• Vent’anni di riforme prevalentemente sottrattive di ispirazione neoliberista (1992-2011) hanno ripristinato la sostenibilità economico-finanziaria del sistema pensionistico italiano, lasciando però criticità, sia nel breve che nel medio-lungo periodo, sul versante della soste-nibilità sociale e della connessa tenuta politica del sistema. Nel quadro delle compatibilità economiche-finanziarie, la sfida è dunque come ri-disegnare un modello pensionistico in grado di risolvere il «trilemma dell’adeguatezza»: l’efficiente, efficace ed equa combinazione tra 1) prevenzione della povertà e 2) mantenimento di un livello adeguato di reddito per i lavoratori pensionati, 3) ad età pensionabili ritenute con-grue e sostenibili. Elaborate entro la rigida cornice del metodo contributivo, gran parte delle proposte di riforma circolanti nel dibattito pubblico non sembrano però in grado di disattivare i trade-off che si generano tra le diverse dimensioni del «trilemma». Pare dunque necessario, a tre decenni dalle «grandi riforme» degli anni novanta e in un contesto strutturale comple-tamente trasformato, avviare una riflessione di più ampio respiro, che consenta di superare i cinque «miti» che costringono il dibattito pubblico sulle pensioni italiane, riducendo di fatto le alternative di riforma disponibili. Oltre i «miti previdenziali», in un paese che non può permettersi incrementi di generosità generalizzati e di espandere sensibilmente la spesa per pensioni, il principio a cui ancorare il disegno delle nuove regole dovrebbe essere l’«equità sostanziale» sia rispetto alle condizioni di accesso al pensionamento che nel calcolo delle prestazioni e nelle modalità di finanziamento.
  • Da sempre il tema delle pensioni è al centro del dibattito pubblico, in particolare negli ultimi anni, dopo l’approvazione, nel dicembre del 2011, della Legge Monti-Fornero. La discussione sulla riforma del sistema previdenziale, però, si è di fatto consumata lungo un crinale tutto propagandistico, trascurando il nuovo contesto sociale, economico e demografico che si è andato configurando nel nostro paese. Questo ha comportato il rincorrersi di inter-venti dettati dall’emergenza, non in grado di ripensare il modello nel suo complesso e di dare finalmente certezze alle lavoratrici e ai lavoratori. Non tutte le modifiche introdotte fin qui vanno messe sullo stesso piano. Il tratto comune è stato il tentativo di inserire, ex post, elementi di flessibilità in un sistema estremamente rigido. In alcuni casi si è almeno andati nella direzione giusta: come i provvedimenti che hanno introdotto l’Ape sociale, i «precoci» e il cumulo contributivo. Altri invece sono risultati parziali, temporanei e poco efficaci come «Quota 100», «Quota 102» e «Quota 103». Il Governo Meloni, che si era presentato al paese con la promessa di superare la Legge Monti-Fornero, ha deciso, nei fatti, di procedere in senso esattamente contrario.
  • Il mercato del lavoro italiano presenta aspetti paradossali, adatti a sostenere narrazioni diversificate: da un lato la forte incidenza della precarietà e del lavoro povero, dall’altro il massimo storico del tasso di occupazione, le «grandi dimissioni» e le difficoltà nel reperire la manodopera. Nel saggio si presentano analisi volte a problematizzare questi temi, interrogandosi in particolare sul significato e sui limiti degli indicatori sul livello di occupazione, sulle motivazioni della precarietà e sulle chance delle ricette per ridurla, sull’articolazione delle dinamiche salariali in funzione della diversa intensità di lavoro (per orario giornaliero o per continuità nel tempo) e sul possibile impatto del salario minimo.
  • Il contributo si sofferma sulle proposte che in questi ultimi anni la Cgil ha avanzato in tema di lavoro. A tal fine si presentano alcune valutazioni di scenario e di contesto, alla luce dello stato del mercato del lavoro nel nostro paese e anche della considerazione sociale, del valore che ad esso viene attribuito, oltre che delle tendenze in atto.
