• CM N. 5/2023

    15.00 
    Editoriale
    • Aldo Tortorella, La cultura dell’odio e quella della pace
    Osservatorio Israele/Palestina
    • Summa, Sospesa dalla Knesset perché critica Netanyahu. Intervista a Aida Touma-Sliman
    • Schuldiner, Quali fondamenti a sinistra per un’alleanza di pace?
    • Napoletano, L’Unione europea alla ricerca di un ruolo perduto
    • Moltedo, Biden nella morsa di Bibi
    • Grandi, Battaglia referendaria per una strategia vincente contro le destre
    • Piccolino, Puleo, Fratelli d’Italia tra radicalismo e normalizzazione
    • Chiodo Karpinsky, L’opposizione russa a guerra e dittatura
    • Tsakalotos, Leaderismo e governismo all’origine della crisi di Syriza
    Laboratorio culturale
    • Tedde, L’autogoverno popolare dello spazio pubblico
    • Vaccaro, Cento anni di teoria critica
    Schede critiche
    • La Porta, L’opera-vita di Gramsci
  • RPS N. 3/2023

    22.00 
    Innovazione sociale, intelligenza artificiale, bisogni sociali insoddisfatti  
    • Il ruolo del sindacato nella regolazione delle Big Tech
    • Lotta alla povertà. La necessità di cambiare paradigma
    • Tra grandi dimissioni e lotta allo sfruttamento
    • La secessione dei ricchi: un progetto contro l’Italia
  • Il contributo riflette sulla necessità di porre su basi analitiche serie la considerazione dell’In-telligenza artificiale, analizzandone lo sviluppo entro la valutazione di una sfera globale in grande sommovimento. Ciò anche al fine di tenere il lavoro al centro dell’attenzione. L’obiet-tivo della «piena e buona occupazione» va rilanciato proprio quando così tanta incertezza grava sulle conseguenze di una rivoluzione tecnologica in atto. Da questo punto di vista ci si chiede se l’innovazione, invece di essere lasciata alle forze di mercato, non possa essere diretta «a monte», diretta per esempio verso finalità più nobili che non il risparmio di lavoro, quali la creazione di lavoro e la soddisfazione di bisogni sociali insoddisfatti.
  • Solo una capacità fiscale centrale può fornire beni pubblici europei e mirare a colmare i ritardi nell’Ia (Intelligenza artificiale) rispetto agli Usa e alla Cina. L’Ia potrebbe aumentare la disuguaglianza di reddito e ricchezza perché è ad alta intensità di capitale e fa risparmiare lavoro. Possiamo rendere l’Ia più inclusiva ex ante. L’Ue sta preparando la prima normativa organica al mondo per gestire le opportunità e le minacce dell’Ia. Questo ambizioso quadro normativo dovrebbe garantire ai lavoratori il diritto alla governance dei dati a livello aziendale per rafforzare il loro coinvolgimento nella progetta-zione e nell’uso di questa tecnologia. Le applicazioni Ia potrebbero essere implementate per ristrutturare i compiti e creare nuove attività dove il lavoro umano può essere reintegrato. Il problema è che il mercato tecnologico è dominato da poche grandi aziende con un modello di business in cui l’eliminazione dell’uomo dai processi produttivi è considerata un imperativo. Queste imprese rappresentano la maggior parte degli investimenti in ricerca sull’Ia nel mondo. Per questi motivi l’Ue deve darsi una specifica politica industriale e creare una propria infrastruttura di ricerca per implementare un modello europeo di sviluppo dell’Ia.
  • L’Intelligenza artificiale ha rappresentato per lungo tempo un’ambizione di straordinaria portata, evocata dalla sua stessa denominazione e dalle esplicite dichiarate intenzioni di molti dei suoi studiosi. Di fianco a significativi risultati pratici, il sogno della macchina intelligente per antonomasia, quella confondibile col pensiero umano nei più svariati ambiti, è rimasto nel cassetto. Gli ultimi sviluppi dell’Ia, quella cosiddetta «generativa», sta ripro-ponendo l’attualità della sfida originaria. Le capacità di dialogo di sistemi come ChatGpt stupiscono nelle loro prestazioni persino i loro stessi realizzatori e aprono un dibattito par-ticolarmente intenso sulle prospettive future e sugli impatti di questi sistemi. È davvero così? Sono questi nuovi sistemi in grado di «intendere» i significati che elaborano e che sviluppano nelle loro interazioni? E quale atteggiamento di fiducia possono adottare gli umani nei confronti di questi sistemi? Quale sarà l’impatto reale sulle nostre vite individuali e sociali? Il dibattito è aperto. Esso coinvolge non solo gli esperti e le intellettualità. Le opinioni sono varie e non convergenti. Le opportunità sono certamente rilevanti. I problemi e i rischi pos-sono già essere delineati. Una consapevolezza diffusa e una maggiore capacità di governance di questo fenomeno incombente e pervasivo è richiesta con urgenza.
