• Fin dalla metà degli anni Ottanta si osserva in molti paesi europei un significativo aumento di forme di lavoro temporanee e atipiche. Diversi dati empirici indicano come i lavoratori atipici siano solitamente pagati meno e molto più esposti ai rischi di perdita del lavoro, variabilità salariale, periodi di disoccupazione. I sistemi di welfare europei mostrano molte difficoltà a proteggere queste tipologie di lavoratori che, di conseguenza, sono più vulnerabili e si trovano spesso in condizioni di precarietà e povertà. Il volume descrive l’impatto in Italia di queste problematiche da un punto di vista giuridico, sottolineando la stretta connessione che sussiste tra la regolazione giuridica nazionale del lavoro e il sistema di welfare esistente. Vengono prese in considerazione le forme più utilizzate di lavoro atipico subordinato: contratti di lavoro a tempo determinato, contratti di lavoro part time e contratti di lavoro somministrato. Si esamina il sistema di protezione sociale, evidenziando le diverse e molteplici debolezze del welfare italiano per queste forme di lavoro e analizzando alcune proposte per una loro più effettiva tutela.
  • Si analizzano le caratteristiche dei lavoratori temporanei, a tempo determinato e parasubordinati, con un particolare focus sul livello di istruzione. Nell’articolo si evidenziano alcune criticità del sistema italiano di formazione continua, anche al fine di suggerire possibili indicazioni di policy finalizzate a rafforzarne il ruolo di leva per facilitare la transizione dei lavoratori temporanei verso un impiego permanente.
  • Un Patto sociale tra produttori appare una chimera. Invocato da molti, per frenare il declino ventennale dell’economia italiana, trova nella politica nazionale e nei fautori dell’«austerità espansiva» in Europa i principali «sabotatori». Gli economisti avanzano varie proposte, le parti sociali sembrano almeno in parte disponibili al confronto, ma gli scenari possibili non sembrano prospettare soluzioni praticabili. Nel frattempo la quota del reddito da lavoro continua a diminuire: dal 1990 il lavoro ha perso circa 10 punti percentuali, la crescita della produttività è rallentata da metà anni ’90 e si è arrestata dal 2000, il gap tra produttività e salario reale è cresciuto; negli anni dell’euro ha prevalso la stazionarietà per salari e produttività, mentre è cresciuta l’occupazione precaria e mal retribuita. Ancora purtroppo si intende proseguire lungo una politica di flessibilità del mercato del lavoro. Occorre invece un cambiamento, in Italia e in Europa, ed investire su lavoro stabile, retribuzioni e innovazione,ntecnologica ed organizzativa, i principali fattori che possono far ripartire la crescita.
  • Fra il 23 e il 26 maggio si vota per il rinnovo del Parlamento europeo. Un appuntamento al quale, da mesi, si guarda con forte apprensione, per l’inedita configurazione politica che potrebbe scaturirne, con conseguenze imponderabili per i destini dell’Ue. Negli stessi giorni, la Confederazione europea dei sindacati (Ces) terrà a Vienna il suo 14° Congresso, disponendosi ad affrontare il nuovo tornante storico che attende il mondo del lavoro e la società nel prossimo quinquennio.
