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Il libro di Edmondo Montali, con prefazione del presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia e introduzione del professor Adolfo Pepe, ricostruisce la vicenda resistenziale, politica e parlamentare di Arrigo Boldrini, il comandante Bulow. Boldrini è stato un grande comandante partigiano alla guida della 28a Brigata Mario Gordini che operò nella provincia di Ravenna e poi in Veneto durante la guerra di Liberazione. Il suo nome rimase per sempre legato alla pianurizzazione della Resistenza con la quale il ravennate Bulow spostò la guerra partigiana dal suo terreno naturale, la montagna, alle campagne della Bassa, inventando un tipo di guerra partigiana che non si riteneva possibile. Ma Boldrini, medaglia d’oro al valore militare, non è stato solo un comandante partigiano. Membro della Consulta e della Costituente, è stato un parlamentare di lungo corso, vicepresidente della Camera dal 1968 al 1976, poi senatore della Repubblica fino al 1994, dirigente di primo piano del Partito comunista italiano e presidente dell’ANPI, l’Associazione nazionale partigiani, fino al XIV Congresso del 2006, due anni prima della sua morte. Il libro cerca di restituire la ricchezza del suo poliedrico contributo alla storia, per molti versi difficile e complessa, della Repubblica italiana di cui fu, a pieno titolo, un padre fondatore.
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Gli appalti pubblici in Italia sono stati utilizzati, storicamente, come un modo per soddisfare interessi privati, sia delle imprese sia di amministratori e burocrati, permettendo alle mafie di fare grandi affari, soprattutto nel settore delle costruzioni, inquinando il mercato del lavoro e provocando distorsioni nel meccanismo di domanda e offerta. Una risposta concreta è arrivata dal CCASGO, il Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere, e dalle organizzazioni sindacali degli edili di CGIL, CISL e UIL, che sono riusciti a fare emergere l’inquinamento mafioso, utilizzando la tracciabilità finanziaria, la gestione legale e trasparente dei cantieri e il monitoraggio dei flussi di manodopera. Questa esperienza, realizzatasi attraverso le Linee Guida Antimafia e i Protocolli di Legalità, ha determinato non solo un avanzamento della «legislazione di prevenzione», ma anche una serie di procedure che i soggetti firmatari devono attuare. Pertanto, con i Protocolli di Legalità si sa chi, quando e come deve realizzare le azioni prescritte. Il sindacato è certo che questa attività di prevenzione attiva allargherà il sol-co tra quanti alimentano il sistema di illegalità e quanti, forti dei principi costituzionali, vogliono vincere una guerra civile strisciante che dura dall’Unità d’Italia ad oggi. Il testo raccoglie importanti contributi di Ivan Cicconi, Bruno Frattasi, Alessandra Guidi, Salvatore Lo Balbo, Leonardo Miconi, Sara Spartà.
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L’Europa, un tempo leader del mondo, ha perduto il suo ruolo guida a favore degli Stati Uniti e della Cina. A partire dai primi anni settanta la deregulation finanziaria ha comportato la fine dei cosiddetti «Trenta anni gloriosi» del capitalismo democratico. Gli Stati nazionali hanno via via perso la loro capacità di regolare le politiche economiche e sociali. Mentre la nascita dell’Unione Europea ha comportato rigide regole da osservare per quel che riguarda i conti pubblici, la libera circolazione dei capitali ha nel frattempo consentito lo strapotere di grandi banche private. Al sostegno dell’economia reale si è sostituita un’anarchia sostanziale nel mondo del credito e della finanza, che ha ridotto molti membri sovrani della Ue a Stati debitori. Il volume mette in luce le radici storiche dei problemi economici e sociali che tormentano l’Europa del terzo millennio. La crisi europea ha cause profonde che nascono agli inizi del Novecento con il declino dell’impero britannico e l’ascesa distruttiva della Germania. Le due guerre mondiali fratricide e la trasformazione dei surplus commerciali inglesi in attività finanziarie e parassitarie hanno consegnato la guida del mondo prima nelle mani dei soli Stati Uniti, poi ai nuovi equilibri fra Stati che si configurano come vere e proprie potenze continentali. Viene così in evidenza che la malattia genetica del capitalismo fin dalle sue origini è la degenerazione della finanza.
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Dalla metà degli anni novanta la Basilicata si trova al centro di interessi di portata nazionale per effetto delle attività estrattive di gas e petrolio che interessano l’area della Val d’Agri. La produzione di petrolio in regione da parte di Eni e Shell è andata nel corso del tempo assumendo una rilevanza in grado di coprire il 6% dei consumi petroliferi nazionali. Tuttavia il petrolio estratto in Basilicata non concorre a soddisfare una domanda crescente, ma sembra destinato ad accompagnare la riduzione progressiva del ricorso a questa fonte di energia. Inoltre gli investimenti di grandi gruppi industriali nazionali ed esteri sul territorio regionale avvengono in una situazione di debolezza programmatica e politica che riduce spesso i termini dello scambio ora alla risorsa finanziaria, ora all’occupazione, mettendo da parte scelte e opzioni di sviluppo di medio-lungo periodo e fattori di qualificazione delle stesse risorse finanziarie e dell’occupazione, per di più in un quadro di ritardi e mancanza di informazioni certe sul piano dei controlli ambientali e sanitari. In questo volume si ragiona su questi temi con l’idea di restituire una dimensione reale e meno pubblicitaria degli esiti occupazionali e delle ricadute effettive delle attività estrattive per il territorio della valle e per la regione nel suo insieme.
