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Il reddito di base come dividendo del capitale sociale e piattaforma di un’economia «plurale»
L’articolo discute l’ipotesi di un reddito di base – un trasferimento monetario individuale, universale e non-condizionato – in un orizzonte temporale di lungo periodo. Nelle sezioni 2 e 3 la proposta è difesa dalle due principali obiezioni che la riguardano: quella di violare il principio di reciprocità e quella di essere economicamente insostenibile. In risposta alla prima, il reddito di base è giustificato come uno strumento che distribuisce in modo equo i frutti di un patrimonio comune, costituito dal capitale sociale che ogni generazione eredita da quelle che l’hanno preceduta; per quanto riguarda la seconda, la risposta verte sulla convinzione che gli effetti di riduzione del tempo di lavoro – attesi e desiderati – non sono comunque tali da pregiudicare la base di prelievo dei trasferimenti. La sezione 4 è dedicata al collegamento della proposta con il tema della disoccupazione tecnologica e con la necessità/ opportunità di affrontarlo nella logica di un’economia plurale, della quale il reddito di base è una condizione di realizzazione.
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Il Reddito di cittadinanza: cosa dicono finora i dati
L'articolo è dedicato alle prime evidenze quantitative sulla diffusione del Reddito di cittadinanza. L’ampia discussione tecnica e politica che ne ha preceduto l’introduzione ha costituito un’importante occasione per elaborare stime sui suoi possibili effetti. Nella prima parte del lavoro confrontiamo queste simulazioni, evidenziando similitudini e differenze. La seconda parte è invece dedicata all’analisi delle informazioni quantitative che l’Osservatorio Inps ha da poco pubblicato dopo i primi sei mesi della misura. L’integrazione con dati su numero di famiglie e tassi di occupazione per fascia di età, a livello provinciale, ci permette di ottenere alcune conclusioni, in parte sicuramente preliminari, sulle caratteristiche distributive del Rdc e sull’evoluzione della povertà in Italia.
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Il Reddito di inclusione è lotta alla povertà?
Le disuguaglianze sono in crescita e le pratiche di welfare non riescono a contenerle. Il dibattito degli ultimi cinque anni si è concentrato sui trasferimenti monetari e sulla loro capacità di ridurre la povertà. I risultati non corrispondono alle aspettative e invece di ridurla è cresciuto l’assistenzialismo. È una grande criticità del welfare italiano, malgrado l’incremento delle risorse destinate a questo scopo. Prevale il materialismo metodologico fatto di tanti trasferimenti con pochi servizi, in un cronico deficit di infrastrutture e di capacità professionali per aiutare ad aiutarsi. Le probabilità che il Reddito di inclusione contribuisca a invertire questo andamento sono da scoprire, ma intanto conosciamo tutti i rischi di analoghe pratiche categoriali. La nuova misura non è esente da queste criticità e potrà contribuire alla duplicazione delle risposte, che già oggi si sovrappongono anche a vantaggio di chi non ne ha bisogno. Le analisi nelle regioni dove sono state anticipate azioni analoghe non sono incoraggianti. Per questo sono necessarie verifiche indipendenti e rigorose sui risultati di processo, di esito e di impatto sociale.
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Il reddito minimo come strumento di intervento su diseguaglianza, povertà, frammentazione del mercato del lavoro
Il reddito minimo (o di cittadinanza) è un’idea di politica di sostegno del reddito che può assumere la veste universale di un’erogazione di welfare con effetti redistributivi oppure essere concepita come strumento di lotta alla povertà o infine come strumento di garanzia di fronte al crescente impoverimento e alla frammentazione di ampi segmenti del mercato del lavoro. Tranne Grecia e Italia tutti i paesi della Ue hanno avviato politiche di sostegno universale del reddito, ma quasi tutte sono condizionate da politiche attive per l’inserimento sul mercato del lavoro. In Italia l’esperimento del Reddito minimo di inserimento (1998) è stato abbandonato ma si è allargata la platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali e dei sussidi di disoccupazione. A livello regionale e comunale le esperienze sono ancora circoscritte e dipendono dalle risorse disponibili, però confermano l’esistenza del desiderio di esplorare questa strada.
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Il reddito minimo e l’Italia della crisi
Dopo una prima parte dedicata all’illustrazione delle conseguenze della recente crisi sulla povertà tra le famiglie italiane, l’articolo ripercorre le motivazioni che rendono urgente e praticabile l’introduzione di uno schema universale di reddito minimo di inserimento contro la povertà. Vengono infine quantificati costi ed effetti distributivi di un reddito minimo dal disegno molto semplice, ma sufficientemente vicino ad analoghi strumenti in vigore in altri paesi europei.
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Il regime della retribuzione e il tfr
7.00
€
Il volume affronta le più attuali questioni relative al regime giuridico della retribuzione, evidenziando, rispetto ai singoli profili, le soluzioni emerse in sede normativa, giurisprudenziale e sindacale, così da fornire una descrizione critica e nel contempo pratico-casistica dei diversi aspetti problematici sul tappeto. In particolare il saggio si sofferma sul giudizio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione; sul concetto di onerosità e gratuità della prestazione lavorativa; sul principio di parità di trattamento; sul criterio di onnicomprensività della retribuzione; sulle modalità di adempimento dell’obbligazione retributiva; sulle diverse forme di compenso; sulle voci dirette, differite e automatiche di remunerazione; sull’evoluzione storica e sulle prospettive applicative dell’istituto del trattamento di fine rapporto. Le diverse questioni vengono esaminate prevalentemente nella prospettiva del rapporto di lavoro privato, anche se non mancano approfondimenti e rinvii alla realtà normativa e contrattuale del pubblico impiego.
