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Alunni stranieri e performance scolastiche: il caso di Milano
Milano ha conosciuto negli ultimi venti anni una consistente immigrazione internazionale, che nell’ultimo decennio si è tradotta anche in una significativa quota di alunni stranieri che frequentano le scuole della città. L’articolo si propone di indagare gli effetti di questa presenza sui livelli di performance delle scuole del primo ciclo. Nel farlo, si cercherà dapprima di definire le caratteristiche del fenomeno contestualizzandolo all’interno della letteratura internazionale sulla segregazione scolastica. Successivamente, si passerà a illustrare la concentrazione degli alunni stranieri nelle scuole milanesi, confrontandola con quella della popolazione straniera nel territorio circostante. Infine, utilizzando dati Invalsi, si approfondirà l’analisi degli effetti sulle performance delle scuole in termini di apprendimenti. Tale analisi non trascurerà di prendere in considerazione anche la dimensione socio-economica della scuola oltre a quella etnica.
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Dalla città rossa alla città «subprime». La crisi industriale e sociale di Livorno
Livorno continua a essere una città decisiva per la storia d’Italia: la nascita del Partito comunista, l’imponente passato industriale, la mobilitazione operaia e adesso la ristrutturazione industriale e la rielaborazione identitaria. Tra cambiamento e persistenza, Livorno si pone come laboratorio per tutte le ex città industriali italiane, almeno su due piani: a livello strutturale, la città «esplode» la transizione dall’industria portuale e cantieristica alla rendita finanziaria e alla rigenerazione urbana, mentre – sul piano della governance – le rappresentanze della classe operaia (il partito, che a Livorno mantiene una linea di continuità ideale con l’epoca comunista, la Camera del Lavoro e le cooperative dei lavoratori) dismettono la conflittualità di classe e contribuiscono prima all’aumento della produttività, poi alla gestione dello sviluppo urbano nella città deindustrializzata. L’articolo riassume sessanta anni di storia livornese, tra economia, politica e società.
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Le politiche urbane e gli stadi
Da almeno due decenni gli stadi europei hanno intrapreso la strada di una profonda trasformazione. Oltre che nelle esigenze del calcio contemporaneo, tale trasformazione ha radici anche nei cambiamenti in atto nel campo delle politiche urbane. Gli stadi moderni sono oggi assai più che un mero spazio all’interno del quale assistere alla partita. Sempre più essi divengono luoghi privati, costruiti come efficienti cash machine destinate a un ampio spettro di attività di consumo. Questi cambiamenti promuovono nuovi pubblici di clienti con ampie capacità di spesa, assai diversi dai tifosi tradizionali. Lo stadio è dunque un luogo entro cui si affermano dinamiche commerciali e di gentrification, in un quadro ben più ampio e generalizzato di mercificazione dello spazio pubblico comune a molte città contemporanee.
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Un nuovo sviluppo in risposta ai bisogni delle persone e del territorio
L’Unione europea a 28 paesi membri è il maggior produttore di ricchezza del mondo: il più grande importatore e il più grande esportatore di beni e servizi. È un gigante economico inconsapevole (e un nano politico). Le politiche economiche fondate sulla «austerità accrescitiva» e il fiscal compact condannano l’Europa a una bassa crescita e a una disoccupazione strutturale. La specializzazione manifatturiera europea è progressivamente in competizione con quella asiatica (sia nella gamma alta della produzione che in quella bassa). Nel frattempo la crisi ha cambiato i bisogni sociali e ridotto gli investimenti sul welfare. L’assenza di politiche industriali di indirizzo e il contenimento della spesa pubblica hanno portato a un impoverimento progressivo del territorio: per crescita inquinamento e scarsità di manutenzione. L’Europa ha bisogno di un nuovo «modello di sviluppo» basato sulle sue caratteristiche e le sue vocazioni storico-economiche e orientato ai bisogni delle persone e dei territori (sostenibilità sociale e ambientale). Questo salto di politica non è realistico si compia a partire da decisioni top down. La nuova crescita nasce da risposte locali ai nuovi bisogni (delle persone e dei territori). Da questa domanda si creeranno nuovi mercati su cui orientare le produzioni innovative di merci e servizi. «La domanda locale determinerà l’offerta globale». Il sindacato può essere agente e protagonista di questa svolta con la contrattazione sociale territoriale e la microconcertazione con i governi locali, a partire dalle città.