  • L’articolo discute della natura politica della tecnologia, con particolare riguardo all’Intelli-genza artificiale, e del ruolo centrale rivestito dai corpi intermedi, come il sindacato, nel contrattare le funzionalità e le caratteristiche dei sistemi tecnici adottati nella gestione del lavoro, ma più in generale nella gestione delle relazioni sociali e in quelle tra società e risorse naturali. Si ritiene che il sindacato possa rappresentare un attore essenziale nel contenere gli effetti perversi di alcune tecnologie sulla società, attivando le pratiche necessarie per usare gli strumenti tecnici, in particolare quelli digitali, a favore della tutela dei diritti di lavoratori e cittadini.
  • Nel contributo si propone di creare un’alternativa pubblica e sovranazionale all’oligopolio delle grandi imprese di tecnologia dell’informazione, le cosiddette Tech Giants. Dopo questa premessa, ci si sofferma dapprima su una breve analisi sulla scala dei problemi che si hanno di fronte, per poi presentare una proposta per l’economia digitale che trae origine dall’elabo-razione, sin dal 2019, del concetto di impresa pubblica europea ad alta intensità di cono-scenza.
  • Il contributo esprime la posizione del sindacato e nello specifico della Cgil sulle questioni relative alla privatizzazione della conoscenza e più in generale del restringimento del peri-metro pubblico. A fronte è di un complessivo impoverimento del paese e di un approfondimento delle dise-guaglianze, occorre un’azione politica in difesa dei beni pubblici, dei beni collettivi, a partire dalle infrastrutture della conoscenza. Perché oggi, sia che si parli di transizione verde o di transizione digitale, si tratta di aspetti centrali per poter affrontare una trasformazione del lavoro e della società in maniera trasversale.
  • Il contributo utilizza gli strumenti interpretativi della tradizione schumpeteriana per ana-lizzare la situazione economica dei primi lustri del XXI secolo come una fase di transizione dal declino del capitalismo fordista che caratterizzò il XX secolo alla formazione del nuovo capitalismo della conoscenza in cui la produzione di ricchezza è basata sulla generazione, valorizzazione e sfruttamento della conoscenza come bene economico.
  • Il contributo evidenzia come la rivoluzione tecnologica in atto non sia solo una rivoluzione industriale, non riguarda solo l’impresa, ma la società nel suo complesso. Incide sul lavoro, sugli stili di vita, sulla cultura, sulla comunicazione, sulle forme stesse della democrazia. Cambiamenti di questa natura e di questa portata non possono essere lasciati al mercato. C’è bisogno di un autorevole indirizzo e investimento pubblico. Il che comporta la necessità e la capacità di selezionare obiettivi, definire nuove convenienze, dare impulso a una do-manda pubblica in grado di agire contestualmente sull’offerta stessa creando così nuove im-prese, nuovi prodotti, occasioni di lavoro stabile e qualificato. È un cambiamento profondo che per non rimanere un progetto astratto deve sostanziarsi del rapporto concreto con le persone a partire dal mondo del lavoro. E questo ha bisogno in primo luogo di una nuova capacità di contrattazione ma anche di una grande alleanza tra sindacato e mondo del sapere. Anche per questa ragione diventa fondamentale il diritto alla formazione permanente e alla conoscenza. Solo così il sapere e la conoscenza diventano fattori decisivi di trasforma-zione e garanzia di cittadinanza.
