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Esiste, accanto all’Europa delle compatibilità finanziarie, un’Europa «sociale», attenta alla definizione e al potenziamento dei diritti del lavoro. Esiste anche una (forse poco visibile) struttura amministrativa, politica e giudiziaria – sempre a livello dell’Unione Europea – costruita per rendere effettivi quei diritti. Il problema, affrontato pragmaticamente da questo volume, è come possa l’azione vertenziale-sindacale mettere in moto il processo di rafforzamento di questa Europa sociale e solidale. Diventa, quindi, cruciale svelare le modalità di accesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, alla Corte Europea dei Diritti Umani e agli altri organismi che, nell’ambito dell’Unione, possono verificare l’effettiva garanzia dei diritti fondamentali delle persone. Ma è anche indispensabile capire come utilizzare adeguatamente le due Carte dei diritti (Carta dei Diritti Fondamentali della UE e Convenzione Europea dei Diritti Umani) presso i Giudici nazionali, al fine di assicurare, in una prospettiva multilivello, la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori nel godimento dei diritti fondamentali, con particolare riferimento ai casi di discriminazione. Perché l’Europa, senza un solido apparato di diritti del lavoro, non ha un futuro politico.
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Per lunghi anni alla crisi del sistema produttivo, sociale e politico imperniato sulla grande fabbrica fordista si è accompagnato un progressivo vuoto di analisi sui tentativi dei vari capitalismi di cercare nuove strade anche sfruttando il ciclone Internet. Dentro la crisi le questioni di fondo sono diventate la speculazione finanziaria e Wall Street. Sul «postfordismo» ha invece soffiato con forza il vento dell’Est, non solo perché la Cina è diventata l’officina del mondo, ma soprattutto perché la lunga stagione del metodo Toyota, della lean production, del just in time, della partecipazione in via gerarchica ha cambiato le culture manageriali e imposto un nuovo aziendalismo nel rapporto con il sindacato. Ha influito sulla trasformazione delle forme organizzative dei partiti e delle culture politiche ormai «né di destra, né di sinistra». È mutata la stessa condizione esistenziale delle persone, sempre più flessibile e precaria. Nella quotidiana pratica sindacale non sono mai venuti meno i tentativi di indicare alternative a questi processi, ma tante sono state le occasioni perse. In Italia c’è stata l’anomalia del più grande partito comunista dell’Occidente; oggi c’è l’anomalia della mancanza di un partito che faccia del lavoro il fondamento del suo programma. Ricostruire il percorso che ha portato a questo esito e farlo dal punto di vista delle persone che lavorano nelle manifatture come nel web può contribuire a trovare soluzioni per una rinnovata azione sindacale e politica.
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La sinistra è in declino, tramortita e smarrita. Comprendere le ragioni della sua sconfitta è un compito arduo. Delineare un nuovo orizzonte che la rilanci come forza di governo dell’attuale passaggio d’epoca sembra una missione impossibile. Una via si può trovare se si parte da un’attenta analisi della grande recessione del 2008/2009, che sancisce la fine del ciclo neoliberista affermatosi a partire dagli anni ’70 proprio grazie alla sconfitta del movimento operaio. L’autore propone perciò una riflessione sul rapporto tra crisi economica, crisi ecologica, bolla finanziaria, crescita delle disuguaglianze e decadenza dello Stato. Ne emerge il limite di una sinistra che ha pagato la mancanza di una strategia di trasformazione dello Stato che consentisse al compromesso keynesiano di tenere il passo dell’inevitabile processo di globalizzazione. L’inadeguatezza degli Stati nazione e del vecchio ordine internazionale ha prodotto il dominio della grande finanza e delle multinazionali. Le conseguenze si sono rivelate devastanti. Il prezzo pagato in termini di sofferenze, di precarietà, di impoverimento di grandi masse, di guasti all’ambiente, di perdita di speranza e di futuro, è enorme. Il mondo pare condannato ad una stagnazione secolare: una crescita debole e fragile, che non produce piena occupazione, permanentemente esposta a rischi rilevanti. La sinistra può rialzarsi se si propone come la forza che vuole ricongiungere politica e potere attraverso la costruzione di uno Stato di dimensioni europee, passaggio decisivo per un nuovo ordine internazionale, e una nuova politica della Moneta, al servizio non solo del sistema finanziario e del mercato, ma anche di un intervento pubblico orientato ad una ristrutturazione ecologica dell’economia e alla lotta alle disuguaglianze.