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Welfare aziendale o contrattuale? Rischi e opportunità
Per lungo tempo il tema del welfare contrattuale ha attraversato il dibattito interno alla Cgil, alimentando sospetti, reticenze, contraddizioni che non hanno consentito una riflessione approfondita sulla natura del fenomeno e sulle sue possibili evoluzioni, ritardando così l’elaborazione di una propria visione autonoma. Oggi il tema del welfare contrattuale è diventato centrale nel dibattito nazionale, tanto nelle azioni del governo, quanto nelle posizioni e nelle proposte dei soggetti di rappresentanza, innanzitutto di parte datoriale. In particolare, sul welfare aziendale la recente Legge di stabilità ha previsto ulteriori misure di sostegno e agevolazioni di natura fiscale. Solo un solido sistema di welfare pubblico e universale consente di sviluppare esperienze di welfare integrativo sostenibili anche in termini di costi e convenienze contrattuali. Anche per questo il welfare contrattuale (nazionale o aziendale) pur se rivolto solo ai lavoratori dipendenti e ai loro familiari deve contribuire a quello universale e in questo senso è decisivo il rapporto tra il welfare contrattuale/aziendale e il territorio dove opera l’impresa.
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Come rendere più inclusivo il welfare contrattuale e aziendale
In questi anni a fronte di una minore tutela offerta dal welfare pubblico, è cresciuto il peso del welfare aziendale e contrattuale, e con esso, anche il rischio di accrescere le distorsioni già esistenti, in particolare quelle distributive e territoriali. È stato invece poco esaminato il ruolo dello Stato sulla crescita del welfare contrattuale e aziendale, in particolare attraverso le misure fiscali. È questo il tema su cui si concentra l’articolo, analizzando in particolare le misure di agevolazione contributiva e fiscale, introdotte a partire dal 2007, con l’obiettivo di favorire la diffusione della contrattazione di secondo livello e la crescita della produttività. Con il recente intervento del Governo Renzi sono state inserite alcune modifiche in grado di generare anche effetti diretti sulla crescita del welfare aziendale e contrattuale. Dopo aver esaminato le caratteristiche di queste misure dal 2007 a oggi, le risorse stanziate e il loro possibile impatto sulla diffusione della contrattazione decentrata e sulla crescita del welfare contrattuale e aziendale, vengono messi in evidenza alcuni effetti negativi e si avanzano alcune proposte per favorire la crescita di un welfare aziendale e contrattuale più inclusivo.
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Ciò che è e ciò che potrebbe essere. Riflettendo sull’ultimo libro di Luciano Gallino
Il Denaro, il Debito e la Doppia Crisi, spiegati ai nostri nipoti è l’ultimo libro di Luciano Gallino, pubblicato circa un mese prima della sua scomparsa a novembre dello scorso anno1. Il motto che Gallino ha posto in esergo al libro (riprendendolo da Rosa Luxemburg) è questo: «Dire ciò che è, rimane l’atto più rivoluzionario». «Ciò che è» Gallino vuole dirlo soprattutto ai giovani, rappresentati dai suoi nipoti, ai quali il libro è rivolto. E «ciò che è», nel mondo contemporaneo agli occhi di Gallino – non possiamo sorprendercene – ha i colori del grigio scuro, se non del nero. Però c’è anche quel che potrebbe essere e qui Gallino si sforza di vedere altri, più rasserenanti, colori; su di essi vuole attirare lo sguardo dei giovani. Questo indirizzamento dello sguardo verso nuovi orizzonti raggiungibili ha il valore di un messaggio speciale (non direi testamento, e non solo perché la parola non è tra quelle che preferisco) da parte di uno studioso per molti versi unico. A quel messaggio è bene prestare tutta l’attenzione che merita. Queste note sono un tentativo di farlo.