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Il volume propone gran parte dei documenti esposti nella mostra storico-documentale Gli anni Sessanta, la CGIL, la costruzione della democrazia – a cura di Archivio storico CGIL nazionale, Archivio storico FLAI ‘Donatella Turtura’, Archivio storico SPI CGIL – svoltasi a Roma, presso la sede della Confederazione generale italiana del lavoro, dal 29 settembre al 5 ottobre 2015. Attraverso fotografie e riproduzioni di documenti, molti dei quali inediti, illustra l’impegno, spontaneo e organizzato, che singole persone, movimenti e associazioni hanno profuso negli anni Sessanta per la costruzione della democrazia con iniziative e mobilitazioni, elaborazioni e pensiero, successi e sconfitte, idee e proposte. Gli anni Sessanta hanno segnato il momento decisivo della formazione politica di un’intera generazione: sono anni complessi, a partire dalla notevole quantità e densità di avvenimenti che si sono verificati a livello nazionale, all’interno di uno scenario globale in cui il processo di decolonizzazione contribuisce ad allentare le tensioni politiche e militari in Europa favorendo indirettamente anche il processo d’integrazione economica. Anni importanti che ci consegnano la lezione di un movimento sindacale sempre più unito nelle sue diverse organizzazioni, più autonomo dalle controparti, più democratico nel rapporto con lavoratrici e lavoratori, più impegnato in campo politico, divenuto ormai un interlocutore autorevole per le classi dirigenti e per le istituzioni dello Stato italiano. Il volume vuole offrire al lettore l’esperienza di un viaggio attraverso lo spazio e il tempo in un percorso che partendo dalla Genova del 30 giugno 1960 arrivi, passando dalla Milano di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, all’approvazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori del 1970, attraverso quattro temi sviluppati e declinati nelle loro diverse sfaccettature: i fatti del luglio 1960 a Genova, Licata, Roma, Reggio Emilia, Palermo e Catania; la riforma del sistema pensionistico; il ruolo e le conquiste delle donne; la crisi e la rinascita di fine decennio.
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Un regista seduttore e sfuggente: un capo carismatico in mezzo alle paure del teatro che non sa cosa possa essere, ancora. Italo Moscati dedica questo libro a Luca Ronconi, il grande regista di teatro scomparso nel 2015 dopo avere svolto una intensa, ininterrotta, attività sulle scene italiane e del mondo. Nonostante l’attenzione generale che Ronconi ha suscitato, il suo «caso» è da spiegare. Ronconi assomiglia solo a se stesso. L’attività che ha svolto è la profonda, affascinante dimostrazione della vitalità di un suo «teatro enciclopedico», innamorato della conoscenza, senza esclusioni né di epoche né di autori; in cui si avverte una elegante e potente intenzione illuministica, contro il passato, contro le tradizioni, tuttavia mai tradite, anzi prese molto sul serio, reinventate. Ronconi ha guardato alle idee e alle forme delle avanguardie di ogni paese e di ogni tendenza. Per fare luce con centinaia di rappresentazioni, esperienze, laboratori. Ha cercato la contemporaneità in modo concreto, non subendola ma per rifarla, scoprirla, svelarla. Con i suoi attori, i collaboratori, le compagnie, gruppi compatti e determinati. Oltre che regista, è stato un maestro, ha coinvolto i giovani, anche come docente all’Accademia d’Arte Drammatica; ed è rimasto, dopo Luigi Squarzina e Giorgio Strehler, con pochi altri, il solo a rifiutare la fine del teatro e ad avere desiderio di raccontarla, trovando spun-ti e strade che sono andate oltre le proposte provocatorie e geniali di Carmelo Bene. Ronconi rappresenta non un lavoro ma i necessari lavori che sono in corso.
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Da oltre trent’anni la criminalità organizzata rappresenta in Italia un argomento molto discusso e approfondito, sia dai policy makers che dagli studiosi. Si è sviluppata anche una produzione mediatica, che spazia dalla letteratura popolare alla realizzazione di specifici format televisivi. Infine, nella società civile, si sono sviluppate vere e proprie forme di professionalità legate al contrasto delle organizzazioni criminali. La mafia e l’antimafia sono così diventate due campi attraversati da conflitti politici e culturali, all’in-terno dei quali il contrasto del fenomeno si sovrappone alla costruzione e alla riproduzione di rendite di posizione, che chiamano in causa il sistema politico, i rapporti di produzione, il sistema giudiziario e le garanzie del sistema penale. Vincenzo Scalia, da anni attivo nello studio dei fenomeni mafiosi, ci propone una lettura delle mafie e delle antimafie basata su due cardini: il primo riguarda la trama costitutiva delle organizzazioni mafiose, che l’au-tore vede speculare alle trasformazioni produttive; il secondo riguarda la necessità di osservare i fenomeni mafiosi senza tralasciare l’aspetto della tutela dei diritti individuali e collettivi. Se si vuole contrastare le mafie, suggerisce l’autore, si tratta piuttosto di ripartire proprio da una società attenta alle garanzie individuali e al-l’emancipazione sociale.