  • Se non ci fossero state le donne, in questa nostra Repubblica, se non ci fossero state le loro tenaci battaglie di emancipazione e liberazione – condotte attraverso un intreccio fecondo di iniziative delle associazioni, dei movimenti, dei partiti, delle istituzioni – l’Italia sarebbe oggi un Paese molto più arretrato e molti articoli della Costituzione non sarebbero stati applicati. Il debito che l’Italia ha nei confronti delle donne lo racconta in modo inedito questo libro scritto e curato dalle volontarie della Fondazione Nilde Iotti. Lo fa illustrando in modo rigoroso e semplice le tappe e i contenuti delle conquiste legislative dall’inizio della Repubblica alla conclusione dell’ultima legislatura, che hanno cambiato la vita delle donne e l’assetto economico, sociale e culturale del nostro Paese. Il libro rammenta la battaglia per il diritto di voto e le «madri della nostra Repubblica», le donne elette nell’Assemblea Costituente, che diedero un contributo rilevante alla stesura della Costituzione. Sono citati gli articoli che più hanno favorito il cambiamento nella vita delle donne. Segue poi il racconto delle leggi con uno schema che ne indica la scansione in ordine cronologico dal 1950 al 2022, a cui si connettono le schede che ne illustrano i contenuti. Lo sguardo della battaglia delle donne è oggi e sempre più sarà quello europeo. Per questo il libro include una rassegna delle tappe e dei provvedimenti più significativi adottati dall’Unione Europea.
  • L’articolo si concentra sul nuovo modello di politiche di contrasto alla povertà delineato con il decreto legge n. 48/2023, convertito con legge n. 85/2023 (cosiddetto «decreto Lavoro»), che ha abolito il Reddito di cittadinanza e introdotto due distinte misure, Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro, segnando così il passaggio da uno strumento di welfare universale a interventi categoriali. Nel contributo si delinea l’impatto che questo radicale cambiamento potrebbe avere sulla popolazione in povertà in base ai dati forniti dai principali istituti
  • Tra la fine e l’inizio del Millennio la povertà è aumentata e cambiata, non solo in Italia, ma in tutta l’Unione europea. Ecco perché, nel 2010, l’Ue ha lanciato la campagna Stop Poverty per dare conto della situazione e sollecitare gli Stati membri a prendere dei provvedimenti, anche in collaborazione con la società civile. Le organizzazioni sociali italiane, vista la loro esperienza sul campo, hanno colto questo invito, costituendo, nel 2013, l’Alleanza contro la povertà in Italia. Grazie ai suoi molteplici studi e proposte, in primis il Rei, ha contribuito a costruire l’impalcatura di tutte e cinque le misure realizzate dai diversi governi, che non sempre sono state migliorative. Ecco perché, a dieci anni dalla sua nascita, il lavoro dell’Alleanza è importante anche in chiave critica per promuovere misure che siano sempre universaliste e in grado di fare leva, oltre che sul contributo economico, anche sulla capacitazione delle persone povere.
  • A partire dal volume di Francesca Coin (2023), il contributo si sofferma sul fenomeno delle grandi dimissioni che, sebbene non rappresenti l’unico cambiamento in corso nel lavoro e nella sua organizzazione, costituisce senza dubbio uno dei principali snodi critici con cui esso si manifesta. Dopo averne brevemente tratteggiato le caratteristiche, si sottolinea la necessità di una riflessione su cosa sia avvenuto negli ultimi anni, a cavallo della pandemia, da rendere i lavoratori così manifestamente più critici verso i lavori esistenti, che poi spesso sono «lavorini» di corto raggio, di breve durata e caratterizzati da trattamenti e tutele insufficienti.
  • Nella primavera del 2021, negli Stati Uniti, si è assistito ad un aumento vertiginoso di dimissioni volontarie. Da allora il dibattito sulle «grandi dimissioni» (Great Resignation) è diventato internazionale. Questo contributo cerca di gettare luce sul fenomeno attraverso una lettura critica di tre volumi che leggono le «grandi dimissioni» come manifestazione di una radicale insoddisfazione delle condizioni lavorative odierne. Il lavoro non ti ama: o di come la devozione per il nostro lavoro ci rende esausti, sfruttati e soli, di Sarah Jaffe, critica ferocemente la logica del lavorare «per amore» o lavorare «per gioco», smascherandone la radice neoliberista. Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita, di Francesca Coin, oscilla tra due chiavi intepretative: il rifiuto di un certo tipo di lavoro (quello tossico, precario, sotto-pagato) e il rifiuto del lavoro tout court, strizzando l’occhio alla tradizione dell’operaismo trontiano e negriano degli anni sessanta e settanta. Redonner du sens au travail. Une aspiration révolutionnaire, di Thomas Coutrot e Coralie Perez, si interroga sulla possibilità di ridare un senso al lavoro, proponendo in alternativa l’impresa liberata. È apprezzabile che il dibattito sulle «grandi dimissioni» abbia rimesso al centro dell’attenzione il degrado delle condizioni del lavoro di oggi: un punto ormai ineludibile.