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L’androgino è uno degli archetipi che hanno formato la storia dell’umanità; il libro indaga sulla figurazione attuale di un mito che ha attraversato i secoli e le culture più diverse. Il tema dell’androgino oggi descrive una tendenza che, nelle sue più differenti espressioni, si sta rivelando molto presente. Le autrici e gli autori del libro colgono l’androginia nelle sue esplicite presenze, nella politica, nella moda, nello spettacolo, nei differenti linguaggi culturali, letteratura, arte, cinema e altro ancora, ma anche negli stili di vita, nelle scelte personali, relazionali e culturali. L’androgino è tra noi: immagini tradizionali di femminilità e maschilità vengono continuamente erose e nello stesso tempo esasperate, esibite, proposte a modello; le vite di donne e uomini si avvicinano, condividono spazi e tempi in forme impensabili per il passato; si moltiplicano le ricerche di identità sessuali, che rifiutano ogni stabile definizione, propongono l’ambiguità o l’ambivalenza come scelte di vita, mescolano ironicamente i modelli, si mostrano ormai refrattarie a ogni integrazione univoca e binaria. E al contempo viene messa in discussione una possibile onnipotenza dell’androgino sul proprio corpo. Differenti punti di vista si confrontano con queste tendenze: dal pensiero femminista, alle nuove riflessioni maschili, al pensiero lesbico, gay e queer.
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Il libro racconta la vicenda intellettuale, politica e umana di Bruno Trentin attraverso la documentazione cartacea e multimediale a lui relativa e la bibliografia dei suoi scritti sulle principali testate della sinistra. Un racconto composto di documenti e di immagini che di fatto narrano il Novecento italiano: la Francia dell’esilio, Padova città universitaria in cui attivare la Resistenza, Milano partigiana, Mirafiori dominata dalla Fiat e poi bloccata dagli scioperi. Le carte documentano l’impegno e il carisma di Trentin nei ruoli di segretario della Fiom, di segretario generale della Cgil e di parlamentare europeo per il Pds nella legislatura 1999-2004. Dall’infanzia e l’adolescenza in terra di Francia alle lotte operaie dell’Autunno caldo fino allo scontro col governo Amato nel 1992 sull’abolizione della scala mobile, si dipana il racconto di sessant’anni di vita italiana passata tra le fabbriche e le scrivanie. Contiene: La persona umana, le trasformazioni del lavoro e le contraddizioni del precariato, l’ultimo intervento di Bruno Trentin (Fermo, 25 maggio 2006). Viene pubblicato, per la prima volta, l’inventario delle carte (appunti e altri materiali) giacenti nella casa di Bruno Trentin alla sua morte.
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Le parole di Giuseppe Di Vittorio sono le parole contenute nella Relazione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale (1946) presentata alla Terza Sottocommissione sui temi economici e sociali per la definizione della Costituzione (1948). Sono parole fondative della Repubblica Italiana che rappresentano un fatto inedito, non riscontrabile nella formazione delle Costituzioni dei paesi europei, e identitario della composizione della Carta Fondamentale. Sono parole prime. I saggi che compongono il libro offrono un’interpretazione interdisciplinare (sociologica, storica, giuridica) della relazione, in un testo in cui l’approccio ermeneutico degli autori si rivela scientificamente attento e che, diversamente da una comprensione formalmente rigorosa, manifesta anche il grande interesse di studiosi catturati dal potere delle parole di Di Vittorio. Ne emerge così la qualificazione del diritto di associazione come il presidio più sicuro della libertà della persona, rilevando anche il ruolo fondamentale di Di Vittorio nella definizione del caposaldo lavoristico della Costituzione, e la natura della CGIL. È valutato l’impatto della relazione sulle norme dedicate ai temi del diritto sindacale nonché sul complessivo sistema costituzionale, e il ruolo chiave svolto dal mondo del lavoro nella definizione del Patto costituzionale. Sono, quelle di Giuseppe Di Vittorio, parole prese dalla memoria che, invece di risolversi nell’irrevocabilità di un ricordo, dispiegano ancora tutta la loro forza nella complessa attualità sociale e sindacale.
