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Il mercato del lavoro in Germania
Il mio intervento intende affrontare alcuni degli aspetti salienti del mercato del lavoro in Germania. È già emerso che le questioni delle qualifiche e della crescita economica sono strettamente correlate alle condizioni lavorative e all’organizzazione delle strutture sindacali. Riguardo alla situazione tedesca, possiamo dire chiaramente che abbiamo un problema a livello di crescita. Il reddito nazionale, quindi il Prodotto interno lordo, è una cifra aumentata solo di poco, ossia dell’1,3 per cento, nonostante il processo di unificazione della Germania negli ultimi decenni. ...
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Il merito: talento, impegno, caso
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Il Metodo aperto di coordinamento nei paesi dell’allargamento
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Il Mezzogiorno e l’Unità d’Italia
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Il Mezzogiorno come realtà disomogenea e le implicazioni della disuguaglianza interna
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Il Mezzogiorno si rinnova
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Il Mezzogiorno tra dualismi, spopolamento e «lavoro indecente»
Questo articolo mette in evidenza e commenta tre fenomeni: a) il dualismo economico all’interno dell’Unione europea, il dualismo storico Nord-Sud in Italia e l’accentuarsi del dualismo interno al Sud; b) le trasformazioni demografiche e i loro nessi con la situazione economica; c) i contradditori processi di modernizzazione dell’agricoltura con il concentrarsi di lavoro gravemente sfruttato nelle aree più ricche. Si tratta di fenomeni che hanno all’origine spinte e processi diversi fra di loro ma anche dinamiche comuni. I principali elementi che li legano sono l’internazionalizzazione e l’ulteriore segmentazione del mercato del lavoro. Una chiara espressione di questo secondo aspetto è la contemporanea presenza di immigrazione e disoccupazione nelle regioni del Mezzogiorno. La ripresa dell’emigrazione dal Sud verso il Nord e l’estero è frutto delle carenze dello sviluppo e della domanda di lavoro dal punto di vista dell’dinamica e della qualità. Nel frattempo è cresciuta una offerta di lavoro immigrata disponibile ad accettare salari e condizioni di lavoro indecenti.
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Il microcredito come leva di inclusione finanziaria
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Il mio territorio finisce qui
13.00
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Un’umanità sconosciuta: ridot ta a fatti di cronaca, dove spesso vince la curiosità del dettaglio più crudo, il richiamo all’allar me sociale, la reazione delle vittime e dei lo ro parenti, le sentenze più o meno con divise dei giudici. In queste pagine quella umanità assume il volto di persone, storie individuali, percorsi di vita che si intrecciano con la vita di chi le racconta: una giudice del Tribunale per i Mino renni di Roma, Maria Teresa Spagnoletti, che per decenni ha incontrato nelle aule di giustizia e nelle carceri minorili centinaia di questi ragazzi invisibili ai nostri occhi. Ce li racconta con un linguaggio asciutto, talvolta duro come le loro vite, profondo ma mai con un cedimento alla retorica o alle banalità del senso comune. È un magistrato che giudica i fatti commessi, non le persone, e anzi non si rassegna, data la loro giovane età, all’ineluttabilità di un destino che per molti di loro appare a prima vista già segnato e immodificabile. Per questo, nel suo lavoro, ascolta, scom mette sulla fiducia, su quanto una buona esperienza scolastica, un impegno nel volontariato e il lavoro solidale di tanti operatori possano accendere nuovi interessi e visioni della vita. Crede in loro anche quan do chiunque al suo posto avrebbe molti dubbi; ma non si arrende neanche di fronte agli insuccessi, che ci racconta con realismo, passione, mai rassegnazione. Un libro che è testimonianza di un impegno e di una cultura che non cede al pregiudizio sociale e alla deriva autoritaria che affiora nelle pieghe della società.