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Nel 2001 compare su «l’Unità» una rubrica settimanale dell’autore, intitolata «Atipiciachi», collegata all’inizio a una mailing list creata dal NIdiL Cgil, il sindacato dei lavoratori atipici. La rubrica si conclude nel 2014 con la chiusura della vecchia «Unità», dopo aver riportato storie, racconti, documentazioni, polemiche, che ritroviamo in questo volume, ordinate in diversi capitoli: «Gli stagisti», «I soci», «Le partite Iva», «Gli informatici», «Gli operai», «I commessi», «I pubblici», «I call center», «Le donne», «I professionisti». E, dopo le storie, ci sono le proposte, le analisi, le conquiste. Leggi, welfare, sindacato. Con bilanci non omogenei tra sindacalisti e studiosi. E le vicende di quelli che nonostante tutto vincono, quelli che con il Jobs Act per il momento ce la fanno e i tanti che perpetuano la loro condizione. Un percorso che testimonia l’impegno particolare della Cgil su questo terreno, senza nascondere assenze e ritardi. Con confronti tra chi voleva battersi per una soluzione globale capace di portare le nuove generazioni nel mondo del lavoro con eguali diritti, e chi per conseguire lo stesso obiettivo proponeva la via della contrattazione inclusiva, riconoscendo le diversità presenti nel mondo dei lavori. Con uno sguardo all’oggi, attraverso primi risultati ottenuti da chi ha provato a cambiare aspetti assai discutibili del Jobs Act. Con un primo bilancio e un piano per il futuro nelle parole di Susanna Camusso e di altri dirigenti sindacali, mentre si delinea la proposta di un nuovo Statuto capace di impedire che nei luoghi di lavoro coesistano diritti diversi, nuove disuguaglianze.
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Esiste, accanto all’Europa delle compatibilità finanziarie, un’Europa «sociale», attenta alla definizione e al potenziamento dei diritti del lavoro. Esiste anche una (forse poco visibile) struttura amministrativa, politica e giudiziaria – sempre a livello dell’Unione Europea – costruita per rendere effettivi quei diritti. Il problema, affrontato pragmaticamente da questo volume, è come possa l’azione vertenziale-sindacale mettere in moto il processo di rafforzamento di questa Europa sociale e solidale. Diventa, quindi, cruciale svelare le modalità di accesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, alla Corte Europea dei Diritti Umani e agli altri organismi che, nell’ambito dell’Unione, possono verificare l’effettiva garanzia dei diritti fondamentali delle persone. Ma è anche indispensabile capire come utilizzare adeguatamente le due Carte dei diritti (Carta dei Diritti Fondamentali della UE e Convenzione Europea dei Diritti Umani) presso i Giudici nazionali, al fine di assicurare, in una prospettiva multilivello, la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori nel godimento dei diritti fondamentali, con particolare riferimento ai casi di discriminazione. Perché l’Europa, senza un solido apparato di diritti del lavoro, non ha un futuro politico.
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L’11 gennaio 2016 nella sala dei Gruppi Parlamentari della Camera si è svolta un’affollata assemblea convocata dal «Comitato per il NO nel referendum sulle modifiche della Costituzione» per esporre le ragioni della contrarietà ai contenuti di questa legge. Il Comitato per il NO è stato costituito prima della conclusione dell’iter parlamentare della legge, che avverrà nel mese di aprile con l’ultima lettura da parte della Camera. Si è tentato di ottenere almeno modifiche indispensabili degli aspetti più controversi, ma l’opposizione del Governo a qualsiasi cambiamento non lo ha reso possibile. Ad aprile, dopo la sua definitiva approvazione, il testo della legge verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ma non entrerà in vigore fino a quando ci sarà l’esito del referendum, ricorrendo i casi previsti dall’art. 138 della Costituzione. Il Governo ha voluto far credere che il referendum sia una sua gentile concessione, ma non è così. È la Costituzione che ne prevede la possibilità quando, al secondo passaggio, l’approvazione delle leggi costituzionali avviene con meno dei due terzi dei voti in almeno un ramo del Parlamento, come appunto si è già verificato al Senato. Questo volume, raccogliendo gli interventi all’assemblea dell’11 gennaio, si propone di far conoscere le ragioni che il Comitato ha messo in campo e che costituiranno la base per motivare la raccolta delle 500.000 firme necessarie per il referendum e, nel corso della campagna elettorale, per convincere le elettrici e gli elettori a respingere le inaccettabili modifiche apportate alla Costituzione. E a votare quindi NO nel referendum costituzionale che avrà luogo nell’autunno del 2016. Contributi di: Gaetano Azzariti, Felice C. Besostri, Lorenza Carlassare, Gianni Ferrara, Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Massimo Villone, Gustavo Zagrebelsky