• Il volume riproduce gli atti del convegno, dallo stesso titolo, tenuto a Roma nella Facoltà di Economia della Sapienza Università di Roma, il 9 giugno dello scorso anno. L’occasione fu la presentazione del volume Federico Caffè, un economista per il nostro tempo, Roma 2009. La relazione iniziale di Luciano Marcello Milone mette in evidenza la visione anticipatrice di Caffè in ordine ai problemi internazionali, con particolare riferimento agli aspetti istituzionali e alla crisi odierna. I successivi interventi ritornano su questi temi, ma trattano anche altri aspetti significativi del pensiero dell’economista e del suo riformismo, ben distante da quelli solitamente richiamati. Un riformismo che, lungi dall’affidarsi al provvidenzialismo del mercato e al filantropismo di Stato, fa affidamento sulla responsabile partecipazione del cittadino alla vita democratica e sul consapevole intervento pubblico per superare i due difetti principali che Keynes ravvisava nel capitalismo, e cioè la mancata piena occupazione e la distribuzione arbitraria ed iniqua della ricchezza e del reddito. Arricchiscono il volume alcuni scritti di Federico Caffè, ad avvalorare le tesi sostenute dagli interventi. Scritti ed interventi di G. Amari, A. Celant, G. Epifani, M. Franzini, G. Leone, L. M. Milone, M. Morcellini, N. Rocchi, M. Tiberi, I. Visco.
  • Negli ultimi anni, durante la crisi, la politica di svalutazione caricata sul lavoro non ha fatto altro che aggravare gli effetti negativi dell’austerità sulla domanda interna. Eppure la Commissione europea, anche nelle ultime Raccomandazioni, continua a prescrivere continuità nelle politiche di flessibilità del mercato del lavoro, contrattuali e retributive. Il recente risultato elettorale europeo non appare aver modificato l’equilibrio politico nel Parlamento europeo, e la politica economica sembra rimanere saldamente sotto il controllo di chi ha gestito la crisi e l’ha aggravata applicando le regole del rigore senza crescita. In Italia, il Governo Renzi pensa di contrastare il record di disoccupazione con un Jobs Act che solo nel nome richiama quello americano. Ma le sue riforme del lavoro, con le modifiche ai contratti a termine, estesi a tre anni senza causale, sono la stessa cura applicata dalla fine degli anni novanta che hanno così negativamente colpito l’economia italiana e il mondo del lavoro.
  • Le donne giovani acquisiscono l'autonomia abitativa prima degli uomini. L'uscita dalla casa dei genitori e il vivere da soli, senza un partner, può essere considerato rischioso ed è noto che le donne sono in generale in molti ambiti più avverse al rischio degli uomini. L'essere indipendenti si configura allora come uno dei pochi ambiti dove lo sono meno oppure vi sono caratteristiche del contesto che influenzano la diversa propensione di genere all'autonomia abitativa? Lo studio intende mostrare come anche nella decisione di essere autonome le donne sono prudenti e le differenze di genere nella probabilità di essere indipendenti sono fortemente correlate alla partecipazione femminile al mercato del lavoro e al grado di generosità del welfare e dei sussidi di disoccupazione. A questo fine sono analizzati i dati più recenti dell'European Union Statistics on Income and Living Conditions per 31 paesi europei seguendo un approccio multilivello a due step.
  • Il contributo si sofferma sulla posizione della Cgil in merito al disegno di legge sull’Auto-nomia differenziata. Una posizione necessariamente critica poiché per come è stato concepito aumenterà inevitabilmente i divari tra le diverse aree del paese; aggiungerà alla competizione sociale quella territoriale; frammenterà localmente le politiche pubbliche e lo farà su materie di straordinaria rilevanza strategica, a partire dalla scuola. Significa in altri termini rinun-ciare a un governo nazionale e unitario delle politiche economiche, industriali e di sviluppo del paese, a cui si aggiunge la riforma sul premierato. È l’idea della verticalizzazione dei poteri. Per contrastare tutto questo occorre dare vita a una forte coalizione anzitutto sociale e culturale che affermi un’altra idea di democrazia.
  • Le politiche sociali costituiscono un importante caso di studio per il federalismo, in quanto ambito già devoluto alla competenza regionale. L'articolo 117 della Costituzione, infatti, come riformulato nel 2001, già riconosce alle Regioni potestà legislativa esclusiva in tale campo, mentre rimane di competenza statale solo l’individuazione dei Lep, i Livelli essen-ziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. La strada per l’individuazione dei Lep nel sociale si è rivelata, tuttavia, particolarmente ardua e, in loro assenza, il sistema dei servizi sociali si è sviluppato poco e con pronunciate differenze territoriali. D’altra parte, la leva finanziaria, rappresentata dal riparto dei, pur limitati, fondi nazionali destinati al sociale, ha costituito l’unico strumento per assicurare un qual-che minimo coordinamento dei servizi a livello nazionale. Eppure, l’esempio delle politiche sociali sembra ignorato dalla legge 86/2024 sull’autonomia differenziata ed esse rischiano addirittura di essere vittime della nuova legge. La situazione venutasi a creare ha, infatti, già portato al blocco dell’iter dei decreti di individuazione dei Lep nel sociale, previsti dalla legge di bilancio 2022, mentre la possibilità che vengano cancellati o devoluti i fondi sociali nazionali genera preoccupazione per la tenuta complessiva del sistema.