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Il mio viaggio fortunoso
12.00
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Il 25 giugno 1933 Claudio Cianca fa esplodere un ordigno inoffensivo nel pronao della Basilica di San Pietro. Ha soltanto vent’anni e con il suo gesto vuole richiamare l’attenzione del mondo sull’Italia oppressa dal fascismo. Condannato a 17 anni di carcere, torna libero il 9 settembre 1943 e partecipa alla Resistenza romana. Nel dopoguerra è dirigente della CGIL, parlamentare comunista, consigliere comunale in Campidoglio, protagonista di memorabili battaglie contro la speculazione fondiaria ed edilizia, leader carismatico degli edili, che lo accolgono con grande calore quando va nei cantieri a tenere i «comizi volanti». In questo libro-intervista Cianca rievoca momenti cruciali della storia italiana del Novecento di cui è stato testimone, partecipe, protagonista. Ai toni enfatici preferisce la divertita ironia, ispirata da una visione ottimistica che lo induce a ritenersi fortunato – «Se non mi avessero messo dentro forse sarei morto in qualche fronte di guerra» – e a trasmettere alle giovani generazioni un messaggio di speranza e di libertà. In allegato il DVD con l'intervista a Claudio Cianca.
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Il miracolo del latte
13.00
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Collecchio, 19 dicembre 2003. Un comunicato battuto alle 7,50 informa che alla Bank of America di New York non esiste alcun conto di 4 miliardi di euro riconducibile alla Parmalat Spa. È la parola fine per la Parmalat di Calisto Tanzi. La favola della multinazionale nata 42 anni prima da un salumificio di provincia finisce così, con queste righe che ufficializzano la notizia del crac finanziario più catastrofico della storia d’Europa. Tanzi è arrestato, Parmalat è posta in amministrazione straordinaria, si appurano i falsi in bilancio e si conosce l’anima nera dell’azienda candida creata dal monsignore del latte Calisto, benefattore e uomo di Chiesa. Ma è proprio da quella fine che comincia una nuova storia perché sono gli operai e gli impiegati, con i sindacati e i pochi manager superstiti, a prendersi la fabbrica. È la storia del salvataggio della Parmalat e del paradosso dei paradossi del capitalismo italiano: un’azienda che secondo le leggi del mercato e della cultura liberista avrebbe dovuto fallire continua invece a fare latte e derivati e succhi di frutta. E in cima alla pila traballante dei 14 miliardi e passa di buco tiene in equilibrio migliaia di posti di lavoro, migliaia di famiglie e di vite, conserva inalterati gli accordi sindacali, e gli stipendi e i premi di produzione, non facendo ricorso a un’ora di sciopero, così supplendo all’etica di un gruppo imprenditoriale divorata dall’illecito e dal demone del profitto ad ogni costo.
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Il mito della «democrazia immediata»: rappresentazione o rappresentanza?
L’articolo propone alcune riflessioni sui significati, anche molto divergenti, che vengono solitamente attribuiti alla «crisi della democrazia», in particolare alla crisi della «democrazia rappresentativa». In effetti, le diverse interpretazioni di tale «crisi» presuppongono comunque un’idea o un modello di democrazia, da cui discendono non solo letture diverse della realtà, ma anche possibili soluzioni politiche alternative. Una riflessione teorica normativa sulla democrazia, quindi, è necessaria, e deve essere pienamente portata alla luce. Da questo punto di vista, l’articolo sostiene che la principale linea discriminante possa e debba essere individuata distinguendo, da un lato, una visione della democrazia fondata sull’immediatezza delle relazioni tra il «volere» del popolo e le «decisioni» delle istituzioni politiche; dall’altra, una visione della democrazia fondata invece sulle forme della mediazione e della rappresentanza. Una visione, quest’ultima, in cui cruciale diviene la creazione di una sfera pubblica critica e riflessiva in grado di interagire con i processi decisionali. È evidente, tuttavia, che nelle condizioni delle odierne democrazie contemporanee, le forme e gli attori della «rappresentanza» non possono essere solo quelli imperniati sulla accountabiity e sulla responsiveness elettorale, ma devono essere concepiti in termini più ricchi, ampi e rinnovati. In particolare, un crescente rilievo stanno assumendo, e possono ricevere, tutte quelle forme della rappresentanza che si possono definire self-authorized, ovvero fondate su un’istanza di rappresentatività che trascende i tradizionali meccanismi elettivi.
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