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Il libro di Edmondo Montali, con prefazione del presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia e introduzione del professor Adolfo Pepe, ricostruisce la vicenda resistenziale, politica e parlamentare di Arrigo Boldrini, il comandante Bulow. Boldrini è stato un grande comandante partigiano alla guida della 28a Brigata Mario Gordini che operò nella provincia di Ravenna e poi in Veneto durante la guerra di Liberazione. Il suo nome rimase per sempre legato alla pianurizzazione della Resistenza con la quale il ravennate Bulow spostò la guerra partigiana dal suo terreno naturale, la montagna, alle campagne della Bassa, inventando un tipo di guerra partigiana che non si riteneva possibile. Ma Boldrini, medaglia d’oro al valore militare, non è stato solo un comandante partigiano. Membro della Consulta e della Costituente, è stato un parlamentare di lungo corso, vicepresidente della Camera dal 1968 al 1976, poi senatore della Repubblica fino al 1994, dirigente di primo piano del Partito comunista italiano e presidente dell’ANPI, l’Associazione nazionale partigiani, fino al XIV Congresso del 2006, due anni prima della sua morte. Il libro cerca di restituire la ricchezza del suo poliedrico contributo alla storia, per molti versi difficile e complessa, della Repubblica italiana di cui fu, a pieno titolo, un padre fondatore.
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Gli appalti pubblici in Italia sono stati utilizzati, storicamente, come un modo per soddisfare interessi privati, sia delle imprese sia di amministratori e burocrati, permettendo alle mafie di fare grandi affari, soprattutto nel settore delle costruzioni, inquinando il mercato del lavoro e provocando distorsioni nel meccanismo di domanda e offerta. Una risposta concreta è arrivata dal CCASGO, il Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere, e dalle organizzazioni sindacali degli edili di CGIL, CISL e UIL, che sono riusciti a fare emergere l’inquinamento mafioso, utilizzando la tracciabilità finanziaria, la gestione legale e trasparente dei cantieri e il monitoraggio dei flussi di manodopera. Questa esperienza, realizzatasi attraverso le Linee Guida Antimafia e i Protocolli di Legalità, ha determinato non solo un avanzamento della «legislazione di prevenzione», ma anche una serie di procedure che i soggetti firmatari devono attuare. Pertanto, con i Protocolli di Legalità si sa chi, quando e come deve realizzare le azioni prescritte. Il sindacato è certo che questa attività di prevenzione attiva allargherà il sol-co tra quanti alimentano il sistema di illegalità e quanti, forti dei principi costituzionali, vogliono vincere una guerra civile strisciante che dura dall’Unità d’Italia ad oggi. Il testo raccoglie importanti contributi di Ivan Cicconi, Bruno Frattasi, Alessandra Guidi, Salvatore Lo Balbo, Leonardo Miconi, Sara Spartà.
