse e dei progetti già esistenti rappresenti il terreno prioritario di intervento. Alla luce della nuova situazione, il libro documenta e analizza la vicenda dell’edilizia scolastica negli ultimi venti anni servendosi anche del recente importante lavoro di indagine realizzato dalla Camera dei Deputati. Il testo viene completato da un CD-Rom in cui si raccoglie tutta la normativa di legge e regolamentare, nazionale e delle Regioni, insieme ai resoconti delle audizioni parlamentari e ad altro qualificato materiale di documentazione.