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Il riscatto dei lavoratori
13.00
€
L’emigrazione italiana in Francia (1880-1914) fu anche lotta di classe e partecipazione alle rivendicazioni del movimento operaio d’oltralpe. A partire dallo studio di fonti italiane e francesi, il libro offre un quadro d’insieme sulla presenza italiana nel Sud-est del paese e ricostruisce il ruolo di primo piano assunto dagli immigrati italiani negli scioperi dei principali centri del litorale. Questo importante traguardo era il frutto del lavoro di propaganda portato avanti dai socialisti italiani «fuoriusciti» che fecero da tramite tra gli immigrati italiani e i sindacati francesi. Le figure protagoniste furono quelle di Luigi Campolonghi a Marsiglia e Giovanni Petrini a Nizza, sorretti da un attivo gruppo di militanti che, a partire dai primi anni del Novecento, guidarono le rivolte dei lavoratori. In quegli stessi anni si realizzò una svolta importante nelle relazioni italo-francesi e, soprattutto, fra immigrati italiani e popolazione locale. Tuttavia, anche se violenze e scontri – particolarmente frequenti nell’ultima decade dell’Ottocento – tendevano a diminuire, all’alba del 1914 resistevano tensioni tra italiani e francesi, dalle quali emergeva lo scarso radicamento degli ideali internazionalisti all’interno delle stesse organizzazioni del movimento operaio. Lo scoppio della prima guerra mondiale interruppe un percorso fatto di luci e ombre: condivisione di battaglie comuni e conflitti, più o meno latenti, legati alla nazionalità dei lavoratori.
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Il rischio abitativo: riflessioni fra teoria e ricerca empirica
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Il rischio psicosociale: lo stress lavoro correlato e gli strumenti di intervento
L’evoluzione dei modelli organizzativi del lavoro ha portato negli ultimi decenni all’emergere di diverse situazioni di disagio definite come «rischio psicosociale», che comprendono lo stress correlato al lavoro, le molestie e le situazioni in cui si configurano forme di vera e propria violenza. Lo stress da lavoro correlato costituisce oggi la condizione più diffusa di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Il saggio valuta l’evoluzione del rischio psicosociale e dello stress nel nostro sistema economico, prendendo in considerazione alcune tra le principali misure promosse per contrastare il fenomeno e valutando ricerche che mettono in rilievo degli aspetti particolari della problematica. In particolare si considera il ruolo del dialogo sociale e del sindacato, sia nelle politiche che negli interventi in azienda, per promuovere modelli organizzativi in grado di limitare le situazioni di disagio collegate allo stress correlato al lavoro e per favorire il benessere aziendale come condizione prevalente nei sistemi produttivi. Inoltre si considerano i dati provenienti dalle analisi dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute rispetto al rischio psicosociale. La tesi dell’autore è che i modelli organizzativi del lavoro che stanno emergendo in questi anni, in particolare l’idea che la prestazione lavorativa sia da valutare quale «performance», implichino la diffusione di un maggior rischio psicosociale e di un conseguente minor benessere lavorativo.
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Il rischio stress lavoro-correlato nel settore metalmeccanico
12.00
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La salute, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è uno stato di completo benessere, fisico, mentale e sociale. Negli ultimi dieci anni le leggi e gli accordi tra le parti sociali hanno rafforzato gli obblighi per la tutela della salute dei lavoratori dando sempre maggiore importanza alla prevenzione dei rischi psicosociali. In particolare, il decreto legislativo 81/2008 impone a tutte le imprese l’obbligo di effettuare la valutazione del rischio stress correlato al lavoro, secondo quanto previsto dalle indicazioni della Commissione consultiva permanente. Questo tipo di rischio e i conseguenti danni sono infatti all’origine di molte malattie professionali, di molte disfunzioni organizzative e di vere e proprie patologie fisiche come quelle del sistema cardiovascolare. La prevenzione e l’adozione di misure correttive sono indispensabili per avere un lavoro più produttivo e di qualità, un migliore dispiegarsi delle relazioni industriali ed interpersonali, un maggiore benessere e soddisfazione per chi lavora e minori spese per il sistema sanitario nazionale e per l’INAIL. L’Associazione Bruno Trentin, per conto e con il supporto della CGIL nazionale e della FIOM CGIL, ha condotto una ricerca – di cui si presentano qui i risultati – per capire lo stato della valutazione del rischio stress nelle aziende metalmeccaniche in Italia, ascoltando il parere dei Rappresentanti dei lavoratori per la salute e sicurezza. Come mostrano le analisi, una delle sfide principali è quella di favorire la partecipazione dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali nella gestione della prevenzione e nella definizione dei cambiamenti nei processi di lavoro, per affermare uno sviluppo collettivo fondato sulla qualità e sulla tutela della salute psicofisica dell’individuo.
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Il ritorno al passato della lotta alla povertà. Dal welfare universale al welfare categoriale
L’articolo si concentra sul nuovo modello di politiche di contrasto alla povertà delineato con il decreto legge n. 48/2023, convertito con legge n. 85/2023 (cosiddetto «decreto Lavoro»), che ha abolito il Reddito di cittadinanza e introdotto due distinte misure, Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro, segnando così il passaggio da uno strumento di welfare universale a interventi categoriali. Nel contributo si delinea l’impatto che questo radicale cambiamento potrebbe avere sulla popolazione in povertà in base ai dati forniti dai principali istituti
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Il ritorno della povertà: vecchi problemi, nuove sfide
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