  • L’articolo indaga le caratteristiche socio-demografiche, educative e, soprattutto, professio-nali dell’élite di potere europea di fama mondiale (top leader) appartenente al campo della comunicazione. A tal fine è stata condotta una ricerca quantitativa basata sull’analisi di 9.000 profili di personalità con notorietà internazionale. È fornita un’analisi descrittiva che evidenzia che i top leader della comunicazione sono principalmente uomini in età avan-zata. Si osserva una sorta di longue durée di dominio maschile e gerontocrazia a causa dei quali, per i componenti dell’élite europea, il sistematico ricambio generazionale e di genere sembra essere molto difficile da raggiungere. Infine, i risultati della ricerca eviden-ziano che, nel Vecchio continente, le top élite della comunicazione svolgono professioni che rimandano principalmente ai modi del comunicare tipici del Novecento piuttosto che del Nuovo millennio, sempre più orientato al mondo dei social media e del digitale.
  • La riflessione proposta si concentra sulle ragioni alla base della necessità di un rinnovato impegno in difesa della Costituzione. Il tema delle riforme costituzionali è complesso e può risultare estraneo e lontano dai problemi concreti dei cittadini. Diviene quindi necessario far comprendere come toccando l’architettura istituzionale della Repubblica si mettano a rischio i diritti fondamentali delle persone e la qualità della democrazia. In tema di autonomia differenziata il progetto del governo, attribuendo alle Regioni che ne faranno richiesta funzioni come istruzione, lavoro, salute, energia, beni culturali, infrastrutture, stravolge il principio costituzionale di autonomia cooperativa e solidaristica e prefigura un regionalismo competitivo e corporativo. Inoltre formalizza di fatto che le differenze tra Nord e Sud del paese non saranno più affrontate.
  • Il governo italiano sta procedendo a dare attuazione all’autonomia regionale differenziata. Consiste nell’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario che ne fanno richiesta di mag-giori forme di autonomia in ambiti originariamente disciplinati in modo uniforme dallo Stato. Dopo anni di gravi difficoltà economiche e sociali, che hanno allontanato l’Italia dal resto dell’Europa e ampliato gli squilibri territoriali, l’autonomia differenziata rischia di aggravare la situazione del paese e indebolire il sistema di welfare. L’autonomia diffe-renziata mira, infatti, a dare maggiori competenze a chi può correre più velocemente, la-sciando inalterata – nella migliore delle ipotesi - la condizione di chi è rimasto indietro. A problemi comuni a tutte le regioni è invece necessario dare risposte a livello nazionale, a beneficio di tutti, rafforzando il welfare ed evitando soluzioni singole che aumenterebbero i costi di decisione e creerebbero disuguaglianze. Prima di procedere a qualunque ulteriore attribuzione di competenze alle Regioni è comunque indispensabile rafforzare il livello centrale, nella qualità e nella quantità delle competenze disponibili, affinché siano ben definiti i Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e affinché sia possibile il loro rispetto da parte di ogni regione.
  • Contro le ipotesi e i progetti di autonomia differenziata, che dividono il paese accelerando la secessione dei ricchi, è in atto da tempo una forte reazione dei sindacati dell’istruzione, mediante ogni forma di mobilitazione. Forte inoltre è stata la partecipazione alla raccolta di firme per il disegno di legge popolare per la revisione degli articoli 116 e 117 della Costituzione, nel quale si esclude ogni forma di autonomia differenziata per istruzione, sanità e welfare universale. L’autonomia differenziata, così come prevista dall’articola-zione del progetto Calderoli, va considerata un pericoloso sovvertimento dall’alto di ogni forma di uguaglianza e parità di accesso alla formazione e alla conoscenza determinati dall’articolo 3 della Costituzione. Inoltre, occorre riconsiderare la storia delle autonomie scolastiche, universitarie e accademiche degli ultimi trent’anni, e verificarne tenuta, limiti e possibilità, per evitare che gli errori del passato possano ancora pesare sulle decisioni del presente e del futuro.
  • L’industria sta cambiando rapidamente, in Italia, in Europa e nel mondo. Le nuove tecnologie trasformano prodotti e sistemi produttivi, le attività si spostano da Occidente a Oriente. In questo contesto anche il lavoro muta profondamente, sia nella quantità che nella qualità dell’occupazione; la questione ambientale assume un ruolo di assoluta centralità, mentre ritornano sulla scena le politiche industriali dei governi. Il volume di Vincenzo Comito analizza queste trasformazioni e le conseguenze per l’Italia, con approfondimenti su tre settori: l’alta tecnologia dei semiconduttori, la transizione dell’automobile verso l’elettrico, la produzione di carne, che assume forme sempre più industriali. Tra le strategie delle grandi imprese multinazionali e il declino industriale italiano, si delinea dunque un quadro economico, sociale e politico molto incerto.