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Il libro-testamento di un sociologo eretico
Scopo di questo articolo è rileggere l’analisi che Luciano Gallino compie della crisi del capitalismo e del sistema ecologico alla luce del suo precedente lavoro teorico e di ricerca empirica. L’ipotesi è che lo sviluppo della sua prospettiva sociologica di analisi della crisi e la critica delle sue configurazioni istituzionali e culturali sia radicata nella teoria della società che l’autore ha elaborato nel corso della sua lunga carriera intellettuale ma prenda anche le distanze da precedenti rappresentazioni della struttura di classe e della lotta di classe. L’analisi di Gallino della finanziarizzazione della società e del modo in cui la sua logica è stata applicata alle relazioni sociali e politiche induce a un ripensamento della metodologia delle scienze sociali allo scopo di riconsegnare la sociologia alla sua originaria vocazione critica.
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L’economia della condivisione tra retoriche, ambiguità e lati oscuri. Riflessioni a partire dal caso Airbn
Il concetto di economia della condivisione (sharing economy) ha avuto una rapida diffusione, in ambito scientifico e nel mondo dell’attivismo civico, diventando presto un concetto passe-partout cui ci si riferisce per indicare una eterogeneità di pratiche, accomunate dal principio della orizzontalità, della condivisione, dell’utilizzo dei media digitali. Obiettivo del contributo è indagare criticamente il concetto, decostruendone ambiguità e retoriche. Si indagherà, in particolare, il caso di Airbnb, una piattaforma nata per favorire il libero scambio di appartamenti e camere tra privati che ha rivoluzionato il mercato degli affitti a breve periodo e ha generato benefici per piccoli proprietari e clienti, ma ha anche favorito la creazione di un mercato deregolamentato dell’affitto e creato una condizione di oligopolio. Si farà riferimento, nello specifico, al caso di Barcellona, in cui ha preso forma un contenzioso tra i gestori della piattaforma e l’amministrazione, che vede in Airbnb uno strumento che alimenta ulteriormente il processo di espulsione degli abitanti dalla città a favore dei turisti, rendendo più vantaggioso l’affitto di breve periodo rispetto a quello a medio e lungo termine, contribuendo, quindi, al processo di gentrification.
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Le metapolitiche per la città. Una introduzione
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La rigenerazione urbana: welfare e workfare? Uno studio comparativo tra Francia e Stati Uniti
In Francia e negli Stati Uniti il degrado del patrimonio immobiliare di edilizia pubblica e la concentrazione della povertà in alcuni quartieri popolari hanno promosso, a partire dall’inizio degli anni 2000, la progettazione di programmi di rigenerazione urbana di ampia portata. Una questione rimane ancora in sospeso: quale profilo dare a questi programmi urbani caratterizzati da finalità sociali? L’articolo si occupa dell’ambiguità che riguarda tali programmi, in particolare nei casi delle città di Parigi e Chicago, osservando l’emergere del workfare come modello principale delle iniziative osservate.
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Politiche, crisi e socialità nelle periferie europee e italiane. Uno sguardo di sintesi
I quartieri popolari sono divenuti la «nuova questione sociale». Luoghi stigmatizzati dove vivono soggetti e gruppi maggiormente colpiti dai mutamenti degli assetti socio-economici. L’interazione tra processi di esclusione e segregazione spaziale alimenta un circolo vizioso che enfatizza una logica d’emergenza. In tali contesti la presenza di nuclei immigrati rappresenta un ulteriore fattore critico che rafforza l’idea di uno «spazio altro». La risposta dell’azione pubblica è di promuovere le cosiddette «area-based policies» focalizzate sull’assunto di ricostruire il legame sociale e una sorta di socialità positive. Gli effetti di queste politiche risultano deboli poiché non affrontano le cause strutturali della segregazione sociospaziale e, soprattutto, non riducono la distanza tra la periferia e il centro. Vi è, quindi, la necessità di creare nuove forme di cittadinanza attraverso il rinnovamento dell’azione amministrativa e il cambiamento delle periferie in autonomi spazi di dialogo per condividere l’innovazione delle politiche.
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