  • Il diritto del lavoro, in tutti i suoi aspetti, appare minacciato da profonde trasformazioni che potrebbero tradire la sua funzione e la sua storia. Le tensioni che si avvertono nella dimensione europea e in quella nazionale riguardano sia la disciplina del rapporto che la dimensione collettiva, fortemente tentata da modelli finora ritenuti incompatibili con la nostra tradizione, e derivano sia dalla legge che dalla giurisprudenza, soprattutto da quella europea. Un gruppo di studiosi, italiani e spagnoli, si è riunito a Cagliari per discuterne a tutto campo. E molti sono stati pertanto i temi scandagliati nell’occasione. Il rapporto fra Corte di giustizia europea e diritto del lavoro è stato affrontato analizzando la giurisprudenza recente in tema di non discriminazione e di lavoro non standard. I diritti fondamentali sono stati di scussi come garanzia del principio di prevalenza del diritto dell’Unione Europea. La crisi del costituzionalismo europeo è stata letta alla luce dei diritti sociali. Sono anche state messe in evidenza le concordanze e le discordanze delle due riforme della contrattazione collettiva in Italia e Spagna e sono state indagate altresì la possibile declinazione locale di un welfare federale, le rappresentanze nei luoghi di lavoro, la contrattazione nel lavoro pubblico, le politiche salariali e retributive. Importante sarebbe stata la partecipazione di Massimo Roccella, che dei cambiamenti analizzati è stato acuto osservatore e, talora, premonitore. Massimo non c’era ed è a lui che sono dedicate le riflessioni raccolte nel volume.
  • Fra gli studiosi di sociologia politica vi è stato a lungo il convincimento che fra collocazione di classe e comportamento elettorale vi sia un nesso quasi naturale, per cui a destra si collocherebbero i ceti medio-alti dell’imprenditoria e del lavoro autonomo, e a sinistra gli operai e vasti settori del lavoro dipendente. Alcuni studi più recenti rivelerebbero invece un’erosione progressiva di questo nesso, con settori sempre più ampi del lavoro dipendente che si spostano, in Occidente, verso i partiti neopopulisti del centrodestra. Tale ipotesi non sembra aver trovato riscontro in Italia, in occasione delle elezioni politiche del 2006, nelle quali si è registrato un relativo successo del centrosinistra tra i lavoratori dipendenti. In questo volume sono contenuti i risultati di alcune indagini recenti compiute in Italia su questi temi (Ires; Istituto Cattaneo; Swg), discussi da studiosi, sindacalisti e dirigenti politici, con particolare attenzione alle elezioni parlamentari del 2006. Un confronto ricco di informazioni e di spunti interpretativi intorno ai grandi mutamenti che negli ultimi due decenni hanno radicalmente trasformato il sistema politico italiano, sia sul versante dell’offerta posta in essere dai partiti, sia su quello della domanda di rappresentanza, sempre più complessa, espressa dalla società e dal mondo del lavoro dipendente.
  • Che cosa ha accomunato le rivolte bracciantili del 1948 in Sicilia a quelle di Avola del 1968, fino ai cruenti conflitti della Piana di Rosarno nel 2010? Al di là delle differenze emerge un dato comune a tutte e tre le vicende: il tentativo ostinato da parte delle organizzazioni datoriali di cancellare universalmente il lavoro nella sua forma giuridica e nei suoi contenuti sociali, per ridurlo a mera forza di propulsione del profitto. Ciò accadeva quando non era riconosciuta la giusta paga, quando si evadevano i contratti e quando si tentava di cancellare i lavoratori agricoli dagli elenchi che ne sancivano i diritti previdenziali e assistenziali; elementi che in parte si ritrovano anche nelle ultime vicende di Rosarno. Il volume mette in luce i conflitti che si sono generati attorno all’affermazione del lavoro nei periodi di crescita economica, prima, e di crisi, dopo. Le lotte delle raccoglitrici di gelsomini e di olive, dei raccoglitori di arance, dei vendemmiatori, dei potatori, dei magazzinieri disegnano la mappa di un folto e diffuso proletariato agricolo che oltre al lavoro esigeva salari adeguati e l’affermazione dei diritti sociali. Da questi conflitti del lavoro e dalle tumultuose lotte sociali affiora un quadro complesso di esperienze sindacali e individuali, di uomini e di donne che hanno lasciato tracce visibili nel lungo processo di costruzione della nostra identità nazionale.