  • Frutto di un esteso lavoro sul campo che ha coinvolto aziende, lavoratori formali e informali, disoccupati, studenti e centri di formazione, lo studio offre un raro e aggiornato spaccato nel campo dei diritti e del mercato del lavoro in Eritrea, focalizzandosi sulla riqualificazione e formazione professionale nei settori dell’informatica, turismo e catena del freddo. La ricerca propone un’analisi dettagliata dei bisogni in merito alla formazione professionale in Eritrea, specificamente nei maggiori centri economici di Asmara e Massaua, allo scopo di fornire un tracciato completo utile alla preparazione di corsi di formazione per lo sviluppo di abilità professionali, tentando quindi di cogliere gli aspetti della domanda e dell’offerta nel mercato del lavoro nei settori dell’informatica, turismo e catena del freddo. Merito di questa ricerca non è solo fare luce su alcuni dati relativi al mercato del lavoro eritreo oggi, ma anche fare emergere quanto sia importante il ruolo della cooperazione e dello sviluppo per la promozione di una agenda per il lavoro dignitoso a livello globale, in un contesto geopolitico ricco di complessità.
  • The research is the result of an extensive fieldwork involving companies, formal and informal workers, unemployed people, students and training centres. It provides a rare and up-to-date insight into the field of labour rights and the labour market in Eritrea, focusing on upskilling and vocational training in the IT, tourism and cold chain sectors. The research provides a thorough analysis of the needs related to vocational training in Eritrea, specifically in the major economic centers of Asmara and Massawa, with the purpose of providing a comprehensive framework for the preparation of training courses to develop professional skills. It seeks to capture aspects of demand and supply in the labor market in the fields of information technology, tourism, and the cold chain. The merit of this research goes beyond shedding light on data concerning the Eritrean labor market today; it also highlights the importance of development cooperation in promoting a global agenda for decent work, in a complex geopolitical context.
  • RPS N. 2/2023

    22.00 
    I diritti sociali di bambini e adolescenti in Italia  
    • Minori: quali bisogni e quali sfide
    • Il Servizio sanitario nazionale tra crisi e diritto alla salute
    • Osservazioni sul disegno di legge «Calderoli» di attuazione dell’autonomia differenziata
  • L’articolo ha due obiettivi principali. Il primo consiste nel descrivere la dinamica dell’incidenza della povertà tra i minori in Italia per classe di età negli ultimi due decenni, il secondo è valutare, con strumenti di microsimulazione, l’impatto dei trasferimenti monetari del sistema di welfare italiano sull’incidenza della povertà tra i minori, concentrandosi in particolare sugli effetti dei due schemi recentemente introdotti e destinati alle famiglie a basso reddito. Nel confronto internazionale, l’Italia è uno dei paesi europei in cui è più alta la quota di minori in povertà, ma negli ultimi anni sono emersi alcuni significativi miglioramenti nell’insieme degli strumenti politici disponibili contro la povertà. Il risultato è che oggi, rispetto a due decenni fa, l’efficacia del sistema fiscale e previdenziale italiano nel contrastare la povertà infantile è sicuramente migliorata.
  • La povertà alimentare minorile è oggetto di crescente attenzione. Si tratta di un fenomeno complesso che vede, da un lato, l’assenza di un framework regolatorio nazionale che riconosca il diritto a un’alimentazione adeguata e, dall’altro, il ruolo marginale del settore pubblico nell’attuare politiche sistematiche e integrate di aiuto agli indigenti. Più recentemente, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato la versione definitiva del Piano di azione nazionale della Garanzia Infanzia (Pangi). Il documento – redatto in ottemperanza a quanto previsto dalla Raccomandazione europea sulla Child Guarantee – si rivolge alla povertà alimentare dei minori e, nello specifico, ai temi inerenti al servizio di refezione scolastica, la previsione del tempo pieno a scuola e le azioni contro la dispersione scolastica. L’articolo intende dunque approfondire l’eterogeneità delle politiche nazionali di contrasto alla povertà alimentare minorile ed esplorarne le lacune, identificando così – in prospettiva – i possibili gap nell’attuazione del Pangi.