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L’Europa, un tempo leader del mondo, ha perduto il suo ruolo guida a favore degli Stati Uniti e della Cina. A partire dai primi anni settanta la deregulation finanziaria ha comportato la fine dei cosiddetti «Trenta anni gloriosi» del capitalismo democratico. Gli Stati nazionali hanno via via perso la loro capacità di regolare le politiche economiche e sociali. Mentre la nascita dell’Unione Europea ha comportato rigide regole da osservare per quel che riguarda i conti pubblici, la libera circolazione dei capitali ha nel frattempo consentito lo strapotere di grandi banche private. Al sostegno dell’economia reale si è sostituita un’anarchia sostanziale nel mondo del credito e della finanza, che ha ridotto molti membri sovrani della Ue a Stati debitori. Il volume mette in luce le radici storiche dei problemi economici e sociali che tormentano l’Europa del terzo millennio. La crisi europea ha cause profonde che nascono agli inizi del Novecento con il declino dell’impero britannico e l’ascesa distruttiva della Germania. Le due guerre mondiali fratricide e la trasformazione dei surplus commerciali inglesi in attività finanziarie e parassitarie hanno consegnato la guida del mondo prima nelle mani dei soli Stati Uniti, poi ai nuovi equilibri fra Stati che si configurano come vere e proprie potenze continentali. Viene così in evidenza che la malattia genetica del capitalismo fin dalle sue origini è la degenerazione della finanza.
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Dopo sette anni dall’esplosione della crisi, le cause che l’hanno originata non sono state ancora risolte e, per molti versi, neanche affrontate. Non si intravede alcun cambiamento nel modello di sviluppo nel breve periodo, benché nel dibattito accademico e istituzionale si affaccino nuove tesi e suggestioni, come il rischio di una «crisi infinita» o la previsione di una «stagnazione secolare». L’epicentro della crisi si è spostato in Europa e le ondate recessive e deflative si sono moltiplicate proprio a causa dell’euroausterità, come ha mostrato drammaticamente la vicenda greca. Il nostro paese ha registrato la maggiore intensità depressiva tra tutte le economie industrializzate, anche per effetto delle debolezze strutturali che già ne avevano caratterizzato il declino e che vanno affrontate dal lato della domanda come dal lato dell’offerta, nel breve come nel lungo periodo, per il lavoro e i salari, gli investimenti e l’innovazione, il welfare e i beni comuni, il benessere e la sostenibilità, la democrazia e il futuro. Per questo, in continuum con il Libro bianco per il Piano del Lavoro 2013 (Tra crisi e «grande trasformazione»), è necessario approfondire l’analisi e l’elaborazione con l’intento di riabilitare la parola «riformismo», il cui oggetto originario è sempre stato il cambiamento del capitalismo. In questo libro rosso si intraprende specificamente la via di una possibile riforma del capitalismo, anche finanziario, la cui anima è contesa nella strong battle fra pubblico e privato; ma si ragiona anche di questioni più propriamente ascrivibili alla democrazia economica e alla democrazia industriale, alle relazioni sociali e alle relazioni industriali, finanche alla governance e alla gestione delle imprese, nella ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Saggi, tra gli altri, di: Silvano Andriani, Cristiano Antonelli, Danilo Barbi, Franco Bassanini, Riccardo Bellofiore, Mimmo Carrieri, Paolo De Ioanna, Maurizio Franzini, Francesco Garibaldo, Paolo Leon, Mariana Mazzuccato, Giacinto Militello, Marcello Minenna, Stefano Petrucciani, Michele Raitano, Edoardo Reviglio, Lorenzo Sacconi, Vincenzo Visco
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Sesso e genere sono concetti assai diversi, l’uno determinato dalla biologia, l’altro costruito socialmente. Assumendo tale diversità come punto di partenza del loro lavoro, le autrici propongono un percorso che – offrendo sguardi su storia umana, linguaggio, scuola, maternità, violenza, cambiamento del maschile e sfida ai ruoli di genere rappresentata dalle famiglie omogenitoriali – porta a sottolineare quanto i ruoli socialmente attribuiti a donne e uomini siano culturalmente pre-determinati e rappresentino delle gabbie che perpetuano il dominio maschile e la subalternità femminile, riproducendo immagini di uomo e di donna rigide e stereotipate. L’obiettivo è contribuire a scrivere un’altra storia, oltre i destini, che dia spazio al libero pensarsi. Come scrive la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli, «le autrici hanno saputo affrontare, con rara competenza e completezza, le riflessioni su quelle definizioni del femminile e del maschile ancora vincolate a predeterminati destini, assai limitativi per chi intende osservare i cambiamenti del mondo e desidera interpretarli alla luce di valori non negoziabili come la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà».