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Il Wcm alla Fiat: quali implicazioni per le condizioni di lavoro e le relazioni industriali
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Il welfare aziendale: evidenze dalla contrattazione
Il welfare aziendale è diventato uno dei terreni più interessanti per la contrattazione di secondo livello ed è potenzialmente in grado di svilupparla in direzione di un equilibrio virtuoso tra interessi aziendali di competitività e interessi sindacali di miglioramento della qualità della vita dei lavoratori. Sulla scorta di queste premesse, l’articolo discute del welfare aziendale e contrattuale attingendo ai dati dell’Osservatorio sulla contrattazione di Cisl Lombardia. Più in particolare, delle intese aziendali sottoscritte tra il 2005 e il 2013 in imprese lombarde di dimensioni medio-grandi l’articolo propone un’analisi interpretativa, e non meramente descrittiva, che intende dare conto delle misure implementate e delle relative finalità, come pure delle strategie e delle dinamiche (sindacali, manageriali, datoriali) sottostanti. Obiettivo dell’approfondimento proposto è quello di affrontare in modo critico la relazione emergente tra welfare integrativo e assetti delle relazioni di lavoro e di offrire spunti di discussione per comprendere come si vada modificando la natura del rapporto tra capitale e lavoro e quale sia, al suo interno, il ruolo della rappresentanza.
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Per la ricostruzione del valore «politico» del lavoro
Per due secoli il lavoro è stato al centro della storia sociale, economica e politica. Ora non è più così. Da quando gli studiosi hanno avvertito che la classe operaia non era il soggetto destinato a cambiare il mondo, hanno smesso di studiare il lavoro (Axel Honneth). Sarebbe invece il momento di studiarlo di più, dati i grandi mutamenti intervenuti, sia per elaborare un’idea più attuale di lavoro, sia perché il movimento dei lavoratori rimane un soggetto essenziale, anche se non unico, per trasformare la società. Nella nuova situazione profondo è il cambiamento richiesto al sindacato. Il rallentamento della crescita appanna il suo ruolo di distributore della ricchezza, spingendolo a impegnarsi maggiormente sul versante della produzione. Più problematica diventa la redistribuzione del reddito e del lavoro sia tra le classi, sia tra i lavoratori stessi. È necessaria una nuova solidarietà sociale, che richiede anche un’organizzazione del sindacato che dia più ruolo ai lavoratori.
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Diritti di sciopero, disuguaglianza sociale e mercato globale dopo «Marikana»
Il volume di recente pubblicazione «Laws against strikes, The South African experience in an international and comparative perspective», curato da B. Hepple, R. le Roux e S. Sciarra, ci rivela l’importanza di preservare e sostenere azione collettiva e libertà di associazione per promuovere le istanze di giustizia sociale. A partire dalle considerazioni suscitate dalla lettura di questo testo, l’Autore cerca di ricostruire brevemente ragion d’essere e pratica della libertà di azione collettiva e dei diritti di sciopero in rapporto a un periodo di crisi economica e sociale. In questa luce egli individua altresì in sintesi critica i più rilevanti cambiamenti connessi alle innovazioni interne al diritto dell’Unione Europea, ad alcuni degli accordi bilaterali e regionali di libero scambio (come la partnership trans-pacifica e quella trans-atlantica) e interni al sistema di risoluzione delle controversie del Gatt/Wto.
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Silvano Andriani: nella politica e nella cultura economica italiana
I contributi di Carlo Ghezzi, Laura Pennacchi e Andrea Margheri ricostruiscono la figura di Silvano Andreani, politico ed economista italiano, e sono il frutto di un seminario organizzato dalla Cgil nazionale nel gennaio 2014. Se nell’intervento di Carlo Ghezzi emerge la ricchezza del profilo biografico e della sua biografia politico-sindacale; la testimonianza di Laura Pennacchi, nel ripercorrere gli anni della sua collaborazione al Cespe, analizza i tratti innovativi della sua cultura economica. Ai molteplici temi al centro delle sue riflessioni come militante e intellettuale è, invece, dedicato l’intervento di Andrea Margheri a partire dalle sue analisi geopolitiche, sino alle riflessioni sulla questione settentrionale, e alla crisi della rappresentanza democratica.
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Jobs act e nuovo diritto del lavoro: regressività dei diritti e qualità dei rapporti di lavoro
Serve il Jobs act? A due anni dalla riforma Fornero si interviene ancora una volta sulla flessibilità in uscita e non si affrontano i nodi veri che determinano dualismi e discriminazioni nel mercato del lavoro, slegandolo da una politica di sostegno all’occupazione strutturale. L’obiettivo del contributo è mettere in luce alcuni caratteri del mercato del lavoro italiano e la necessità di ricollegare le politiche di regolamentazione a un quadro che abbia a riferimento l’esigenza di rilanciare una politica per l’occupazione, una politica economica espansiva caratterizzata da investimenti nell’innovazione e nelle competenze dei lavoratori, una regolazione a supporto di nuove relazioni industriali e assetti contrattuali che vedano nella legislazione uno strumento di universalizzazione di tutele e di limitazione delle discriminazioni. In questi anni la crescita delle disuguaglianze sociali, la crisi dei settori produttivi e la crescita del lavoro debole contrattualmente e povero salarialmente hanno cambiato la funzione della legislazione del lavoro con una sempre maggiore invasività sull’autonomia collettiva, che con il Jobs act ribalta totalmente il paradigma: la legislazione non sostiene più il soggetto cedevole, cioè il lavoratore, bensì l’impresa; e la funzione della contrattazione e quella della rappresentanza sono direttamente condizionate da questo cambio di prospettiva. In questo scenario, contenzioso giudiziario, consolidamento del T.u. sulla Democrazia e rappresentanza e sua estensione a tutti i settori, Piano del lavoro sono le risposte utili a contrastare il declino, l’ulteriore svalutazione del lavoro e svalorizzazione della funzione della contrattazione collettiva.
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Oltre il Jobs act. Ricerca, innovazione e conoscenza come leve per lo sviluppo
L’articolo si interroga sui possibili effetti delle recenti riforme del mercato del lavoro; e lo fa focalizzandosi su alcune peculiarità e tendenze del contesto italiano, in comparazione con altri paesi europei. Attraverso i dati di due ricerche dell’Associazione Bruno Trentin, esplora, da un lato, l’anomalia rappresentata da un elevato tasso di inattività e dall’altro le crescenti situazioni di disagio e sofferenza occupazionale (disoccupazione, cassaintegrazione, lavoro temporaneo involontario, part-time involontario).
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La commedia degli inganni: l’itinerario regressivo della legge sul lavoro
L’articolo racconta il percorso delle recenti riforme del mercato del lavoro, in particolare del Jobs act, a partire dalla sua prima versione, discussa all’interno del Pd, descrivendo il progressivo cambiamento della filosofia, dell’approccio, dei contenuti della proposta. L’esito finale è un ulteriore allentamento dei vincoli per l’uso dei contratti a termine, nessuna riduzione della tipologia di rapporti atipici, la sperimentazione di un modesto ampliamento degli ammortizzatori sociali; la sostanziale eliminazione dell’art. 18 per i nuovi assunti. La riforma rischia allora di rafforzare dualismi e disuguaglianze già esistenti; sicuramente non appare in grado di affrontare in modo efficace il problema della precarietà.
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Il lavoro fatto a pezzi
L’articolo propone un’analisi dell’ultima riforma italiana del mercato del lavoro, denominata «Jobs act». Il percorso della riforma è iniziato a marzo del 2014 e non è ancora completo, ma gli obiettivi sono già chiaramente delineati nei provvedimenti approvati finora. La riforma si colloca nel solco delle due precedenti, tese ad accelerare ed estendere la sostituzione dell’occupazione standard con i «lavori», consolidando il modello di flessibilità basato su forme di temporaneità della prestazione lavorativa interamente controllate dalle imprese. Attraverso la quasi totale eliminazione dei vincoli al licenziamento (resta fuori solo il pubblico impiego), la riforma rende possibile il frazionamento dell’occupazione in «pezzi» che comporranno i nuovi percorsi lavorativi, combinandosi con intervalli di disoccupazione in sequenze variamente sussidiate. In questo modo, la riforma non affronta i problemi più rilevanti del lavoro, ma imprime una accelerazione al processo di ri-regolazione dei rapporti di lavoro.
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Riforma incompleta o difesa dello status quo?
La discussione sul Jobs act è stata sin dall’inizio viziata da una rappresentazione del mercato del lavoro stereotipata e superficiale. Una più attenta analisi teorica ed empirica delle dinamiche occupazionali mostra invece come l’aumento della flessibilità in uscita non avrà probabilmente alcun effetto apprezzabile sul livello di occupazione. Al contrario, in assenza di altre riforme sul sistema finanziario e produttivo, la facilitazione dei licenziamenti rischia di incentivare ulteriormente i settori a basso valore aggiunto e a scarso contenuto innovativo.
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Una fase ulteriore di riflessione e di creatività organizzativa. Presentazione
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Il lavoratore cognitivo come figura critica del capitalismo della conoscenza
Nel ripercorrere i passaggi essenziali di una ricerca Ires sul fenomeno del lavoro cognitivo, il testo mette in evidenza la crescita di nuove figure e le modificazioni che intervengono sul mercato del lavoro. Mostra che le linee di un cambiamento coinvolgono anche attività di lavoro professionale di tipo tradizionale, e che i soggetti a elevata competenza si relazionano in modo nuovo con la propria professione.
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