  • L’ambiente familiare, e in particolare la responsività genitoriale, svolge un ruolo determinante sullo sviluppo cognitivo e socio-relazionale del bambino, in particolare nei primissimi anni, e ai genitori vanno offerte opportunità di rafforzare le proprie competenze se si vuole garantire a tutte le bambine e tutti i bambini eguali opportunità di piena realizzazione delle proprie potenzialità e prevenire l’insorgere precoce di diseguaglianze nello sviluppo. Sulla base di una revisione delle prove di efficacia e dei requisiti di programmi di sostegno alle competenze genitoriali, si sottolinea la necessità che questi programmi, attualmente limitati a situazioni di forte fragilità, abbiano carattere universale e costituiscano un complemento necessario delle politiche per garantire alle famiglie con bambini risorse economiche sufficienti e servizi che consentano la conciliazione tra occupazione e cure familiari. Il contributo fornisce un quadro di riferimento per la realizzazione di tali programmi che tiene conto anche delle esperienze condotte in Italia.
  • Il saggio fa il punto sullo stato dei diritti socio-educativi alla prima infanzia e di quelli educativi nel sistema italiano, mostrando come, da un lato, nel corso dei decenni si siano accumulati molti problemi complessi, dall’altro, sia in atto negli ultimi anni un processo di forte innovazione potenziale almeno sotto il profilo della programmazione. In particolare, a partire dalla seconda parte del decennio passato e, in maniera più decisa, a partire dall’inizio di quello attuale, l’Italia sembra voler investire molte risorse in tali servizi e nei diritti educativi dei minori. Allo stesso tempo a fronte di obiettivi ambiziosi e condivisibili, riportati soprattutto in atti di programmazione come Pnrr e Pangi, il saggio mette in luce quali sono i motivi per cui vi è il serio rischio di mancare tali obiettivi.
  • La casa è uno dei pilastri fondamentali per le chances di inclusione sociale degli individui. Per i minori, la mancanza di una sistemazione abitativa adeguata influisce sulle opportunità e sulle traiettorie educative, sulla vita relazionale e sulle dinamiche di sviluppo fisico e mentale così come sulla salute in senso lato. Il presente contributo, attraverso un’analisi secondaria di dati e di documenti, esplora le dimensioni della povertà abitativa dei minori in Italia, identificando le soluzioni abitative non adeguate in cui i minori sono coinvolti maggiormente e le conseguenze sulle loro chances di inclusione sociale.
  • In Italia le persone minorenni con background migratorio sono più di 1,3 milioni. Nella stragrande maggioranza sono nate e nati nel nostro paese e più di 300 mila di loro hanno già acquisito la cittadinanza italiana. Vivono in tutto il territorio, ma si concentrano soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, nelle grandi città e nelle aree periurbane. Affrontare il tema del loro accesso ai sistemi di welfare significa distinguere tra il piano formale e quello sostanziale: sul piano formale l’Italia ha assunto gli obblighi di tutela dei diritti dei minori con background migratorio derivanti dalle convenzioni internazionali, mentre sul piano sostanziale si registrano ancora elementi critici riconducibili a volontà politiche, a orientamenti e atteggiamenti della società, alle concrete condizioni economiche e sociali. L’accesso ai sistemi di welfare è affrontato in modo particolare per quanto riguarda il diritto alla salute e il diritto all’istruzione.
  • L’adolescenza è il tempo della transizione alla vita adulta segnata dall’acquisizione di autonomie nel reddito, nell’abitazione, nella rete relazionale e affettiva. Questo lavoro esplora il tema dei diritti, delle politiche e delle pratiche rivolte agli adolescenti con disabilità in Italia. I dati e le testimonianze presentati mostrano una contraddizione tra un contesto regolativo altisonante caratterizzato da diritti e centrato sulla persona, sull’ascolto, sulla partecipazione dell’adolescente, compreso quello con disabilità al pari di tutti gli adolescenti, e un insieme di pratiche mortificanti dell’adolescenza stessa: un gap marcato tra i diritti sulla carta e i diritti di fatto, tra diritti formali e diritti sostanziali. I risultati evidenziano un sistema di welfare italiano che mostra sempre di più la sua dimensione di «trappola» istituzionale. Adolescenti, compresi quelli con disabilità, incagliati nella strada verso l’adultità, nelle maglie molto larghe di un welfare pubblico latitante o, meglio, incapace di riformarsi, che per decenni ha delegato alle famiglie le risposte a quei problemi strutturali.