  • Il contributo discute le richieste di autonomia regionale differenziata, così come formulate ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna nel corso del 2017, e dei contenuti del disegno di legge governativo 615/2023 volto a dare ad esse attuazione. Sostiene che queste richieste, anche se soddisfatte solo parzialmente, sono in grado di modificare profondamente in peggio la realtà del nostro paese. Per tre grandi ordini di motivi: perché a) configurerebbero la nascita di Regioni-Stato con amplissimi poteri a scapito dell’esecutivo nazionale; b) approfondirebbero il solco a danno dei territori più deboli nelle disponibilità economiche per la fornitura di essenziali servizi ai cittadini e alle imprese (e mortificherebbero il ruolo di Roma); c) spoglierebbero il legislativo di sue proprie potestà trasferendole ad oscure commissioni, creando un vulnus alla democrazia italiana. In realtà esse configurano, come più articolatamente argomentato in Viesti (2023), una vera a propria «secessione dei ricchi»
  • Nel 2018 avevamo finalmente cominciato a sanare l’anomalia italiana di non avere uno schema di reddito minimo. Il 2023 segna il ritorno al passato. Il decreto lavoro e la successiva conversione in legge re-introducono misure categoriali di sostegno al reddito, che distinguono pesantemente fra poveri meritevoli e non meritevoli, a dispetto della Raccomandazione europea dello stesso anno relativa a un reddito minimo adeguato. Le responsabilità del governo di centro destra sono evidenti: la sua azione, tuttavia, è stata facilitata dal radicamento e dall’estensione, nel nostro paese, delle resistenze culturali nei confronti del reddito minimo. Attraverso un’analisi rigorosa, ma di facile lettura, il volume mira a fornire gli strumenti indispensabili per cercare di contrastare queste resistenze e cambiare rotta. Entra nel dettaglio delle principali configurazioni di reddito minimo e dei più complessivi redditi di base, intendendo, per reddito di base, un trasferimento monetario, liberamente spendibile, finanziato dalle imposte e finalizzato ad assicurare uno zoccolo di reddito a tutti e tutte. Esamina le più recenti evoluzioni in atto nell’Unione europea e nei paesi membri che la compongono, soffermandosi con particolare attenzione sul caso italiano. Presenta, infine, le tante ragioni che possono essere invocate a favore di un reddito di base, delineando le principali implicazioni per le politiche di contrasto della povertà. Al riguardo, difende con forza quello che viene definito un reddito minimo di cittadinanza.
  • Per millenni ogni forma di discordia è stata considerata una patologia del «corpo politico». Ma attraverso il conflitto sociale i soggetti discriminati e subalterni hanno espresso i propri bisogni e le proprie istanze, rivendicando libertà, inclusione, uguaglianza, riconoscimento delle proprie identità. Nel corso del Novecento la società si è divisa in campi separati dalla loro posizione nell’ambito della produzione e lungo questa linea si sono articolate le differenti dimensioni del conflitto, che si è rivelato fattore di coesione sociale, condizione della democrazia e dei diritti. 
  • Gli Stati Uniti di oggi, alla fine del «fallito esperimento quarantennale del neoliberismo», come lo ha definito Biden, e appena prima delle elezioni presidenziali del 2024, in cui si deciderà il ritorno oppure la sconfitta definitiva del «trumpismo». Una fase cruciale, con la democrazia interna alterata dallo strapotere del Grande capitale e dalle trasformazioni profonde del mondo del lavoro, e resa «fragile» dalle disuguaglianze sociali e dalle divisioni ideologiche e politiche che attraversano la società. L’unica certezza, per ora, risiede nel grave insuccesso dei progetti di ricomposizione cui Biden aveva puntato, con il quadro internazionale investito sia dalla guerra in Ucraina, sia dal montare della contrapposizione nei confronti della Cina: due «fronti» diversi tra loro e che investono entrambi il Paese nelle sue aspirazioni «neo imperiali». Un quadro che, nell’insieme, riguarda anche l’Europa e l’intero sistema dei rapporti economico-politici e culturali su scala mondiale.