  • Gli atti del primo convegno promosso dal «gruppo dei 49» rappresentano un contributo alla discussione aperta nella Cgil, e più complessivamente nel sindacato, mirato all’obiettivo di arricchire il confronto e di determinare nuove opportunità per l’azione sindacale. La fase politico-sociale attraversata dal paese nel nuovo contesto internazionale impone del resto al sindacato una rivisitazione delle sue strategie per meglio affrontare le sfide future. È necessario infatti delineare in modo nuovo temi come l’autonomia, l’unità sindacale, il governo dei processi di globalizzazione, un sistema di welfare più inclusivo, le politiche contrattuali e retributive, la democrazia e la rappresentanza. Tutto il dibattito del convegno, aperto da una relazione di Agostino Megale e concluso da Antonio Panzeri, va in questa direzione sollecitando una forte innovazione dei contenuti e dell’azione della Cgil per rafforzarne la funzione e il ruolo.
  • Le norme della legge delega che traducono in articolato le proposte già contenute nel "Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia" vanno ben al di là dell’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, conferendo al governo, grazie a un uso abnorme della procedura della delega, la potestà di riscrivere l’intero diritto del lavoro al di fuori del controllo del Parlamento. La precarizzazione e la mercificazione dei rapporti di lavoro sono portate alle estreme conseguenze e vengono perseguite sia per la via del diritto sostanziale (modifica al regime dei licenziamenti, moltiplicazione dei rapporti atipici strutturalmente precari, liberalizzazione dell’interposizione di manodopera, amministrativizzazione dei rapporti tramite l’istituto della certificazione), sia per la via del diritto processuale (introduzione della procedura arbitrale equitativa, destrutturazione della giustizia del lavoro). Parallelamente si punta alla valorizzazione del rapporto individuale a scapito della norma collettiva, alla discriminazione del sindacato più rappresentativo, a una cogestione subalterna e costrittiva degli interessi in sostituzione della concertazione trasparente e verificabile delle politiche. I saggi proposti, esaminando l’effetto combinato delle norme, mostrano il carattere eversivo del progetto, che punta a demolire princìpi generali e istituti fondamentali di garanzia e di equità sedimentati in decenni di cultura giuridica e di relazioni industriali. Nel volume vengono altresì formulate linee guida per ipotesi di riforma che assicurino invece equilibrio e armonizzazione tra esigenze di rinnovamento e garanzie nei rapporti di lavoro. Contributi di: Andreoni, Angiolini, Casadio, Coccia, Ghezzi, Mariucci, Naccari, Roccella.
  • Con il termine scuole reggimentali ci si riferisce all’apparato organizzativo e alle classi scolastiche che furono create in seno ai Corpi dell’esercito e della marina militare del regno di Sardegna a partire dalla metà del XIX secolo. Scopo delle scuole era insegnare a leggere e a scrivere ai militari di truppa analfabeti durante il periodo della ferma militare. L’oggetto della ricerca, inedito nel nostro paese, si riferisce in particolare al momento dell’Unificazione nazionale e al periodo giolittiano, all’interno del quale viene ricostruito lo sviluppo costitutivo di queste scuole e il loro svolgimento pratico, aspetti connessi ai mutamenti politici della nazione e, in più in particolare, alle esigenze proprie dell’esercito. Vengono presentati approfondimenti sulla storia della legislazione scolastica e su episodi poco noti relativi alla pubblica istruzione del nostro paese, riferiti in particolare al problema dell’analfabetismo e al tema dell’educazione degli adulti, a partire dalla legge Boncompagni del 1848 fino alla legge Daneo-Credaro del 1911 che segnò l’importante passaggio delle scuole elementari dall’amministrazione dei Comuni a quella dello Stato. Le scuole reggimentali, che rappresentano una componente trascurata dall’indagine sull’educazione pubblica, svolsero una funzione di qualche rilievo nella redenzione degli analfabeti nel nostro paese, e il contributo che si presenta vuole essere uno stimolo a indagarne meglio ruolo e funzione.