  • Il Servizio sanitario nazionale italiano sta vivendo una profonda crisi causata in primo luogo da fenomeni quantitativi, legati soprattutto alla carenza di finanziamento e ai tetti di spesa per il personale imposti alle Regioni. Il presente articolo affronta invece il problema dell’incidenza sulla crisi delle scelte programmatorie e organizzative. In particolare, viene condotta un’analisi di dettaglio dell’eccesso di offerta di ospedali in Italia, causa di inefficienze nell’utilizzo delle risorse con conseguente ridotta capacità operativa, aumento delle liste di attesa e fuga dei professionisti nel privato. Un possibile rimedio sta nel creare una nuova cultura sia tra i politici, che tra gli operatori e i cittadini che privilegi i servizi territoriali come principale strumento di contrasto alle malattie croniche, il fenomeno oggi epidemiologicamente più rilevante.
  • La grave crisi in cui versa il Servizio sanitario nazionale pone in discussione la tutela stessa della salute, nonché i princìpi di universalità, uguaglianza ed equità su cui si fonda. Il contributo si sofferma sui correttivi necessari per rilanciare il Servizio sanitario pubblico e universale, sottolineando la necessità di una radicale inversione di rotta in termini di spesa pubblica con l’obiettivo di una maggiore valorizzazione, qualificazione e incremento del personale sanitario, della promozione dell’assistenza territoriale, della realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria, a partire dalla piena attuazione del Pnrr.
  • Il contributo si propone di analizzare il disegno di legge quadro in materia di autonomia differenziata alla luce della Costituzione, al fine di evidenziare le criticità derivanti dall’attuazione di tale istituto sul piano dell’unità e della solidarietà, nonché su quello finanziario, economico e sociale. L’analisi, in particolare, rileva come la differenziazione non possa prescindere dalla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni, dal pieno riconoscimento delle prerogative parlamentari e da un sistema di garanzia dei diritti (sociali) su tutto il territorio nazionale, sottolineando le aporie presenti all’interno dello stesso disegno di legge.
  • QRS N. 2/2023

    22.00 
    Perché misurare le associazioni datoriali
    • La rappresentatività sindacale a dieci anni dal Testo Unico
    • Sindacato e iscritti: la Camera del Lavoro di Milano
    • Lavoro e insicurezza in una società divisa
  • Le pressioni per la de-regolazione e per una maggiore flessibilità che la crescente interconnessione economica internaziona-le ha innescato, necessitano di una riflessione sulle azioni e strategie degli attori sociali. Tra questi le associazioni degli imprenditori che non sempre attraggono l’attenzione degli studiosi di relazioni industriali. Gli ambiti tradizionali di azione di queste associazioni sono mutati in maniera differente tra i vari paesi Europei. Schmitter e Streeck (1999) mo-strano come il ruolo delle associazioni dei datori di lavoro sia modellato da due logiche compresenti, «appartenenza» e «influenza». In questo articolo esploreremo come le associazioni datoriali europee si muovono, e si adattano ai mutamenti sociali ed economici, all’interno di queste due logiche. Il principale elemento che emerge dalla disamina è che le differenze tra i paesi persistono all’interno però di un generale allargamento dei confini della rappresentanza.
  • Obiettivo di questo articolo è verificare se associazionismo e contrattazione continuino a essere le facce di una stessa medaglia ovvero se continui a verificarsi la tradizionale coincidenza tra la scelta di iscriversi ad una associazione di categoria e quella di applicare un contratto collettivo, in particolare settoriale. A partire da un recente lavoro svolto per le imprese tedesche, dopo aver inquadrato la questione in letteratura e utilizzando il ricco set di variabili misurate a livello di impresa dell’indagine Ril-Inapp, stimiamo quale tipo di relazione esiste tra le caratteristiche d’impresa e la probabilità che la stessa impresa sia contemporaneamente associata e applichi la contrattazione collettiva.
  • Il contributo analizza le connessioni tra mancata misurazione della rappresentanza datoriale e dumping contrat-tuale. Dopo aver rilevato che, lungi dal potersi descrivere come episodici effetti collaterali del volontarismo contrat-tuale, le possibilità di moltiplicazione (e shopping) negoziale sembrano ormai costituirne i principali elementi di appeal, l’A. si sofferma sull’alternativa tra criteri qualitativi e quantitativi di misurazione della rappresentanza datoriale. Nella parte conclusiva della trattazione, l’analisi verte anche sul costo «economico» del dumping contrattuale e in particolare sulle sue connessioni con il tema del lavoro povero o sotto-remunerato – connessioni ri-enfatizzate nel dibattito a margine dell’adozione della Direttiva dell’Ue su salari minimi adeguati e, da ultimo, nel dibattito in corso, nell’ordinamento interno, sulla possibile adozione di strumenti legali di tutela dei minimi salariali.