  • Il governo italiano sta procedendo a dare attuazione all’autonomia regionale differenziata. Consiste nell’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario che ne fanno richiesta di mag-giori forme di autonomia in ambiti originariamente disciplinati in modo uniforme dallo Stato. Dopo anni di gravi difficoltà economiche e sociali, che hanno allontanato l’Italia dal resto dell’Europa e ampliato gli squilibri territoriali, l’autonomia differenziata rischia di aggravare la situazione del paese e indebolire il sistema di welfare. L’autonomia diffe-renziata mira, infatti, a dare maggiori competenze a chi può correre più velocemente, la-sciando inalterata – nella migliore delle ipotesi - la condizione di chi è rimasto indietro. A problemi comuni a tutte le regioni è invece necessario dare risposte a livello nazionale, a beneficio di tutti, rafforzando il welfare ed evitando soluzioni singole che aumenterebbero i costi di decisione e creerebbero disuguaglianze. Prima di procedere a qualunque ulteriore attribuzione di competenze alle Regioni è comunque indispensabile rafforzare il livello centrale, nella qualità e nella quantità delle competenze disponibili, affinché siano ben definiti i Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e affinché sia possibile il loro rispetto da parte di ogni regione.
  • Più che una classica biografia che ripercorre la vita privata e sindacale di G.B. Aldo Trespidi, questo libro è un percorso tematico che affronta alcune fasi significative della storia della Filcep e della Filcea, partendo dall’angolo visuale privilegiato di un grande dirigente. Tre gli aspetti specifici su cui è caduta la scelta dei contenuti da approfondire: le partecipazioni statali nell’esperienza del settore chimico, la fase contrattuale dalla fine degli anni sessanta alla fine degli anni settanta e la stagione dell’unità sindacale. Le ragioni sono facilmente comprensibili specie per quanto riguarda gli ultimi due aspetti, legati direttamente all’impegno di Trespidi come dirigente sindacale. Essi costituirono il cuore della sua attività e lo videro direttamente protagonista come segretario della Filcep e della Filcea e come uno dei sostenitori più convinti dell’esperienza unitaria della Fulc. Il tema dell’unità rappresentò un vero e proprio valore di riferimento da sostenere, difendere, concretizzare. La scelta della fase contrattuale è stata dettata dall’importanza che per tutto il movimento sindacale rivestì il periodo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, stagione fra le più alte del sindacalismo italiano che coincise con il momento in cui Trespidi assolse incarichi di maggiore responsabilità. L’esame della questione delle partecipazioni statali investe, invece, una delle più importanti vicende del capitalismo italiano del dopoguerra privilegiando le riflessioni del mondo sindacale, in particolare nell’ambito forse maggiormente coinvolto da quelle stesse vicende: il settore chimico.
  • Il saggio analizza le recenti forme di autoregolazione concordate fra le parti collettive su te- mi centrali delle relazioni industriali, rappresentatività sindacale a livello nazionale, rap- presentanze aziendali, rapporti fra i livelli contrattuali, formazione ed effetti degli accordi aziendali, e discute dei possibili interventi legislativi su questi temi. Si sostiene la possibilità di un rinvio legislativo ai criteri di rappresentatività concordati dalle parti nel T.U. del gennaio 2014 e di un simile rinvio all’autoregolazione anche riguardo alla configurazione delle rappresentanze sindacali aziendali e alla formazione degli accordi aziendali. Sono invece rilevati limiti alla possibile regolazione per legge dei rapporti fra di- versi livelli della contrattazione collettiva e dell’efficacia generale dei contratti nazionali. In- fine si esaminano le norme della legge di stabilità 2016 che incentivano i premi di produt- tività e il welfare aziendale e prevedono incentivi aumentati in presenza di forme di parte- cipazione dei lavoratori.
  • 1. Mercati ben funzionanti richiedono regole certe e una costante e incisiva attività di tutela e di controllo. Gli organismi amministrativi indipendenti, che sono stati costituiti in Italia nel corso degli ultimi decenni, in particolare negli anni novanta, dovevano rispondere all’esigenza di sottoporre i mercati interni al sistema della concorrenza, rimuovendone o attenuandone gli ostacoli e, laddove per ragioni storiche o tecniche ciò non fosse stato possibile, al controllo di organismi che surrogassero con la loro attività regolamentare la pressione concorrenziale. ...